Il lavoratore licenziato durante la prova può depositare il ricorso entro cinque anni
Il periodo di prova – fondamentale perché le parti valutino la reciproca convenienza alla definitiva instaurazione del rapporto – è soggetto a una serie di condizioni assai precise. Da ultimo, la Corte di Cassazione si è espressa con riguardo ai tempi di impugnazione nel caso in cui il datore risolva il rapporto mentre è in corso la prova, ragione di più per un sintetico riepilogo della materia.
Stipulare un patto di prova valido, ossia che “tenga” in giudizio a fronte di un eventuale ricorso presentato dal lavoratore, richiede l’osservanza di alcune regole fondamentali, che sono le seguenti:
- il patto va stipulato sempre in forma scritta;
- il lavoratore deve firmarlo prima di iniziare a prestare la propria attività;
- nell’atto scritto devono essere precisate (anche con “specifico” rinvio al contratto collettivo) le mansioni che formeranno oggetto della valutazione da parte del datore;
- se si tratta di un contratto a termine valgono le regole recentemente introdotte dall’articolo 13, co. 1, della legge 13 dicembre 2024, n. 203, e quindi, salve le disposizioni più favorevoli del contratto collettivo (che può solo ridurla), la durata della prova è fissata in 1 giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario (in ogni caso la sua durata non può essere inferiore a 2 giorni né superiore a 15 giorni, per i rapporti con durata fino a 6 mesi, e a 30 giorni, per quelli con durata da più di 6 mesi e meno di 12 mesi); in caso di rinnovo di un contratto per far svolgere le stesse mansioni, un ulteriore patto di prova non è ammesso;
- il recesso, durante o al termine del periodo di prova, è sempre “libero”, ossia non richiede che sia indicata alcuna motivazione e (a stretto rigore di legge) non è neppure necessario indicarne i motivi.
Vista dal lato del datore (che è il caso più frequente e rilevante), non applicare correttamente uno dei passaggi di cui sopra costa assai caro: il patto di prova si intende come non apposto e il contratto è da subito pienamente valido (e, quindi, per recedere, occorrono la giusta causa o il giustificato motivo).
Proprio a tale riguardo va segnalato l’intervento della Suprema Corte (ordinanza 8 aprile 2025, n. 9282), la quale ha stabilito che, se il lavoratore impugna il licenziamento motivato con il mancato superamento della prova in presenza di un patto non valido, i termini a suo favore non sono quelli previsti dall’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (60 giorni, seguiti da altri 180, ed eventualmente altri 60) ma quello ben più esteso – che è pari a 5 anni – previsto per la prescrizione ordinaria.
Attenzione, quindi, a questa delicata fase di avvio del rapporto di lavoro subordinato.
