Validità del ricorso per Cassazione privo di sottoscrizione digitale
Con la pronuncia n° 6477 del 2024 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno avuto modo di dirimere un contrasto che ha tenuto banco per molto tempo – soprattutto in dottrina – e relativo alla validità dell’atto giudiziario privo di sottoscrizione digitale. Vediamo in questo articolo conseguenze e motivazioni di questa pronuncia.
Come è noto, l’art. 365 c.p.c. impone che il ricorso per cassazione sia “sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un avvocato iscritto in apposito albo”, nel caso di specie il Difensore aveva provveduto ad inviare il ricorso notificandolo tramite il proprio indirizzo PEC ma non apponendo la sottoscrizione digitale sul ricorso stesso al momento del deposito in Corte di Cassazione.
A seguito dell’iscrizione a ruolo, avvenuta con modalità analogiche e relativa attestazione di conformità, la controparte ha eccepito l’inammissibilità del ricorso stesso per carenza di un requisito fondamentale previsto dalla legge.
In passato – si veda Cass. Civ. 14338/2017 – il ricorso privo di sottoscrizione digitale era stato ritenuto dagli Ermellini nullo per carenza di firma, equiparando – fra l’altro – la sottoscrizione digitale a quella autografa.
Tale primo orientamento aveva poi trovato terreno fertile in successivi assunti della Suprema Corte, ma la sezione rimettente ha comunque ritenuto necessario approfondire la vicenda sulla scorta, da un lato, di assunti giurisprudenziali che inquadravano la fattispecie nell’area della c.d. “inesistenza” dell’atto, mentre altre – in ossequio al dettato dell’art. 365 c.p.c. – in quella della nullità, con logiche conseguenze in relazione alla sanabilità del vizio dell’atto medesimo, dall’altro ritenendo che la normativa di riferimento si fosse notevolmente evoluta rispetto agli assunti giurisprudenziali oggetto dei precedenti provvedimenti dagli Ermellini.
La Suprema Corte a Sezioni Unite, con la pronuncia in esame, ha ritenuto che non ci si debba unicamente soffermare sulla presenza di una sottoscrizione digitale presente sull’atto, ma che l’indagine relativa alla validità dell’atto medesimo, debba concentrarsi sulla possibilità di accertare o meno la paternità del ricorso.
La funzione di rendere certa la paternità dell’atto processuale, ritengono quindi le Sezioni Unite, può essere assolta anche tramite elementi qualificanti diversi dalla sottoscrizione dell’atto stesso.
In tale ottica, con la pronuncia in parola, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto che: “è possibile desumere aliunde, da elementi qualificanti, la paternità certa dell’atto processuale” e, nello specifico, che “va ritenuto che la notificazione del ricorso nativo digitale dalla casella PEC dell’Avvocatura generale dello Stato censita nel REGINDE e il deposito della copia di esso in modalità analogica con attestazione di conformità sottoscritta dall’avvocato dello Stato, rappresentano elementi univoci da cui desumere la paternità dell’atto, rimanendo così superato l’eccepito vizio in ordine alla mancata sottoscrizione digitale dell’originale informatico del ricorso.”