Il correttivo Cartabia: le principali novità in ambito di Processo Civile Telematico
Recentemente è stato emanato il Decreto Legislativo 31 ottobre 2024, n. 164 pubblicato in Gazzetta Ufficiale l'11 novembre 2024; tale provvedimento – denominato “Cartabia bis” o “Correttivo Cartabia” – ha introdotto, a decorrere dal 26 novembre 2024, numerose modifiche che hanno interessato il codice di procedura civile e le leggi speciali correlate al Processo Civile Telematico. In questo articolo analizziamo le maggiori modifiche apportate all’assetto generale del PCT e alle notificazioni in proprio dell’avvocato.
Novità in ambito di notificazioni: la compiuta giacenza legale
Con la modifica degli artt. 136 e 149bis del codice di procedura civile si è provveduto ad introdurre una sorta di “compiuta giacenza digitale”.
Il legislatore, già al tempo della riforma Cartabia, aveva tentato di creare un’area volta al deposito delle notificazioni via PEC non andate a buon fine, ma la sezione del portale delle imprese che avrebbe dovuto raccogliere dette mancate notificazioni, non era mai stata effettivamente realizzata.
Oggi, le norme in oggetto prevedono invece che, qualora la notificazione nei confronti di soggetti muniti di PEC effettuate dalle Cancellerie, dall’UNEP ma anche – e soprattutto – dagli avvocati, non andassero a buon fine per causa imputabile al destinatario (ad es. casella PEC piena o non funzionante) il soggetto notificante dovrà provvedere a caricare la ricevuta di mancata consegna sulla così detta “area web”, presente fra i servizi riservati del Portale Servizi telematici del Ministero di Giustizia. Una volta effettuata l’operazione di upload, la notificazione potrà dirsi perfezionata trascorsi 10 giorni dalle operazioni di caricamento.
Vedendolo in pratica (fig. 1), una volta eseguito l’accesso all’area riservata del PST tramite SPID o CNS, si dovrà selezionare la voce “Area web notifiche”.

Completata l’operazione potremo procedere a predisporre la giacenza della notificazione, cliccando su “Predisponi Notifica” (fig. 2).

Nella successiva sezione potremo provvedere ad effettuare l’upload dell’atto da notificarsi e poi dei documenti allegati, in cui inseriremo la mancata consegna ed eventuali altri documenti presenti nell’originaria PEC di notificazione (fig. 3)

Trascorsi 10 giorni dalle operazioni di inserimento, potremo scaricare la certificazione di compiuta notificazione nell’apposita sezione del sito (fig. 4).

Qualora, quindi, a seguito di una mancata notificazione via PEC a soggetto obbligato a munirsi di tale strumento digitale, non potremo più recarci presso l’UNEP per effettuare la notificazione, ma dovremo utilizzare l’area sopra descritta per ottenere – come detto – una sorta di “compiuta giacenza” digitale.
La certificazione dovrà poi essere depositata in giudizio al fine di fornire la prova dell’avvenuta notifica.
Eliminazione della nota di iscrizione a ruolo: problematiche in ambito esecuzioni
Con numerose modifiche apportate al codice di procedura civile e alle disposizioni di attuazione (in particolare all’art. 168 e 518 c.p.c.) si è eliminato ogni riferimento alla creazione e al deposito della nota di iscrizione a ruolo. In tutte le procedure, quindi, non sarà più necessaria la nota per l’iscrizione a ruolo della causa.
Se, nell’ambito civile, questa novità si palesa come una semplificazione nella procedura di deposito dell’atto introduttivo del giudizio, in materia di procedure esecutive nascono purtroppo delle difficoltà di tipo operativo.
Come è noto, infatti, in caso di iscrizione a ruolo di un pignoramento, la normativa richiedeva l’inserimento della nota di iscrizione a ruolo quale atto principale della busta telematica.
Non essendo più necessaria la nota di iscrizione le software house che producono sistemi di deposito per gli avvocati hanno optato per due differenti opzioni che, nel silenzio della legge, possono dirsi oggi entrambe valide:
a) inserire come atto principale una nota di deposito generata dal sistema
b) lasciare, comunque, come atto principale la nota di iscrizione che, benché non più necessaria, potrà comunque supplire all’esigenza di avere un atto principale nativo digitale e non scansionato.
Intimazione a teste via PEC
La modica dell’art. 250 c.p.c. consente oggi all’avvocato di effettuare intimazioni a testimoni anche via PEC. Tale facoltà, peraltro già prevista antecedentemente grazie all’equiparazione che il Codice dell’Amministrazione Digitale ha previsto fra la Raccomandata cartacea e la PEC, viene oggi esplicitamente sancita dal suddetto art. 250 c.p.c.; al contrario – invece – è stato completamente eliminato il riferimento al fax (peraltro depennato anche dai requisiti minimi dell’atto introduttivo del giudizio). Il fax, come detto, sparisce anche dall’articolo 250 c.p.c. che consentiva al difensore di effettuare l’invio dell’intimazione a testimoni, oltre che a mezzo posta raccomandata, anche a mezzo telefax.
Vi è da precisare che, nel testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale, l’articolo è mancante di un riferimento espresso alla PEC inviata dal difensore, ma si tratta di un mero refuso del legislatore che emerge con chiarezza dalla restante parte del nuovo testo.
Il duplicato informatico e il titolo esecutivo
La riforma ha poi definitivamente sdoganato il duplicato informatico; com’è noto il duplicato informatico non è altro se non l’originale del documento digitale e – come tale – non aveva in realtà bisogno di un vero e proprio riconoscimento normativo, in ogni caso la novella normativa ha avuto il merito di specificarne l’utilizzabilità in ogni fase e grado del procedimento civile e, in particolare, ha definitivamente chiarito come lo stesso valga a tutti gli effetti quale titolo esecutivo.
La riforma Cartabia, infatti, aveva modificato l’art. 475 c.p.c. eliminando la necessità della formula esecutiva e stabilendo che “Le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti dell’autorità giudiziaria, nonché gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, per valere come titolo per l’esecuzione forzata, ai sensi dell’articolo 474, per la parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l’obbligazione, o per i suoi successori, devono essere rilasciati in copia attestata conforme all’originale”; la circostanza di aver fatto esclusivo riferimento alla copia attestata conforme, aveva – per parte della dottrina – escluso l’utilizzabilità del duplicato informatico come titolo per l’esecuzione.
Oggi, il correttivo di cui ci stiamo occupando, ha finalmente inserito anche il duplicato informatico all’interno del suddetto art. 457 c.p.c., eliminando ogni dubbio sulla valenza dello stesso quale – appunto – titolo esecutivo.
Il decreto ingiuntivo su fattura elettronica
Con la modifica dell’art. 634 c.p.c., infine, la riforma ha finalmente stabilito ex lege che per l’ottenimento del decreto ingiuntivo possa bastare anche il mero deposito di una fattura elettronica.
La giurisprudenza di riferimento, infatti, aveva assunto un orientamento ondivago sul rilascio di detto decreto quando lo stesso fosse basato su fattura.
Per parte della giurisprudenza, come detto, non sarebbe bastato il semplice deposito del documento informatico per l’emissione del provvedimento, essendo altresì necessario trasmettere la copia autentica delle scritture contabili.
Il nuovo testo dell’art. 634, invece, chiarisce come “costituiscono inoltre prova scritta idonea le fatture elettroniche trasmesse attraverso il Sistema di interscambio istituito dal Ministero dell’economia e delle finanze e gestito dall’Agenzia delle entrate”, con ciò eliminando – di fatto – la diatriba giurisprudenziale sul punto e rendendo molto più semplice l’allegazione documentale volta all’emissione del decreto ingiuntivo.