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CONTRATTO A TERMINE: LE NUOVE REGOLE

Il Jobs Act cambia ancora una volta le regole del contratto a tempo determinato: scompare la necessità di indicare le ragioni ma viene confermata la durata massima di 36 mesi per mansioni equivalenti, e se il contratto collettivo non dispone diversamente, si applicano i nuovi limiti numerici.

La conversione in legge del D.L. n. 34/2014 (Jobs Act), ha nuovamente modificato il contratto a tempo determinato, i cui requisiti fondamentali – a seguito della totale eliminazione dell’obbligo del datore di lavoro di indicare la “causale” (ossia la ragione) – sono i seguenti:
a) forma scritta del contratto, incluso l’espresso richiamo al diritto di precedenza;
b) indicazione della data finale, ossia del termine di scadenza del rapporto.

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Importante – L’indicazione del termine finale può far riferimento a una data certa (esempio: il 31 dicembre 2015) o al verificarsi di un determinato evento (esempio: il rientro della lavoratrice assente per maternità); oppure a entrambi tali elementi.

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Durata massima – Una delle regole “di base” è che l’impiego del lavoratore con contratto a termine non può essere prolungato all’infinito ma, anzi, di norma non può durare più di 36 mesi, sommando tutti i periodi di lavoro alle dipendenze del medesimo datore ove siano state svolte “mansioni equivalenti”. Il periodo di durata massima soggiace alle seguenti eccezioni:
a) se il contratto collettivo prevede un periodo più lungo, per esempio 40 mesi, si applica quest’ultimo limite, che è più favorevole;
b) una volta raggiunti i 36 mesi, è possibile – con la prosecuzione del rapporto – impiegare ancora quel lavoratore per un massimo di altri 30 giorni, erogando una maggiorazione della retribuzione pari al 20% per i primi 10 giorni, e al 40% per gli altri giorni fino al 30°;
c) in alternativa, è possibile recarsi presso la DTL con il lavoratore e un sindacalista e stipulare il cd. “contratto in deroga”, per la durata che prevista da molti accordi interconfederali, che è normalmente pari a 8 mesi.

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Importante – I 36 mesi vanno calcolati sommando tutti i contratti a termine e i periodi di missione nell’ambito della somministrazione a termine effettuati a partire dal 18 luglio 2012.

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Nuovo dipendente – Se quel lavoratore è assunto per la prima volta non vi sono particolari problemi: infatti è possibile, fermo l’obbligo della stipulazione in forma scritta (se questa manca, il contratto si converte a tempo indeterminato), prevedere qualunque durata iniziale, purché non superiore a 36 mesi. Normalmente il primo rapporto viene concluso – apponendovi, se si vuole, anche il periodo di prova – per una durata inferiore (per esempio 6 mesi): in questo caso, se la prestazione di quel lavoratore è ancora necessaria, è possibile prorogare il contratto fino a un massimo di 5 volte. Anche in questa ipotesi, va rispettato il limite complessivo di durata massima pari a 36 mesi.
Esempio – 5 proroghe e durata massimacontrattoTermine-soluzioni-paghe* E’ ovviamente possibile utilizzare solo 1 o 2 proroghe, come pure attivare le 5 proroghe per periodi differenti tra loro: per esempio la prima per 3 mesi, la seconda per 6 e così via (sempre nel limite massimo dei 36 mesi).
La proroga può essere attivata, per iscritto e con il consenso del lavoratore, senza soluzione di continuità rispetto al contratto originario, a condizione che si tratti dello svolgimento della medesima attività per la quale il rapporto è stato stipulato a tempo determinato.

Ex dipendente – Se quel dipendente è stato già impiegato a tempo determinato, occorre prima verificare che non sia stato superato il periodo massimo di 36 mesi, salve le eccezioni illustrate sopra. Ebbene, se ci sono ancora dei mesi residui, è possibile agire come segue:
a) prosecuzione fino a un massimo di 30 giorni se il contratto in corso ha durata inferiore a 6 mesi; o fino a un massimo di 50 giorni se il contratto in corso ha una durata superiore a 6 mesi (sempre con la maggiorazione del 20% per i primi 10 giorni, e del 40% per tutti i restanti);
b) proroga del contratto in corso – da 1 a 5 volte – fermo il limite complessivo di durata totale di 36 mesi se sono state svolte mansioni equivalenti;
c) stipulare un nuovo contratto a termine dopo che siano trascorsi 10 giorni, se il contratto appena scaduto ha avuto durata fino a 6 mesi; o 20 giorni, se esso ha avuto durata superiore a 6 mesi. Il contratto collettivo, anche aziendale, può ridurre o azzerare le pause intermedie.

Limiti numerici – Oltre ai casi in cui l’assunzione a termine è vietata (esempio: non è stata fatta la valutazione dei rischi), è stato introdotto un limite al numero di lavoratori che è possibile assumere a tempo determinato. L’individuazione di tale limite di solito è contenuta nel contratto collettivo; invece, se questo non prevede nulla, opera il limite di legge, che è il seguente:
a) datore di lavoro fino a 5 dipendenti: è sempre possibile assumere 1 lavoratore con contratto a tempo determinato;
b) datore di lavoro da 6 dipendenti in su: il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulabili non può eccedere il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione.

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Importante – I limiti numerici massimi di impiego dei lavoratori a termine non riguardano le seguenti ipotesi: a) avvio di nuove attività, per i periodi definiti dai contratti collettivi nazionali, anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici; b) ragioni di carattere sostitutivo o di stagionalità; c) specifici spettacoli o specifici programmi radiofonici o televisivi; d) lavoratori di età superiore a 55 anni.

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L’impiego di lavoratori a termine in eccedenza rispetto ai limiti massimi previsti dalla legge o dal contratto collettivo, comporta che il datore – per ogni dipendente assunto in più – dovrà pagare una sanzione amministrativa pecuniaria pari al:
a) 20% della retribuzione, per ogni mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto, se viene assunto 1 solo lavoratore a termine che eccede il massimo consentito;
b) 50% della retribuzione, per ogni mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale è superiore a 1, ossia se i lavoratori sono 2, 3 e così via.

A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore

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