Processo civile telematico

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Cassazione Civile – Perfezionamento della notificazione via PEC

L’utilizzo della Posta Elettronica Certificata rappresenta ogni giorno di più uno strumento di lavoro quotidiano per i professionisti e per le aziende. Il numero di comunicazioni trasmesse con tale mezzo è oramai entrato a far parte – in modo irrinunciabile – della realtà quotidiana della nostra società, tanto da star lentamente – ma inesorabilmente – sostituendo la “vecchia e cara” raccomandata cui tutti noi facevamo riferimento per le notificazioni e per le comunicazioni che necessitavano di data certa e certezza di ricezione.

Con la recente pronuncia n. 31052 del 27 novembre 2019, la Cassazione civile torna a occuparsi di un tema centrale legato alla PEC, ossia, quello relativo al momento effettivo della notificazione e all’effettiva conoscenza del contenuto della missiva.

Nel caso di specie, un’impresa individuale pugliese veniva dichiarata fallita dal Tribunale di Trani, tale pronuncia veniva reclamata presso la Corte d’Appello di Bari eccependo l’irritualità della notificazione della convocazione per l’udienza prefallimentare, nonché l’illegittimità dell’apertura della procedura concorsuale avuto riguardo al fatto che tale udienza aveva avuto luogo quando era trascorso più di un anno dalla cessazione dell’attività e dall’annotazione della cancellazione dal registro delle imprese.

La Corte di appello di Bari respingeva il reclamo con sentenza del 5 febbraio 2015.

L’azienda dichiarata fallita, quindi, proponeva ricorso in Cassazione denunciando “violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 15, comma 3, in riferimento all’art. 3 Cost. e art. 111 Cost., comma 2, nonché la nullità della sentenza di fallimento per omessa convocazione del debitore. Osserva l’istante che il Giudice delegato, col decreto di convocazione del 25 giugno 2014, aveva disposto “che il ricorrente, in caso di società cancellata dal registro delle imprese”, provvedesse “alla notificazione di ricorso e decreto nelle forme ordinarie”. Aggiunge che la propria impresa individuale risultava cancellata dal registro delle imprese fin dal 10 ottobre 2013, onde il ricorso e il decreto avrebbero dovuto essere notificati nelle forme ordinarie. Rileva pertanto il ricorrente che la notificazione in dette forme era l’unica prevista dal provvedimento emesso dal Giudice delegato.

Oltre a ciò, la medesima impresa individuale, lamentava la mancata integrazione del contraddittorio, non avendo potuto partecipare all’udienza prefallimentare, né visionare i documenti decisivi ai fini della pronuncia. Ciò perché – a detta del ricorrente – il giudicante non avrebbe provveduto a verificare se, a seguito della comunicazione del provvedimento, fossero state allegate sia la ricevuta di accettazione che quella di consegna, e sostenendo altresì che la mera generazione della ricevuta di consegna de qua non fosse comunque idonea ad attestare l’avvenuta visualizzazione del messaggio da parte del destinatario.

Si precisa che, in sede di reclamo, la curatela del fallimento aveva però provveduto a depositare la stampa della ricevuta di consegna conforme al modello ministeriale, che era stata estratta dal registro informatico di cancelleria in data 1 ottobre 2014.

Orbene, la Suprema Corte di Cassazione, tralasciando le motivazioni più attinenti al merito della vicenda, ha ritenuto: in primis che: ”L’istante conferisce un ingiustificato rilievo alla prescrizione, contenuta nel decreto del Giudice delegato, secondo cui la notificazione del ricorso e del decreto, in caso di società cancellata dal registro delle imprese, dovesse attuarsi “nelle forme ordinarie”.

E infatti, la legittimità di una forma notificatoria adottata va apprezzata prendendo in considerazione la previsione di legge, e non il provvedimento giudiziale che se ne discosti: per modo che è consentito di ritenere nulla una notifica aderente al dettato normativo, ma difforme, in ipotesi, dalle indicazioni formulate, nello specifico, dal giudice. Nel caso in esame, la notificazione è stata attuata in via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata, secondo quanto disposto dalla L. Fall., art. 15, comma 3: in base, quindi, a una modalità operante, per l’impresa fallenda, anche a seguito della sua cancellazione dal registro delle imprese (cfr. infatti, per le società: Cass. 10 ottobre 2017, n. 23728; Cass. 12 gennaio 2017, n. 602, la quale sottolinea, in motivazione, come la disattivazione di tale indirizzo non costituisca effetto automatico della cancellazione dal predetto registro, ma è conseguenza di un’espressa richiesta di chiusura del contratto rivolta al gestore della casella PEC; Cass. 13 settembre 2016, n. 17946). Tanto vale di per sé ad escludere la denunciata nullità della notificazione.

Gli Ermellini, quindi, hanno ritenuto – in modo assolutamente lineare ad avviso dello scrivente – che il riferimento a forme “ordinarie” di notifica dovesse essere comunque analizzato alla luce della normativa di riferimento, normativa che, oggi, prevede proprio tra le ordinarie forme di notificazione quella tramite Posta Elettronica Certificata.

In merito, invece, al momento di perfezionamento della notificazione e all’effettiva conoscenza del contenuto della missiva, la Suprema Corte ha ribadito ancora una volta come: “la notifica telematica si intende perfezionata, con riferimento alla data e all’ora della sua ricezione, quando la stessa sia avvenuta in conformità alle disposizioni di cui al D.P.R. n. 68 del 2005, il cui art. 6, stabilisce che il gestore della PEC utilizzata dal destinatario deve fornire al mittente, presso il suo indirizzo elettronico, la c.d. ricevuta di avvenuta consegna (RAC), che costituisce, quindi, il documento idoneo a dimostrare, fino a prova contraria, che il messaggio informatico è pervenuto nella casella di posta elettronica del destinatario (Cass. 26 novembre 2018, n. 30532; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26773): incombe quindi al destinatario dare riscontro delle difficoltà di cognizione del contenuto della comunicazione correlate all’utilizzo dello strumento telematico (Cass. 31 ottobre 2017, n. 25819) “

La Corte di Cassazione, quindi, ha ribadito ancora una volta come debba essere il destinatario della comunicazione a dover dare effettiva prova dell’impossibilità di prendere visione del contenuto della comunicazione via PEC, poiché, la semplice generazione della Ricevuta di Avvenuta Consegna, è già di per sé idonea a generare una presunzione di ricezione del messaggio e di conoscenza del contenuto dello stesso. Tale prova, nel caso di specie, non era stata in alcun modo fornita, essendosi il fallito limitato ad opporre che la ricevuta de qua non fosse idonea a comprovare l’effettiva visualizzazione del contenuto del messaggio da parte del destinatario, circostanza che gli Ermellini hanno ritenuto “pacifica, ma priva di consistenza sul piano delle implicazioni pratiche, dal momento che il perfezionamento della notifica prescinde dall’atto con cui il detto soggetto prende effettiva conoscenza del contenuto della comunicazione giacente nella sua casella di posta elettronica.”

 

 

A cura di Luca Sileni – Avv.to iscritto all’ordine di Grosseto referente informatico dell’ODA di Grosseto e Segretario del Centro Studi Processo Telematico

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