Lavoro e HR

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I “riders” di Foodora sono co.co.co. e non dipendenti

La crescente diffusione di “nuovi lavori”, sorti grazie alla new economy e spessissimo gestiti con una “App da smartphone” inizia a fare capolino nelle aule dei tribunali e merita di essere seguita con attenzione, anche perché è idonea a cogliere l’orientamento giurisprudenziale circa i casi in cui va riconosciuta, ovvero negata, la natura subordinata del rapporto di lavoro.
 
Il riferimento è alla sentenza 7 maggio 2018, con cui il Tribunale di Torino si è espresso sul ricorso di alcuni lavoratori che hanno presentato ricorso contro una società multinazionale, deducendo di aver prestato attività a favore di questa (con mansioni di fattorino) in forza di contratti di collaborazione coordinata e continuativa a termine, chiedendo invece la costituzione di un ordinario rapporto subordinato a tempo indeterminato. Ecco dunque, in sintesi, l’iter logico-argomentativo seguito dal giudice e le conseguenze sul piano pratico.
 
Volontà delle parti – I lavoratori hanno sottoscritto contratti di “collaborazione coordinata e continuativa” in cui si precisa che “il collaboratore agirà in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo di subordinazione, potere gerarchico o disciplinare, ovvero a vincoli di presenza o di orario di qualsiasi genere nei confronti della committente”; dal che si desume che le parti hanno inteso dar vita a un rapporto autonomo, pur se coordinato e continuativo.
Tuttavia, poiché per stabilire la natura autonoma o subordinata di un rapporto di lavoro, la formale qualificazione operata dalle parti in sede di conclusione del contratto individuale, pur se rilevante, non è determinante, correttamente il giudice ha preso in considerazione le concrete modalità di svolgimento del rapporto.
 
Fattispecie – A seguito della compilazione di un formulario on line,  i lavoratori venivano convocati dalla società per un colloquio in cui era spiegato che l’attività richiedeva il possesso di bicicletta e di smartphone; quindi veniva proposto un contratto di co.co.co. e, previo versamento di 50 euro di caparra, venivano consegnati i dispositivi di sicurezza (casco, maglietta, giubbotto e luci) e l’attrezzatura per trasportare il cibo (piastra di aggancio e box). Il contratto aveva le seguenti caratteristiche:

a) si trattava di una “co.co.co.”, in cui il lavoratore era libero di candidarsi o meno per una specifica corsa a seconda delle sue disponibilità ed esigenze di vita;

b) egli si impegnava a eseguire le consegne con la sua bicicletta, agendo in piena autonomia, senza alcun vincolo di subordinazione, potere gerarchico o disciplinare, o a vincoli di presenza od orario, salvo il necessario coordinamento generale con l’attività della committente;

c) era prevista la possibilità di recedere liberamente dal contratto, anche prima della scadenza, con comunicazione scritta a mezzo raccomandata a/r con 30 giorni di anticipo;

d) il lavoratore, una volta candidatosi, si impegnava ad effettuare la consegna entro 30 minuti, pena una penale di 15 euro: il compenso era di 5,60 euro orari, al lordo delle ritenute.

 
Il rapporto era gestito sulla piattaforma on line su cui l’azienda pubblicava ogni settimana gli “slot”, indicando il numero di riders necessari per coprire ogni turno: il rider poteva rendersi disponibile per i vari slot in base alle proprie esigenze, ma non era obbligato. Raccolte le disponibilità, il responsabile della “flotta” confermava ai singoli riders il turno; ricevuta la conferma, il lavoratore doveva recarsi all’orario di inizio del turno in una delle 3 zone di partenza predefinite, attivare l’applicativo inserendo username e password, e avviare il GPS. Il rider riceveva quindi sull’App la notifica dell’ordine con l’indirizzo del ristorante.
Accettato l’ordine, egli doveva recarsi in bici al ristorante, ricevere i prodotti, controllarne la corrispondenza con l’ordine e confermare con la App l’esito della verifica. A questo punto, posizionato il cibo nel box, il rider doveva consegnarlo al cliente, il cui indirizzo gli era stato comunicato tramite la App; infine, doveva confermare di aver effettuato la consegna.
 
Autonomia o subordinazione? – Come evidenziato dal giudice, le sentenze circa la distinzione tra lavoro subordinato e autonomo sono innumerevoli; il criterio principale è quello per cui costituisce requisito fondamentale del rapporto subordinato – ai fini della distinzione dal lavoro autonomo – il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore, che discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo sulle prestazioni. Occorre quindi stabilire se i riders fossero o meno sottoposti al potere direttivo, organizzativo e disciplinare di Foodora, ossia alla “eterodirezione” da parte della società.
 
Potere direttivo e organizzativo – Il rapporto tra le parti era caratterizzato dal fatto che i ricorrenti non avevano l’obbligo di effettuare la prestazione lavorativa e il datore non aveva quello di riceverla: infatti, i primi potevano dare disponibilità per uno dei turni indicati da Foodora, ma non erano obbligati a farlo; a sua volta questa poteva accettare la loro disponibilità e inserirli nei turni richiesti, ma poteva anche non farlo: tale caratteristica può essere considerata di per sé determinante per escludere la sottoposizione dei riders al potere direttivo e organizzativo del datore perché è evidente che se egli non può pretendere lo svolgimento della prestazione non può neppure esercitare il potere direttivo e organizzativo.
 
Coordinamento e subordinazione – L’art. 409 cod. proc. civ. estende le norme sulle controversie individuali ai rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non subordinata. Per i giudici, la soggezione al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore “discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni “. Oggi gli ordini possono essere impartiti con altri strumenti, che prescindono dalla presenza fisica nello stesso luogo di chi dà gli ordini e di chi li riceve: essi possono essere dati via e-mail, internet o con apposite “App” sullo smartphone.
Dovendo verificare se i nuovi strumenti di comunicazione siano stati utilizzati da Foodora per impartire ordini specifici ed esercitare assiduamente vigilanza e controllo – determinando punti di partenza e fasce orarie, verificando la presenza dei riders e l’attivazione dell’applicazione; richiamando i lavoratori che tardavano ad accettare l’ordine (eccetera) – il giudice ha negato che tali circostanze abbiano trovato conferma e che fossero determinanti per qualificare il rapporto come subordinato. Infatti:

a) la determinazione del luogo e dell’orario non era imposta dall’azienda che si limitava a pubblicare sull’App i turni: i riders erano liberi di dirsi disponibili per uno di essi;

b) la verifica della presenza dei riders nei punti di partenza e dell’attivazione del loro profilo sull’App rientra in toto nel “coordinamento” perché è evidente che Foodora aveva la necessità di sapere su quanti riders poteva contare per le consegne;

c) i ricorrenti erano liberi di scegliersi il percorso (eccetera).

Il che – insieme a tutti gli altri elementi valutati dal giudice, tra cui il mancato assoggettamento al potere disciplinare esercitato dall’azienda – ha condotto al rigetto del ricorso e, vista, l’assoluta novità della questione, alla compensazione integrale delle spese.
 
Conclusioni – Data la crescente diffusione delle nuove forme di lavoro, siamo solo all’inizio di quello che verosimilmente costituirà un profondo mutamento del “mercato”: è quindi auspicabile che si ripensino le tipologie contrattuali, se del caso adattando quelle già in uso.
 
 
 
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore

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