Processo civile telematico

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L’efficacia probatoria dei messaggi WhatsApp nel processo civile

La Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 1615 del 18/01/2025, è recentemente tornata ad occuparsi dell’efficacia probatoria di alcune tipologie di documenti elettronici, in particolari dei messaggi WhatsApp. Vediamo in questo articolo secondo quali criteri la Cassazione ha confermato che gli scambi in chat sono utilizzabili come prova documentale purché sia possibile verificarne la provenienza e l’affidabilità.

Nel caso in questione, relativo ad un procedimento monitorio per pagamento di somme dovute per la fornitura e installazione di serramenti, la società ricorrente aveva contestato la violazione degli articoli 20 e 23-quater del D.Lgs. n. 82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale), sostenendo come la Corte d’Appello avesse valutato erroneamente le prove documentali e testimoniali riguardanti l’accordo raggiunto per la fornitura e l’installazione dei serramenti.

La Corte d’Appello, difatti, aveva valutato – ai fini probatori – la copia fotografica (screenshot) di un messaggio WhatsApp prodotto dalla ditta di serramenti, senza interrogarsi sulla certa riconducibilità della stessa al suo autore.

Sul punto la Suprema Corte, riportandosi a precedenti assunti, ha ritenuto di rigettare il ricorso stabilendo che “i messaggi “whatsapp” e gli “sms” conservati nella memoria di un telefono cellulare sono utilizzabili quale prova documentale e, dunque, possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica, con la conseguente piena utilizzabilità dei messaggi estrapolati da una “chat” di “whatsapp” mediante copia dei relativi “screenshot”, tenuto conto del riscontro della provenienza e attendibilità degli stessi (Cass. Sez. U, Sentenza n. 11197 del 27/04/2023).”

Seppur la ricostruzione normativa effettuata dagli Ermellini possa risultare ineccepibile sotto un punto di vista normativo, vi è da precisare che la validità di un mero screenshot (ossia di una riproduzione fotografica di documento informatico) sia da valutarsi ai sensi dell’art. 2712 c.c. (come peraltro sottolineato anche dalla pronuncia in commento); in virtù di ciò si ricorda a tutti i lettori che – in casi analoghi – si possa sempre far ricorso all’ultima parte dell’articolo sopra citato, ossia, al disconoscimento.

Disconoscere lo screenshot di un messaggio whatsapp, difatti, obbligherebbe controparte a dar prova dell’effettiva riconducibilità dell’immagine ad una effettiva conversazione avvenuta fra le parti, posto che una riproduzione quale quella in parola, è comunque facilmente alterabile con normali strumenti informatici e anche attraverso un utilizzo – certamente da condannarsi – dell’intelligenza artificiale.

In merito all’efficacia probatoria delle riproduzioni e alla disconoscibilità delle stesse in giudizio, gli Ermellini – nella medesima pronuncia in commento – hanno difatti precisato: “in tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, il messaggio di posta elettronica (c.d. e-mail) – e così i messaggi whatsapp – costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19622 del 16/07/2024; Sez. 2, Sentenza n. 11584 del 30/04/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 30186 del 27/10/2021; Sez. 6-2, Ordinanza n. 11606 del 14/05/2018).”

Tuttavia, i Giudici hanno precisato che i messaggi WhatsApp e gli SMS conservati nella memoria di un telefono cellulare sono utilizzabili come prova documentale e possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica. Questo significa che i messaggi estrapolati da una chat di WhatsApp mediante copia dei relativi screenshot sono pienamente utilizzabili, a condizione che sia verificata la provenienza e l’attendibilità degli stessi.

Inoltre, la Corte ha chiarito che i messaggi di posta elettronica (e-mail) e i messaggi WhatsApp costituiscono documenti elettronici che contengono la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti. Anche se privi di firma, questi documenti rientrano tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c., e formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale vengono prodotti non ne disconosca la conformità.

Alla luce di queste considerazioni, il ricorso è stato rigettato.

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