Processo civile telematico

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Cassazione Civile – Illeggibilità degli allegati a notificazione in propria via PEC

Con la recente sentenza n. 21560/2019 la Corte di Cassazione Sezione Lavoro, ha avuto modo di occuparsi di una problematica – di stretta natura tecnica – che sovente affligge le notificazioni in proprio via PEC, ossia, la leggibilità dei file allegati al messaggio di Posta Elettronica Certificata. Vediamo come.

In passato la Suprema Corte aveva già fornito orientamenti attinenti alla tematica oggi esaminata, ma sempre relativi all’onere del Difensore ricevente di dotarsi di strumenti tecnici idonei a rendere consultabile il contenuto della notificazione pervenutagli.

Per tutte si può ricordare la pronuncia n. 2431/2017 con la quale la Cassazione Penale ha stabilito che: “la semplice verifica dell’avvenuta accettazione dal sistema e della successiva consegna, ad una determinata data ed ora, del messaggio di posta elettronica certificato contenente l’allegato notificato è sufficiente a far ritenere perfezionata e pienamente valida la notifica. L’eventuale mancata lettura dello stesso da parte del difensore per eventuale malfunzionamento del proprio computer andrebbe imputato a mancanza di diligenza del difensore che nell’adempimento del proprio mandato è tenuto a dotarsi dei necessari strumenti informatici e a controllarne l’efficienza.”

Se quindi gli Ermellini hanno già più volte ribadito come il Difensore notificato debba, per onere professionale, dotarsi di strumenti tecnici idonei alla corretta lettura e consultazione del messaggio di Posta Elettronica Certificata e dei suoi allegati, oggi la Suprema Corte si spinge oltre, occupandosi del caso in cui, pur ipoteticamente in presenza dei corretti strumenti informatici, gli allegati alla mail non risultino comunque leggibili.

Nel caso di specie, il controricorrente aveva eccepito l’inammissibilità del ricorso per tardiva notificazione. Controparte, infatti, aveva trasmesso una prima notificazione in proprio via PEC contenente solo la relata di notificazione, poiché il file relativo al ricorso non risultava essere leggibile. La medesima parte aveva poi rinnovato la notificazione tramite UNEP.

Non addentrandosi sulle ragioni dell’effettiva leggibilità del ricorso notificato, la Suprema Corte – riprendendo il principio già affermato con la pronuncia 25819/2017 – rileva oggi l’infondatezza dell’eccezione della controricorrente ritenendo che “quanto alla pretesa illeggibilità degli allegati del messaggio pec, occorre osservare che la posta elettronica certificata è il sistema che, per espressa previsione di legge (D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68) consente di inviare e-mail con valore legale equiparato ad una raccomandata con ricevuta la certezza dell’invio e della consegna (o della mancata consegna) delle e-mail al destinatario. Tale sistema è stato creato proprio al fine di garantire, in caso di contenzioso, l’opponibilità a terzi del messaggio. I gestori certificano quindi con le proprie “ricevute” che il messaggio: a. è stato spedito; b. è stato consegnato; c. non è stato alterato. In ogni avviso inviato dai gestori è apposto anche un riferimento temporale che certifica data ed ora di ognuna delle operazioni descritte. I gestori inviano avvisi anche in caso di errore in una qualsiasi delle fasi del processo (accettazione, invio, consegna) in modo che non possano esserci dubbi sullo stato della spedizione di un messaggio. Di conseguenza, secondo la giurisprudenza, la semplice verifica dell’avvenuta accettazione dal sistema e della successiva consegna, ad una determinata data ed ora, del messaggio di posta elettronica certificato contenente l’allegato notificato è sufficiente a far ritenere perfezionata e pienamente valida la notifica. L’eventuale mancata lettura dello stesso da parte del difensore per eventuale malfunzionamento del proprio computer andrebbe imputato a mancanza di diligenza del difensore che nell’adempimento del proprio mandato è tenuto a dotarsi dei necessari strumenti informatici e a controllarne l’efficienza”

In tal modo la Corte di Cassazione fa ricadere la responsabilità della lettura del messaggio totalmente su parte notificata, questo – in tutta franchezza – apparentemente in modo decisamente asimmetrico rispetto a un procedimento che dovrebbe svilupparsi in ossequio al principio di parità degli strumenti difensivi.

La Suprema Corte, però, in tal senso compie un ulteriore sforzo logico, stabilendo che: “Si può quindi ritenere che nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di accettazione della pec e di consegna della stessa nella casella del destinatario si determina una presunzione di conoscenza della comunicazione da parte del destinatario analoga a quella prevista, in tema di dichiarazioni negoziali, dall’art. 1335 c.c. Spetta quindi al destinatario, in un’ottica collaborativa, rendere edotto il mittente incolpevole delle difficoltà di cognizione del contenuto della comunicazione legate all’utilizzo dello strumento telematico. In applicazione di tali principi nel caso di specie sarebbe stato dovere del difensore della controricorrente informare il mittente della difficoltà nella presa visione degli allegati trasmessi via pec, onde fornirgli la possibilità di rimediare a tale inconveniente.”

In buona sostanza, quindi, la Corte di Cassazione non imputa a parte notificata l’eventuale errore del ricorrente nel momento di preparazione della notificazione via PEC – errore che potrebbe aver determinato la non leggibilità del messaggio – ma onera la medesima contro ricorrente di attivarsi al fine di informare il mittente della busta telematica delle difficoltà nella consultazione degli allegati, ciò in un’ottica di collaborazione fra le parti.

Pur comprendendosi le ragioni di salvaguardia del procedimento civile e l’apprezzabile volontà degli Ermellini di mirare al merito della controversia e non a questioni di carattere tecnico, vi è però da chiedersi se un orientamento così “permissivo” – da un lato – e così oneroso per parte notificata – dall’altro – non si scontri con i principi costituzionali sottesi al nostro processo civile, quali – per tutti – il diritto di difesa che, chiaramente, potrebbe essere tirato in ballo qualora – come nel caso in oggetto – si chiedesse a una delle parti di rinunciare a una possibile eccezione di natura formale (peraltro probabilmente fondata) invocando il generico rimando alla necessaria collaborazione fra le parti processuali.

Con la recente Ordinanza 24160/2019 la Corte di Cassazione torna ad occuparsi della validità del registro INI-PEC ai fini della notificazione degli atti giudiziari.

Come è noto la precedente pronuncia n° 3709/2019 della Suprema Corte di Cassazione, aveva dato origine a molte polemiche sull’utilizzo di tale registro nelle notificazioni in proprio via PEC, poiché – attraverso tale provvedimento – gli Ermellini avevano enunciato il seguente principio di diritto:

“Il domicilio digitale previsto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. in L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., in L. n. 114 del 2014, corrisponde all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza e che, per il tramite di quest’ultimo, è inserito nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE) gestito dal Ministero della giustizia. Solo questo indirizzo è qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l’effettiva difesa, sicchè la notificazione di un atto giudiziario ad un indirizzo PEC riferibile – a seconda dei casi – alla parte personalmente o al difensore, ma diverso da quello inserito nel ReGIndE, è nulla, restando del tutto irrilevante la circostanza che detto indirizzo risulti dall’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC).”

Al tempo, proprio su queste pagine, si era evidenziato come – con tutta probabilità – la Corte avesse erroneamente scambiato il registro INI-PEC, espressamente annoverato all’interno dell’art. 16 ter D.L. 179/2012 fra i pubblici elenchi utilizzabili per le notificazioni in proprio via PEC ex L. 53/1994, con il registro IPA (indice delle pubbliche amministrazioni), che a partire dall’agosto 2014, a seguito della modifica apportata al sopra citato art. 16 ter, non è più considerabile pubblico elenco valido per le notificazioni de quibus.

Le successive statuizioni della Suprema Corte, non erano più giunte a ritenere il registro INI-PEC come non utilizzabile per le notifiche, ma oggi – con l’Ordinanza in esame – la Sesta Sezione riprende pedissequamente il principio sopra espresso stabilendo: “il ricorso è stato notificato a mezzo PEC al [omissis] “con elezione di domicilio presso l’avvocato Tribunale di Firenze” a un  indirizzo di posta elettronica che è quello della cancelleria dell’immigrazione del Tribunale di Firenze, ovvero anche all’indirizzo di posta elettronica del Protocollo del Tribunale di Firenze, estratto dall’indice nazionale degli indirizzi INI PEC, elenco che, oltre a non essere riferibile alla posizione del [omissis], è stato dichiarato non attendibile da Cass. n. 3709 del giorno 8 febbraio 2019, secondo cui “per una valida notifica tramite PEC si deve estrarre l’indirizzo del destinatario solo dal pubblico registro ReGIndE e non dal pubblico registro INI-PEC”.

Non addentrandosi nelle specificità del caso di specie, ciò che realmente interessa in questa sede è ribadire come il sopracitato principio di diritto sia probabilmente stato originato da un’errata valutazione degli atti del procedimento o, addirittura, da un mero errore di carattere materiale in sede di redazione del provvedimento e come quindi, oggi ancora di più che nel marzo scorso, sia necessario un intervento risolutivo da parte del Primo Presidente della Corte di Cassazione al fine di una risoluzione definitiva della questione.

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