Lavoro agile e buoni pasto
La spettanza o meno del diritto ai buoni pasto a favore dei dipendenti che si trovano in regime di lavoro agile ben si presta a essere risolta in sede di contrattazione collettiva, anche aziendale; se non altro al fine di evitare l’insorgere di un costoso contenzioso giudiziale.
L’esempio positivo, in quanto chiarisce la situazione, viene da quei contratti collettivi aziendali nei quali si precisa, nero su bianco, se il buono pasto spetta o meno al dipendente anche in relazione alle giornate lavorative rese in “smart working”. È questo il caso, per stare solo al caso più recente, della Panini Spa di Modena (quella delle famose figurine), approvato a grande maggioranza dai dipendenti, che prevede il diritto al ticket da 6,00 euro anche in tale ipotesi. Si tratta di una scelta a favore della quale si erano già espressi, per esempio, gli accordi aziendali siglati in Ducati, Zurich, Allianz, eccetera.
In difetto di una previsione collettiva, come anticipato sopra, sarà il giudice a decidere su di un eventuale contenzioso. A tale proposito, per esempio, il Tribunale di Venezia, con decreto dell’8 luglio 2020, ha stabilito che i buoni pasto non sono dovuti al lavoratore in smart working. Tale orientamento si fonda sul fatto che buoni e ticket non hanno natura retributiva, e quindi – in assenza di diversa previsione nell’accordo individuale o collettivo – non si applica l’articolo 20, co. 1, della legge 22 maggio 2017, n. 81, a mente del quale il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi, nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni solo all’interno dell’azienda.
In buona sostanza, per evitare problemi, meglio chiarire con il dipendente, in fase di stipula dell’accordo individuale di lavoro agile, chi paga il pranzo quando la prestazione viene resa al di fuori dei locali aziendali!