Processo civile telematico

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Corte di Cassazione – Valida la notificazione a mezzo PEC anche se la relata era priva di sottoscrizione digitale

Con la pronuncia n° 6518 del 14 marzo 2017, la Corte di Cassazione è tornata nuovamente ad occuparsi delle notificazioni a mezzo PEC e dei casi in cui le stesse possano essere dichiarate nulle.
Partendo però dall’analisi della normativa di settore e dei precedenti giurisprudenziali sul punto, si deve innanzitutto sottolineare come l’art. 11 della L. 53 del 1994 (ossia il testo legislativo che consente le notificazioni in proprio da parte dell’Avvocato, sia via PEC che via raccomandata) espressamente preveda: “Le notificazioni di cui alla presente legge sono nulle e la nullità è rilevabile d’ufficio, se mancano i requisiti soggettivi ed oggettivi ivi previsti, se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell’atto o sulla data della notifica”. In virtù di ciò, almeno dall’analisi del dato meramente letterale, qualsiasi irregolarità nella redazione ed invio della notificazione in proprio a mezzo PEC, dovrebbe automaticamente comportare la nullità della notificazione stessa, con rilevabilità d’ufficio da parte del Giudice.
La mancanza della sottoscrizione digitale della relata di notifica, in effetti, dovrebbe condurre a tale risultato negativo, posto che l’art. 3bis comma 5 espressamente prescrive: “L’avvocato redige la relazione di notificazione su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale ed allegato al messaggio di posta elettronica certificata.”
La sottoscrizione de qua, quindi, parrebbe elemento essenziale della notificazione in oggetto e la sua mancanza, come detto, dovrebbe condurre indubbiamente alla nullità della notificazione.
Autorevole dottrina (Vitrani e Gargano), però, ha sul punto ritenuto che la mancanza della firma digitale sul documento inoltrato via PEC non possa essere ritenuta in “totale” carenza di qualsivoglia tipologia di sottoscrizione, poiché il documento informatico inoltrato via mail potrebbe comunque essere ritenuto munito di sottoscrizione elettronica c.d. “semplice”. Sul punto anche parte della giurisprudenza di merito è, in passato, giunta ad analoghe conclusioni (si veda: Tribunale, Termini Imerese, ordinanza 22/02/2015).
Una firma elettronica di tale tipologia, però, non potrebbe e non può avere – in virtù della normativa di riferimentoanalogo valore probatorio di una firma digitale propriamente detta.
Sul punto basti ricordare che l’art. 21 comma I del Codice dell’Amministrazione Digitale prevede comeIl documento informatico, cui è apposta una firma elettronica, soddisfa il requisito della forma scritta e sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità”, mentre il secondo comma del medesimo articolo stabilisce che “Il documento informatico sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, formato nel rispetto delle regole tecniche di cui all’articolo 20, comma 3, ha altresì l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del codice civile. L’utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale si presume riconducibile al titolare, salvo che questi dia prova contraria. Restano ferme le disposizioni concernenti il deposito degli atti e dei documenti in via telematica secondo la normativa anche regolamentare in materia di processo telematico”.
La firma digitale, quindi, farà piena prova fino a querela di falso mentre la firma elettronica c.d. “semplice” sarà liberamente valutabile dal Giudice.
Posto, in ogni caso, che la relata di notificazione in oggetto potrebbe comunque ritenersi munita di sottoscrizione, benché non aderente al dettato normativo della L. 53 del 1994, la Corte di Cassazione con la sentenza 6518/2017 ha ritenuto priva di pregio “l’eccepita inammissibilità del ricorso per cassazione in ragione della nullità della notificazione eseguita a mezzo PEC dal difensore del ricorrente, perché la relata sarebbe un documento privo della firma digitale (a differenza del ricorso e della procura, a cui quella sarebbe stata apposta), essendo stato tale documento diretto inequivocabilmente dalla casella PEC dell’avvocato del ricorrente a quella del difensore avversario, senza che abbia limitato i diritti difensivi della parte ricevente. Infatti, questa Corte ha stabilito che il difetto della firma non è causa di inesistenza dell’atto, ed ha anzi affermato la surrogabilità di quella prescrizione attraverso altri elementi capaci di far individuare l’esecutore dell’atto (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10272 del 2015, secondo cui, “in tema di notificazione L. 21 gennaio 1994, n. 53, ex art. 4, qualora nella relata manchino le generalità e la sottoscrizione dell’avvocato notificante, la sua identificazione, necessaria al fine di verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi indispensabili, può avvenire” anche aliunde ……[omissis] Orbene, nella specie, la notificazione affidata a mezzo PEC la mancata forma digitale della relata non lascia alcun dubbio sulla riconducibilità alla persona dell’avv. [omissis], attraverso la sua indicazione e l’accostamento di quel nominativo alla persona munita ritualmente della procura speciale.”
In buona sostanza, quindi, la Corte di Cassazione ha ritenuto sufficiente l’allegazione della relata all’interno del messaggio PEC ai fini dell’identificazione del soggetto cui il documento era riferibile, di fatto – quindi – confermando la dottrina e la giurisprudenza di merito sopra richiamata in tema di sottoscrizione elettronica.
Oltre a ciò, infine, giova ricordare che le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la pronuncia 7665 del 2016, hanno da un lato espressamente richiamato l’operatività del principio sancito, in via generale, dall’art. 156 c.p.c., secondo il quale la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato e, dall’altro, enunciato un importante principio di diritto “è inammissibile l’eccezione con la quale si lamenti un mero vizio procedimentale, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale della Corte.”
La pronuncia oggi in commento, quindi, si sposa perfettamente con la linea salvifica assunta dalla Corte di Cassazione con le ultime pronunce in tema di nullità delle notificazioni degli atti via PEC.
 
A cura di Luca Sileni – Avv.to iscritto all’ordine di Grosseto referente informatico dell’ODA di Grosseto e Segretario del Centro Studi Processo Telematico

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