Lavoro e HR

Contratto di prossimità

Nell’ambito delle disposizioni contenute nel D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148), le norme che riguardano il sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità rivestono grande importanza pratica per la regolazione “fine” di alcuni rilevanti istituti che interessano da vicino i datori di lavoro e i loro dipendenti. Di seguito il punto sulle previsioni in materia.

Premessa

L’articolo 39 della Costituzione della Repubblica Italiana, al quale peraltro non è stata mai data concreta attuazione, per quanto concerne la rappresentanza dei lavoratori, dispone che:

  • a) ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge;
  • b) è condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica;
  • c) i sindacati registrati hanno personalità giuridica: possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.

Dalla mancata attuazione della previsione relativa alla “registrazione” dei sindacati consegue il problema della rappresentatività, rendendosi così di fatto impossibile attuare la previsione di cui alla lettera c), laddove si menziona la possibilità di “stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”. Che, in buona sostanza, è uno dei problemi irrisolti del nostro diritto del lavoro: chi è titolato a negoziare? Che validità hanno i contratti collettivi? Cosa può essere previsto da tali contratti?

L’articolo 51 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81

Un’utile indicazione per rispondere alla domanda su quale sindacato sia ufficialmente titolato a negoziare con efficacia eventuali deroghe alle norme vigenti – che siano espressamente previste dalle norme stesse – viene dall’articolo 51 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81.

Attenzione però: in questa parte “introduttiva” del nostro ragionamento stiamo facendo riferimento all’ipotesi in cui una norma inizi con “salvo diversa previsione del contratto collettivo … (si fa così)”; in pratica, nel caso che stiamo approcciando, la norma pone in essere una previsione “generale”, che però può essere derogata da parte del contratto collettivo. Ma quale contratto collettivo?

Ebbene, a tale riguardo, l’articolo 51 citato dispone che – salvo diversa previsione – ai fini del D.Lgs. n. 81/2015, per contratti collettivi si intendono:

  • i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; e
  • i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.

Una considerazione che viene subito in evidenza è la parità di “rango” espressamente riconosciuta ai contratti collettivi di ogni livello, siano essi nazionali, territoriali o aziendali.

Quali sono i criteri per determinare i sindacati “comparativamente” più rappresentativi

Il Ministero del Lavoro – rispondendo a una richiesta circa gli elementi necessari per qualificare l’accordo collettivo come stipulato da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale – ha precisato che gli indici sintomatici, già indicati dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, ai quali occorre fare riferimento ai fini della verifica comparativa del grado di rappresentatività sono i seguenti:

  • numero complessivo dei lavoratori occupati;
  • numero complessivo delle imprese associate;
  • diffusione territoriale (numero di sedi presenti sul territorio e ambiti settoriali);
  • numero dei contratti collettivi nazionali sottoscritti (Ministero del Lavoro, Risposta a Interpello 15 dicembre 2015, n. 27).

Contratti di prossimità: nozione

Fatte le necessarie premesse, eccoci al punto. L’articolo 8, co. 1, del D.L. n. 138/2011, dispone in apertura che i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello:

  • aziendale; o
  • territoriale;

da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale – ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 (si tratta dell’Accordo Interconfederale siglato da Confindustria e CGIL, CISL e UIL, sulla rappresentanza e sulla validità dei contratti aziendali) – possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali.

Vale quindi la pena evidenziare – per punti sintetici – che le specifiche intese:

  • devono essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle rappresentanze sindacali;
  • hanno efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, ossia erga omnes.

Al riguardo, va evidenziato che la Corte Costituzionale – con la sentenza 28 marzo 2023, n. 52 – ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 8 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, sollevate, in riferimento agli articoli 2 e 39, co. 1 e 4, della Costituzione.

Le finalità “tassative” dei contratti di prossimità

Le specifiche intese, ossia i contratti di prossimità, possono esistere, e quindi avere piena validità, oltre al ricorrere delle altre condizioni espressamente previste, unicamente nel caso in cui siano finalizzate a conseguire uno di questi obiettivi:

  • maggiore occupazione;
  • qualità dei contratti di lavoro (va ricordato che, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 1 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro);
  • adozione di forme di partecipazione dei lavoratori;
  • emersione del lavoro irregolare;
  • incrementi di competitività e di salario;
  • gestione delle crisi aziendali e occupazionali;
  • investimenti e all’avvio di nuove attività.

Nel caso in cui il contratto di prossimità non sia volto a conseguire uno di tali obiettivi, esso non sarà valido ai fini previsti dall’articolo 8 qui in esame.

Contratti di prossimità: quali materie?

Una volta che sia stato superato lo scoglio della “maggioranza”, e che le parti abbiano individuato un obiettivo tra quelli tassativamente indicati dalla norma stessa, l’articolo 8, co. 2, precisa che le specifiche intese di cui al comma 1 (ossia quelle sin qui esaminate) possono riguardare la regolazione delle materie inerenti all’organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento:

  • agli impianti audiovisivi (al riguardo si veda l’articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dal Jobs Act nel 2015 in epoca successiva all’entrata in vigore dell’articolo 8 del D.L. n. 138/2011 qui in esame) e all’introduzione di nuove tecnologie;
  • alle mansioni del lavoratore (al riguardo si veda l’articolo 2103 del codice civile, come modificato dal Jobs Act nel 2015, ossia anche in questo caso, post articolo 8), alla classificazione e inquadramento del personale;
  • ai contratti a termine (la cui disciplina, da ultimo, è stata profondamente rivista dal D.L. 4 maggio 2023, n. 48, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85), ai contratti a orario ridotto (il contratto a tempo parziale, come disciplinato dagli articoli da 4 a 12 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81), modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro (in relazione agli appalti e alla somministrazione, occorre da ultimo tener conto delle rilevanti modifiche apportate dal D.L. 2 marzo 2024, n. 19, convertito dalla legge 29 aprile 2024, n. 56);
Ministero del Lavoro, Risposte agli interpelli 2 dicembre 2014, n. 30 (prot. n. 37/0020311)
L’ARIS (Associazione Religiosa Istituti Socio-sanitari) ha avanzato istanza di interpello alla Direzione generale del Ministero del Lavoro in merito alla possibilità di deroga, da parte della contrattazione di prossimità, ai sensi dell’articolo 8 del D.L. n. 138/2011 (convertito dalla legge n. 148/2011), ai limiti quantitativi di utilizzo del contratto a tempo determinato.
Al riguardo, il Ministero ha precisato quanto segue:
a) i contratti di prossimità sono abilitati a intervenire con discipline che, ad ogni modo, non mettano in discussione il rispetto della cornice giuridica nella quale vanno a inserirsi e, in particolare, di quanto previsto a livello comunitario dalla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato;
b) nell’ambito di tale accordo si prevede, tra l’altro, che “i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro fra i datori di lavoro e i lavoratori”;
c) pertanto, appare evidente come l’intervento della contrattazione di prossimità non potrà comunque rimuovere del tutto i limiti quantitativi previsti dalla legislazione o dalla contrattazione nazionale ma esclusivamente prevederne una diversa modulazione.
Va ricordato che la norma di riferimento per quanto concerne i dipendenti che è possibile assumere a tempo determinato è l’articolo 23 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81.
  • alla disciplina dell’orario di lavoro;
  • alle modalità di assunzione e alla disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto (le co.co.pro. sono scomparse dal nostro ordinamento dal 2015) e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro.

In materia di licenziamento, le più rilevanti norme oggi vigenti, a seconda delle diverse ipotesi sono quelle indicate di seguito:

  • legge 15 luglio 1966, n. 604;
  • legge 20 maggio 1970, n. 300 (in particolare: l’articolo 18);
  • D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23.

Nota Bene Per quanto concerne le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, la norma prevede un’eccezione espressa – ossia un divieto assoluto – al potere di intervento dei contratti di prossimità con riguardo alle seguenti tipologie di licenziamento:

  • discriminatorio:
  • della lavoratrice in concomitanza del matrimonio;
  • della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino a 1 anno di età del bambino;
  • causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore;
  • licenziamento in caso di adozione o affidamento.

Ogni eventuale previsione in relazione a quanto contenuto nell’elenco sarebbe radicalmente nulla per contrarietà a una previsione espressa di legge.

Contratto di prossimità: deroga a legge e CCNL

L’articolo 8, co. 2-bis – con una previsione di grande rilevanza – dispone che, fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 (in presenza della maggioranza sindacale e di almeno una delle finalità espressamente previste) operano anche in deroga:

  • alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 (contratti a termine eccetera); e
  • alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Ed ecco il vero punto di forza del contratto di prossimità: la deroga – sempre ove sussistano sia le condizioni che il rispetto dei limiti previsti – alle norme di legge (soprattutto queste, oltre che, ovviamente ai CCNL!).

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 8, co. 1, 2 e 2-bis, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, co. 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, in riferimento agli articoli 39, 117, co. 3, e 118 della Costituzione. In particolare vale quanto segue:
a) le “specifiche intese” previste dal comma 1 non hanno un ambito illimitato, ma possono riguardare soltanto “la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione”, con riferimento ad ambiti specifici ivi indicati, in una elencazione da considerare tassativa;
b) l’effetto derogatorio previsto dal comma 2-bis opera in relazione alle materie richiamate dal comma 2 e non per altre ed essendo una norma avente carattere chiaramente eccezionale, non si applica oltre i casi e i tempi in essa considerati;
c) infine, le materie in cui sono destinate ad operare le suddette “specifiche intese” di cui al comma 1 riguardano aspetti della disciplina sindacale e intersoggettiva del rapporto di lavoro riconducibili tutti alla materia dell’ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva dello Stato (Corte Costituzionale 4 ottobre 2012, n. 221).

Casistica giurisprudenziale

A questo punto, anche per dare concretezza a quanto sin qui detto, pare opportuno evidenziare – nella tabella che segue – i principi affermati dalle (invero, non numerosissime) pronunce dei giudici di merito e di legittimità.

ArgomentoContenutoFonte
LicenziamentoÈ corretta la previsione contenuta in un contratto aziendale di prossimità secondo la quale, a fronte dell’impegno del datore di non licenziare per 12 mesi, in deroga a quanto previsto dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, in caso di risoluzioni del rapporto dopo tale periodo “di tregua” di 12 mesi, in caso di licenziamenti illegittimi la misura del risarcimento spettante al dipendente deve essere compresa tra 500 e 1.500 euroCass. ord. 16 aprile 2024, n. 10213
RetribuzioneFermo il rispetto dell’articolo 36 della Costituzione, il contratto di prossimità non può derogare ai trattamenti previsti dal CCNL ove difetti un reale collegamento tra la deroga e la riorganizzazione del lavoroTrib. Napoli 7 marzo 2024
Requisiti del contrattoSe mancano i requisiti previsti dall’articolo 8 del D.L. n. 138/2011 (ossia: la firma da parte delle OO.SS. comparativamente più rappresentative, la sottoscrizione sulla base di criterio maggioritario, il perseguimento delle specifiche finalità tassativamente individuate), non si è in presenza di un contratto di prossimità ma di un ordinario contratto aziendale che, in quanto tale, non estende la sua efficacia anche verso i lavoratori e le associazioni sindacali che siano espressamente dissenzientiCass. 2 ottobre 2023, n. 27806
Requisiti del contrattoL’accordo sindacale di prossimità è configurabile solo ove concorrano tutti gli specifici presupposti ai quali la norma lo condiziona, stante il suo carattere eccezionale, consistente nella possibilità che esso, a differenza dell’ordinario contratto aziendale, deroghi alle disposizioni di legge e di contratto collettivo con efficacia generale nei confronti di tutti i lavoratori interessatiCass. 2 ottobre 2023, n. 27764
RetribuzioneI diritti retributivi acquisiti dal lavoratore in forza dell’applicazione al rapporto individuale di lavoro del CCNL sono derogabili dalla contrattazione collettiva di prossimitàTrib. Roma 25 maggio 2017
Firma del sindacatoNel caso in cui difettino i requisiti prescritti, ossia la firma delle organizzazioni sindacali che siano comparativamente più rappresentative, l’articolo 8 non opera e, quindi, è priva di fondamento la tesi del datore in base alla quale il mancato rispetto dei modi di approvazione degli accordi di prossimità, così come previsti dalla norma, possa essere sostituito “dalla volontà direttamente espressa dai lavoratori”Cass. 2 ottobre 2023, n. 27764
ScopoLe parti, e in particolare il datore di lavoro che vi ha uno specifico interesse, devono indicare specificamente le ragioni di fatto che correlano la disciplina derogatoria alle singole finalità previste dalla normaTrib. Firenze 4 giugno 2019
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