Crisi di impresa

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Il ruolo del commercialista nel codice della crisi

Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, modificando l’approccio culturale e gestionale delle imprese, richiede competenze e conoscenze sempre più mirate, che non sono sempre presenti in azienda. Così come gli stakeholders, con cui l’impresa oggi è chiamata a confrontarsi, risultano sempre più preparati ed esigenti (si pensi a titolo esemplificativo agli istituti di credito, ai fornitori, dei creditori istituzionali come l’Agenzia delle Entrate e l’Inps, ecc..).

In questo scenario si inserisce la figura del commercialista, ovvero di colui che avendo un bagaglio di conoscenze di tipo giuridico, aziendale, contabile e fiscale può, senza ombra di dubbio, diventare un riferimento costante per chi quotidianamente deve prendere decisioni e sviluppare azioni in un’ottica di accrescimento della ricchezza della propria realtà aziendale.

Si tratta di una vera e propria opportunità che il professionista potrebbe perseguire sia con le imprese in crisi, ma anche, e soprattutto, con le imprese che godono di buona salute e quindi solide e solvibili.

Infatti, parlando di codice della crisi, si è soliti pensare che il professionista è colui che affianca il proprio cliente per superare un momento di imbarazzo, senza considerare che la ratio della normativa va in un’altra direzione e cioè verso la prevenzione di una condizione di difficoltà, richiamando in prima istanza il principio della continuità e, successivamente, la conservazione dell’equilibrio finanziario. Vi è quindi l’opportunità, per il professionista, di operare e stimolare anche le imprese “sane”, mediante l’attivazione di meccanismi di monitoraggio costante. Il tutto lo si fa agendo preventivamente sugli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, da un punto di vista qualitativo e, da un punto di vista quantitativo, sviluppando un’analisi di tipo numerica mediante l’utilizzo di una serie di indicatori in aggiunta a quelli proposti dagli artt. 13 e 24 del decreto n. 14/2019. È pur vero che, la difficoltà maggiore che si potrebbe registrare intervenendo sulle realtà “sane” è quella di dover trasferire una giusta cultura aziendale al cliente, essendo quest’ultimo distratto da una condizione di “benessere” in cui versa l’impresa. È, infatti, più semplice parlare di going concern e di rischio di insolvenza alle realtà aziendali che stanno vivendo uno status di crisi, rispetto a quelle imprese che godono di buona salute.

Volendo ipotizzare un percorso da seguire in un processo di due diligenze per il monitoraggio degli equilibri reddituali, patrimoniali e finanziari di un’impresa, prendiamo spunto da quanto riportato nel quaderno n. 71, “I Sistemi di allerta”, dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Milano, in cui si definiscono una serie di fasi.

Nello specifico, la prima fase è quella sull’adeguata verifica che comprende attività quali: l’analisi delle anomalie nei pagamenti verso istituti di credito, fornitori, dipendenti, la verifica di anomalie negli adempimenti contrattuali, negli adempimenti contabili, la rilevazione di anomalie nello svolgimento dei fatti di gestione, le anomalie erariali, i contenziosi tributari in atto e/o altri eventi pregiudizievoli, ecc.

La seconda fase riguarda, invece, l’acquisizione di informazioni sull’andamento reddituale e finanziario dell’impresa, su eventuali contratti in corso, sugli assetti organizzativi, contabili ed amministrativi, sui rischi d’impresa, ecc.

Con la terza fase, si procede ad una vera e propria review contabile mediante un’indagine approfondita sulle poste di bilancio, sulle operazioni particolari di finanziamento come il leasing, sulla posizione finanziaria netta, sui risultati che emergono dal rendiconto finanziario, ecc..

La quarta fase si sviluppa attraverso la lettura professionale di bilancio, mediante la riclassificazione dello stato patrimoniale e del conto economico e attraverso la determinazione ed interpretazione degli indici e degli indicatori di bilancio.

La quinta fase è caratterizzata, invece, da un’analisi di tipo qualitativa e si concretizza attraverso attività volte ad indagare sul mercato di riferimento, sulla conoscenza delle strategie dell’impresa, sulla composizione del portafoglio prodotti, ecc..

L’ultima fase è quella valutativa globale che dovrebbe permettere di circoscrivere lo stato di salute dell’impresa delineando, eventualmente, le principali criticità e difficoltà in vista di un potenziale default che potrebbe registrarsi.

Figura 1: Il processo di valutazione nel sistema di allerta.

Fonte: “I Sistemi di allerta interni”. Quaderno n.71 dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Milano

È bene precisare che, le analisi sopra richiamate impongono un nuovo approccio culturale non solo per l’impresa che le subisce, ma anche per colui che è chiamato a svilupparle, in funzione della raccolta delle informazioni ed in particolare di quelle informazioni che provengano dai documenti contabili e dal bilancio. A questo proposito, il bilancio non può più essere trattato come un documento la cui finalità è solo quella fiscale, bensì come un documento che esprime la storia dell’impresa, da cui è possibile attivare delle procedure finalizzate alla programmazione aziendale (budget), avendo come fine ultimo quello della crescita. Ne consegue una particolare attenzione nella stesura del bilancio di esercizio, strutturandolo in modo che possa rappresentare al meglio la situazione corrente dell’impresa, nelle sue dimensioni reddituali, patrimoniali e finanziarie.

In conclusione, con l’avvento del codice della crisi e delle procedure di allerta, il ruolo del commercialista, sarà sempre più importante poiché le imprese non potranno più posticipare l’emersione della crisi come avvenuto in passato, ma dovranno tempestivamente riconoscere uno stato di sofferenza e intervenire a riguardo. Risulta semplice, pertanto, pensare che siano esse in “salute” che in “crisi”, il commercialista sarà chiamato a ricoprire un ruolo centrale nelle imprese clienti; ruolo che potrebbe spaziare dal consulente “di fiducia” dell’imprenditore al consulente esterno con specializzazioni ad hoc, dal componente del collegio sindacale alla figura del revisore, o, più specificatamente, come attestatore di piani di risanamento o di membro dell’OCRI.

 

A cura di Nicola Lucido – Dottore Commercialista in Pescara, Dottore di ricerca in Economia Aziendale, Ricercatore area aziendale Fondazione Nazionale dei Commercialisti.

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