Processo tributario telematico

Tempo di lettura:

Tempo di lettura:

Notifiche degli atti di riscossione: validità a rischio se provengono da indirizzi PEC “non riconosciuti”

Negli ultimi mesi, in particolare tra la fine del 2021 e l’anno in corso, sta maturando una considerevole giurisprudenza di merito relativamente alla validità delle notifiche PEC provenienti da indirizzi di posta elettronica certificata non risultanti nei pubblici registri IPA, REGINDE e della Camera di Commercio. La vicenda investe, soprattutto, gli atti provenienti dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione che vengono notificati su scala regionale da indirizzi PEC non risultanti dai detti registri nemmeno a livello di articolazione.

I presidi normativi

La possibilità di eseguire per via telematica le notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali è contemplata già dall’art. 3 bis L. n. 53 del 1994, che sancisce come “la notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi”.

Questa disposizione, la prima nel nostro ordinamento a disciplinare l’avvento del “digitale” nei procedimenti giurisdizionali – con ben 11 anni di anticipo rispetto al Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), prevede che la notificazione si esegue a mezzo di posta elettronica certificata dall’indirizzo/all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.

A contemplare detti pubblici elenchi provvede poi il cosiddetto Codice dell’Amministrazione Digitale, D. Lgs. n. 82/2005, il quale all’articolo 6-ter, rubricato “Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori dei pubblici servizi”, prevede espressamente che “Al fine di assicurare la pubblicità dei riferimenti telematici delle pubbliche amministrazioni e dei gestori dei pubblici servizi è istituito il pubblico elenco di fiducia denominato “Indice dei domicili digitali della pubblica amministrazione e dei gestori di pubblici servizi”, nel quale sono indicati i domicili digitali da utilizzare per le comunicazioni e per lo scambio di informazioni tra le pubbliche amministrazioni, i gestori di pubblici servizi e i privati”, disponendo al comma 3 che “le amministrazioni di cui al comma 1 e i gestori di pubblici servizi aggiornano gli indirizzi e i contenuti dell’Indice tempestivamente e comunque con cadenza almeno semestrale”.

Conclude il quadro normativo l’art. 16-ter del D.L. n. 179 del 2012, convertito in L. n. 221 del 2012, che recita testualmente: “A decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 4 e 16, comma 12, del presente decreto”, ovvero “IPA”, “Reginde”, “Inipec”.

Ne deriva che la notifica, laddove venga effettuata tramite lo strumento della Posta elettronica certificata (PEC), non soltanto soggiace al rispetto della normativa concernente la sottoscrizione e la trasmissione dei documenti informatici – di cui al citato Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) – ma necessariamente opera per il tramite dei soli “domicili digitali” riconosciuti dalla normativa vigente.

Cosicché, qualunque notifica proveniente da un indirizzo PEC differente da quello contenuto nei pubblici registri risulta in contrasto con la normativa richiamata e, pertanto, inequivocabilmente priva di effetti giuridici.

La giurisprudenza

A conforto delle tesi difensive che stanno dilagando nelle Commissioni Tributarie nazionali giungono diverse posizioni della giurisprudenza di legittimità, a cominciare da Cassazione, 10 febbraio 2020, n. 3093, con la quale è stato enunciato il principio di diritto secondo cui “La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi”, alla luce di una precedente precisazione che l’elencazione dei Pubblici Registri non è esclusiva ma tassativa e fondata sulla pubblica riconducibilità dell’indirizzo al soggetto (Cassazione, 27 giugno 2019, n. 17346), e in considerazione che la derivante illegittimità della notifica non è suscettibile di sanatoria (Cassazione, 8 febbraio 2019, n. 3709 e Cassazione, 27 settembre 2019, n. 24110).

Il solco tracciato è stato ampiamente accolto dalla giurisprudenza di merito delle Commissioni Tributarie le quali, tanto a livello provinciale quanto regionale, hanno sancito l’inesistenza delle notifiche provenienti da indirizzi PEC non integranti il “domicilio digitale” dell’Ente preposto alla riscossione dei tributi erariali.

Solo per citare le più recenti, e invero articolate pronunce, la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, con sentenza del 12 febbraio 2020 n. 5232/2020, ha ritenuto la notifica “priva di effetti giuridici” in ragione dell’incontestabile “necessità che l’attività di notifica avvenga mediante l’utilizzo di indirizzi di posta elettronica risultanti dai pubblici elenchi: ciò, evidentemente, al fine di assicurare la necessaria certezza sulla provenienza e sulla destinazione dell’atto notificando”, alla quale ha fatto seguito la recente e considerevole sentenza della medesima Commissione del 1° giugno 2022, n. 5911.

La tesi dell’inesistenza giuridica della notifica ha poi attecchito considerevolmente presso la Commissione Tributaria di Roma, dove nel solo 2020 si registrano ben quattro sentenze, la n. 2799 del 28 febbraio 2020, la n. 9724 del 13 ottobre 2020, la n. 10571 del 2 dicembre 2020 e la n. 767/2021 del 4 dicembre 2020, con le quali i Giudici capitolini hanno affermato, con riferimento alla notifica di una cartella di pagamento, che essa “deve considerarsi inesistente, essendo stata notificata – come dimostrato dalla documentazione prodotta dalla società ricorrente, attraverso una casella pec spedita da un indirizzo di posta certificata … non risultante dai registri ufficiali Reginde o Indice PA, né riferibile all’agente della riscossione neanche attraverso il ricorso al sito web dell’Agenzia” (sentenza n. 9724/2020), da cui “La notifica della cartella esattoriale è insanabilmente nulla (nella forma giuridica della nullità), in quanto l’ente della Riscossione, in qualità di soggetto notificante, non aveva utilizzato la PEC attribuita all’Agenzia delle Entrate Riscossione” (sentenze nn. 2799/2020, 10571/2020 e 767/2021).

La controversia è già stata oggetto di analisi e decisione anche al superiore livello delle Commissioni Regionali, e dunque già “in rampa di lancio” per il giudizio per cassazione, atteso che la Commissione Tributaria Regionale della Toscana, con la sentenza 15 dicembre 2021 n. 1526/2021, ha prioritariamente affermato come “deve essere assicurato al destinatario di poter verificare che l’indirizzo pec dal quale proviene un atto della Pubblica Amministrazione sia riconducibile effettivamente a quest’ultima e, quindi, ricompreso in pubblici elenchi” per poi sentenziare che “pertanto, la notifica pec si intende validamente effettuata (nel rispetto degli altri requisiti richiesti ex lege) se effettuata da un indirizzo Pec certificato ed inviata ad un indirizzo Pec anch’esso certificato”, mentre la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con la recente sentenza 28 febbraio 2022 n. 915/2022, ha sentenziato come “la mancata dimostrazione dell’inserimento della casella di posta elettronica erariale nei registri pubblici rende la notifica della cartella originariamente impugnata inesistente e, come tale, non suscettibile di sanatoria”.

E si ha tutta l’impressione che non sia finita qui.

Link iscrizione multi rubrica