Tutele crescenti e licenziamento illegittimo nelle PMI: “salta” il limite delle 6 mensilità
A seguito di quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nella sentenza 21 luglio 2025, n. 118, pare sempre più urgente la riforma della disciplina di tutela del lavoratore illegittimamente licenziato. In particolare, il risarcimento spettante a un lavoratore soggetto al decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, è ora molto più elevato di quello al quale potrebbe aspirare un “vecchio” dipendente. Vediamo perché.
Premesso che di seguito ci occuperemo solo dei lavoratori alle dipendenze di un datore che ha un massimo di 15 dipendenti nel comune o nell’unità produttiva (e che, in ogni caso, non ne ha più di 60 in tutto il territorio nazionale), se si tratta di un assunto a tempo indeterminato entro il 6 marzo 2015, si applica l’art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604. E quindi, se il giudice accerta l’illegittimità del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore deve riassumere il prestatore entro 3 giorni o, in mancanza (a sua scelta), risarcire il danno con un’indennità che va da 2,5 a 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. La misura massima dell’indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore con anzianità superiore ai 10 anni, e fino a 14 mensilità per quello con anzianità oltre i 20 anni, se dipendenti da datore con più di 15 dipendenti.
Invece, se il lavoratore è stato assunto a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015, che ha introdotto le cosiddette tutele crescenti), in caso di licenziamento illegittimo la tutela spettante (solo di tipo economico), era fissata – dall’art. 9, co. 1 – nella metà di quella prevista dall’articolo 3, co. 1 (indennità da 6 a 36 mensilità), ma non poteva superare il limite di 6 mensilità. Ebbene, l’articolo 9, co. 1, è stato dichiarato illegittimo (Corte Cost. 21 luglio 2025, n. 118), limitatamente alle parole “e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità”.
In pratica, se si tratta di un cosiddetto “nuovo dipendente” di un datore cd. “di minori dimensioni”, in caso di licenziamento dichiarato illegittimo dal giudice, il risarcimento ora va da un minimo di 3 (la metà del minimo previsto per un datore cosiddetto “di maggiori dimensioni”) a un massimo di 18 mensilità (la metà del massimo per un datore cosiddetto “di maggiori dimensioni”). È del tutto evidente lo “squilibrio” rispetto alla misura dell’indennità massima (solo 6 mensilità, salvo casi assai particolari) cui può arrivare il giudice se si tratta di un vecchio assunto.
C’è però un’ultima notazione indispensabile: la cancellazione del limite delle 6 mensilità impatta anche sull’offerta di conciliazione, disciplinata dall’art. 6 del D.Lgs. n. 23/2015. Quindi, sempre se si tratta di un datore cosiddetto “di minori dimensioni”, il minimo (per i primi 3 anni di servizio) è pari a 1,5 mensilità, da incrementarsi di mezza mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni ulteriore anno di servizio, fino ad arrivare a un massimo di 13,5 mensilità dopo 27 anni (a fronte del precedente “tetto” di sole 6 mensilità).