Lavoro e HR

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Dimissioni ed esonero dal preavviso

Come dispone l’art. 2118 cod. civ., ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine stabilito dal contratto collettivo; in difetto di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso. Ma ci si domanda: il datore che si veda consegnare la lettera di dimissioni del dipendente può rinunciare al preavviso; e con quali conseguenze?

La risposta ai due quesiti formulati appena sopra viene da una recente ordinanza della Suprema Corte, che ha ribaltato l’esito del giudizio di merito. Questa la vicenda: una dipendente si dimette con preavviso, il datore di lavoro ne prende atto e comunica l’immediata cessazione del rapporto, senza però erogare l’indennità sostitutiva.

La lavoratrice ricorre al Tribunale di Pisa, che condanna la società datrice a pagarle un’indennità pari al preavviso non lavorato. La Corte d’Appello di Firenze, adita dalla società, respingendo il ricorso, afferma che il datore può esonerare il dipendente dimissionario dalla prestazione per la durata del preavviso, ma non può sottrarsi all’onere di pagare l’equivalente dell’importo della retribuzione che sarebbe spettata per tale periodo.

La vicenda, su iniziativa del datore, giunge fino alla Cassazione, che (con ordinanza 14 marzo 2024, n. 6782), anzitutto ha affermato che – nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato – l’istituto del recesso con preavviso (ai sensi dell’art. 2118 cod. civ.) adempie a uno scopo variabile ove si consideri la situazione della parte non recedente; in particolare in caso di:

  • licenziamento: il preavviso ha lo scopo di garantire al lavoratore la continuità della retribuzione per un certo lasso di tempo, onde consentirgli di trovare una nuova occupazione;
  • dimissioni: il preavviso è volto a garantire al datore il tempo necessario a sostituire il recedente.

Con specifico riferimento al caso in oggetto, la Cassazione (come da proprio consolidato orientamento) ha negato la natura reale del preavviso (che comporterebbe il diritto della parte recedente a proseguire il rapporto fino alla scadenza di tale periodo) e, invece, ha aderito alla tesi dell’efficacia meramente obbligatoria di tale istituto.

In pratica, quindi, dalla natura obbligatoria del preavviso, discende che la parte non recedente (nel caso di specie, il datore), che abbia rinunciato al preavviso, nulla deve alla lavoratrice dimissionaria, che non può vantare alcun diritto alla prosecuzione del rapporto fino al termine di tale periodo.

In buona sostanza, in caso di dimissioni, può accadere che il dipendente:

  • non voglia lavorare il preavviso: il datore è libero di trattenere l’indennità corrispondente;
  • voglia lavorare il preavviso: il datore è libero di far proseguire il rapporto fino al suo termine oppure di rinunciarvi, ponendo così termine al contratto senza essere tenuto a erogare alcunché.
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