Notifica di un atto a mezzo PEC: è possibile rimediare in caso di violazione delle norme
Con provvedimento dello scorso 25 gennaio 2022, la Suprema Corte è tornata ad occuparsi della notificazione a mezzo PEC e, in particolare, delle modalità con le quali debba essere fornita la prova di notificazione. Vediamo insieme in questo articolo quanto stabilito in Corte di Cassazione.
Nel caso oggetto di esame da parte degli Ermellini, la prova della notificazione a mezzo PEC della sentenza di primo grado era stata fornita tramite la stampa delle ricevute di posta elettronica certificata.
Come è noto, però, l’art. 9 comma 1bis della legge 53/1994 determina casi specifici nei quali si possa provvedere alla stampa di ricevute di questa tipologia ai fini probatori, ossia: “qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell’atto notificato a norma dell’articolo 3-bis…”, nel caso di specie invece, stante la chiara possibilità di depositare nel procedimento di appello le ricevute telematiche della notificazione, detto articolo non poteva trovare applicazione.
Ciò chiarito, comunque, la Suprema Corte ha stabilito come la violazione della normativa sulle notifiche, non comporti l’inesistenza ma unicamente la nullità della notifica stessa, ritenendo che: “nell’ipotesi di notifica di un atto a mezzo di posta elettronica certificata, qualora la parte non sia in grado di fornirne la prova ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9 la violazione delle forme digitali non integra l’inesistenza della notifica del medesimo, bensì la sua nullità, che pertanto può essere sanata dal raggiungimento dello scopo”; scopo che – nel caso di specie – era stato raggiunto grazie alla costituzione in giudizio della parte e alla corretta integrazione del contraddittorio.
La Corte di Cassazione, in sostanza, ha ancora una volta ribadito come la violazione di norme strettamente attinenti alla notificazione e alla prova della stessa, possano tranquillamente essere sanate dalla previsione di cui all’art. 156 ultimo comma c.p.c.