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Deposito degli atti penali via PEC alla luce della pronuncia 32566/2020 della Corte di Cassazione

Con la pronuncia 32566/2020 della Corte di Cassazione sono stati chiariti alcuni punti in merito al deposito degli atti penali via PEC. Vediamo nel dettaglio quanto esplicitato dalla Corte di Cassazione e alcuni spunti di riflessione sul tema.

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Come è noto, a seguito dell’emanazione del Decreto Legge 28 ottobre 2020 n. 137, nel nostro Ordinamento è stato di fatto introdotta una prima – e se vogliamo embrionale –  forma di Processo Penale Telematico. In particolare, oltre al deposito obbligatorio digitale degli atti previsti dall’art. 415bis c.p.p., il comma 4 dell’art. 24 del decreto in parola, ha previsto la possibilità di inviare “tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2, fino alla scadenza del termine di cui all’articolo 1 del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, [omissis] mediante posta elettronica certificata inserita nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata di cui all’art. 7 del decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44. Il deposito con le modalità di cui al periodo precedente deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati e pubblicato sul Portale dei servizi telematici. Con il  medesimo provvedimento sono indicate le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio”.

Pronuncia 32566 del 19 novembre 2020 della Corte di Cassazione

Orbene, la norma de qua – in realtà pienamente attuata solo il 9 novembre 2020 a seguito dell’emanazione del provvedimento della DGSIA – si pone in netto contrasto con la recente pronuncia 32566 del 19 novembre 2020 (udienza 3 novembre 2020) della Suprema Corte di Cassazione.

Gli Ermellini, all’interno della pronuncia de qua, ricostruiscono il regime dei depositi degli atti di impugnazione a seguito della trasmissione via PEC di motivi aggiunti a un ricorso in Cassazione da parte della Procura presso il Tribunale di Bologna. Nel caso di specie la Suprema Corte ha ritenuto inammissibili gli ulteriori motivi di ricorso, poiché trasmessi alla cancelleria tramite Posta Elettronica Certificata.

Sul punto si è ulteriormente precisato che – in base a vari precedenti fra cui quello del 5 marzo 2020 n° 12949 della Sez. 5 della medesima Corte – “in tema di giudizio appello, sono inammissibili i motivi aggiunti trasmessi mediante posta elettronica certificata, essendo consentito l’utilizzo di tale mezzo solo per le notificazioni e comunicazioni da effettuarsi a cura della cancelleria”.

Fin qui nulla di nuovo, nel senso che – come correttamente sottolineato con la pronuncia in commento – l’orientamento della Suprema Corte in tema di deposito via PEC di atti relativi ai procedimenti penali, è oramai definibile granitico. Gli Ermellini, però, si spingono oltre, andando ad analizzare la portata del sopra citato art. 24 del Decreto Legge 137/2020 che, alla data dell’udienza della Corte – era entrato in vigore da pochi giorni e non aveva ancora avuto piena attuazione, mancando il provvedimento della DGSIA emesso solamente il 9 novembre scorso.

Come detto, sul punto, la Suprema Corte ha stabilito: “Rispetto a tale costante e condiviso orientamento giurisprudenziale, deve valutarsi l’eventuale portata innovativa dei commi 4 e 5 dell’art. 24 decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, che così prevedono: [omissis]. Va, anzitutto, definito il contesto dell’intervento normativo d’urgenza posto in essere per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19. Il comma 1 dell’art. 24 cit. disciplina il deposito presso (alcuni) uffici della Procura della Repubblica di memorie, documenti, richieste, istanze di cui all’art 415-bis, comma 3, cod. proc. pen. Si prevede espressamente che tale adempimento possa avvenire esclusivamente utilizzando uno strumento denominato «portale del processo penale telematico», da individuarsi con provvedimento del direttore generale servizi informativi automatizzati del Ministero della giustizia e con le modalità ivi stabilite, anche in deroga alle vigenti modalità previste dal D.M. 44/2011 e successive modifiche. [omissis] Ciò premesso, deve concludersi nel senso che la disposizione concernente il deposito telematico a valore legale di cui all’art. 24 DL 137 del 2020 è rivolta espressamente al solo settore penale e, in particolare, al deposito degli atti relativi alla fase ex art. 415-bis cod. proc. uffici della Procura della Repubblica a ciò abilitati. [Omissis] Rispetto a tale innovazione, introdotta per il deposito degli atti della fase ex art 415-bis proc. pen. Oggetto di deposito negli uffici della Procura della Repubblica, è necessario domandarsi quale sia il significato e la portata dei citati commi 4 e 5 del medesimo art. 24 DL n. 137 del 2020 che sembrano invece consentire il deposito di «tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati» mediante elettronica certificata”.

Gli Ermellini, quindi, hanno proceduto a individuare la portata applicativa dei commi 4 e 5 del sopra citato art. 24 D.L. 137/2020 arrivando, da un lato, a ritenere applicabile la nuova modalità di deposito tramite posta elettronica certificata ai soli atti rivolti all’ufficio della Procura della Repubblica, quando essa non sia abilitato all’uso del portale di cui al comma I dell’art. 24 cit., valorizzando una lettura sistematica delle previsioni contenute nell’art. 24; in pratica, siccome il primo comma riguarda il deposito degli atti presso la Procura nella sola fase di cui all’art. 415bis cod. proc. pen. le restanti disposizioni potrebbero essere interpretare alla luce del contesto di applicazione stabilito all’esordio dell’articolo e applicarsi perciò, soltanto per il deposito negli (altri) uffici della Procura che non siano dotati del portale” e, dall’altro, sottolineando come “quando il codice di rito prevede forme o modalità particolari per il deposito dell’atto processuale dallo stesso specificamente individuato, l’intervento d’urgenza introdotto con il DL n. 137 del 2020 non esplica efficacia derogatoria, né, tanto meno, può essere attribuito alcun raggio di azione al provvedimento emesso dall’autorità tecnica che eventualmente intervenga in questa materia. Manca, del resto, un’espressa deroga, con riguardo all’uso della pec, alle disposizioni normative contenute nel DL n. 193 del 2009 e nel relativo regolamento delegato n. 44 del 2011, sicché la regolamentazione introdotta dal DL n. 173 del 2020 non è in grado di derogare – nella materia delle impugnazioni – alle disposizioni dianzi citate”.

In virtù di tali premesse interpretative, gli Ermellini hanno quindi ritenuto inammissibili gli ulteriori motivi di impugnazione trasmessi dalla Procura della Repubblica di Bologna per il tramite della PEC.

Alcuni punti di dibattito

Alla luce di quanto sin qui premesso, però, questo commentatore non può esimersi dall’evidenziare alcuni punti di dibattito che potrebbero scaturire dalla ricostruzione esegetica eseguita dalla Suprema Corte. In primis i Giudici di Cassazione analizzando la norma di cui all’art. 24 D.L. 137/2020 non sembrano tener conto dell’effettiva portata applicativa della norma de qua che, con tutta probabilità, potrebbe non applicarsi al caso di specie; da un lato perché tale norma non aveva ancora trovato piena attuazione alla data in cui la decisione è stata assunta, dall’altra poiché, analizzando i commi 4 e 5 dell’articolo sopra citato, appare chiaro come gli stessi si riferiscano agli atti depositati ad opera dei Difensori di imputati e parti civili e non da parte della Procura della Repubblica. Proprio il comma 5, difatti, esordisce precisando “Ai fini dell’attestazione del deposito degli atti dei difensori inviati tramite posta elettronica  certificata  ai  sensi  del  comma precedente….[omissis]”.

Superando, però, il problema dell’applicabilità al caso concreto della norma in commento, la pronuncia in analisi è da valutarsi sotto ulteriori profili. La Suprema Corte ha ritenuto applicabile il disposto di cui ai commi 4 e 5 ai soli atti “della Procura della Repubblica, quando esso non sia abilitato all’uso del portale di cui al comma 1 dell’art. 24 cit”, ma il comma 5 non fa riferimento alle sole “segreterie” della Procura della Repubblica ma anche alla “cancelleria degli uffici giudiziari” e quindi anche a quelle di Tribunali, Corti d’Appello, etc. Tale elemento è stato poi confermato dal provvedimento DGSIA del 9 novembre 2020 che ha espressamente previsto, all’art. 2 comma 2, la creazione di specifici indirizzi PEC idonei alla ricezione di atti e documenti per:

  • Corte di Cassazione;
  • Procura Generale presso la Corte di Cassazione;
  • Corti di Appello;
  • Procure Generali presso la Corte di Appello;
  • Tribunali;
  • Procure della Repubblica presso il Tribunale;
  • Tribunali per i Minorenni;
  • Procure della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni;Tribunali e Uffici di Sorveglianza
  • Giudici di Pace.

In relazione, invece, alla mancata deroga espressa che l’art. 24 avrebbe dovuto contenere alla normativa del codice di procedura penale e al D.L. n. 193 del 2009, vi è da sottolineare come il D.L. 137/2020 sia cronologicamente successivo alle norme appena citate e come – di fatto – sia provvedimento di egual rango gerarchico rispetto a tali provvedimenti normativi, per cui ci si deve domandare se una deroga espressa fosse realmente necessaria al fine di ritenere immediatamente applicabili e operative le disposizioni nello stesso contenute.

In ogni caso, concludendo, si auspica una futura e celere revisione degli assunti espressi dalla Suprema Corte con la pronuncia in analisi, anche alla luce della necessità – in questo momento emergenziale – di permettere ai Difensori di recarsi il meno possibile presso gli uffici giudiziari per il deposito di atti e documenti, ciò proprio al fine di prevenire l’ulteriore diffondersi del virus COVID-19. È altresì auspicabile, poi, che proprio per chiarire l’effettiva portata delle disposizioni di cui all’art. 24 D.L. 137/2020, il legislatore provveda – in sede di conversione del decreto – a meglio esplicitare l’ambito applicativo della norma, includendo anche le espresse deroghe che la Suprema Corte ha ritenuto necessaria per la piena operatività della norma stessa.

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