Impugnazione del licenziamento: ci sono eccezioni al termine di 60 giorni?
Il lavoratore licenziato che si trovi in un momentaneo stato di incapacità naturale – se non impugna il recesso entro 60 giorni – perde definitivamente ogni diritto al riguardo? Oppure, come ritenuto dalle sezioni unite della Cassazione, c’è qualche possibilità di rimediare a tale situazione?
L’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, anzitutto dispone che il licenziamento deve essere impugnato – a pena di decadenza – entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento.
Inoltre, l’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 180 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato (ferma la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso): se la conciliazione o l’arbitrato richiesti sono rifiutati o non si è raggiunto l’accordo necessario al loro espletamento, il ricorso al giudice va depositato a pena di decadenza entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.
Tuttavia, se il dipendente è affetto (come si è verificato, ma è solo uno degli ipotetici casi) da grave crisi depressiva con dissociazione dalla realtà a causa di delicate e personalissime problematiche familiari, e quindi non è sufficientemente “lucido” da impugnare il proprio licenziamento, il termine di decadenza di 60 giorni – che non è soggetto a interruzione né a sospensione – si compie comunque ed egli resta privo di diritti.
La decadenza opera legittimamente anche in tale ipotesi?
Ebbene, in relazione alla situazione di cui sopra, le sezioni unite della Suprema Corte – con l’ordinanza 5 settembre 2024, n. 23874 – hanno ritenuto non manifestamente infondata la questione di costituzionalità sollevata con riguardo all’articolo 6 della legge 604/1966, il quale fa decorrere anche nei casi di incolpevole incapacità naturale del lavoratore licenziato, accertata processualmente e conseguente alle sue condizioni di salute, il termine di decadenza dal momento della ricezione dell’atto anziché dalla data di cessazione dello stato di incapacità.
Staremo a vedere quale sarà la decisione della Corte Costituzionale: il problema non è così frequente ma ha certamente grande rilevanza pratica.