Lavoro e HR

Le mansioni del lavoratore

La disciplina normativa delle mansioni, dopo le modifiche introdotte dal Jobs Act nel 2015, e poi dal recente decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104 (cd. decreto trasparenza) continua a rappresentare uno dei “temi caldi” del diritto del lavoro, ciò specialmente nel caso in cui il datore di lavoro intenda procedere alla loro modifica in senso peggiorativo. Di seguito il punto sull’argomento, considerando anche i riflessi su altri importanti istituti.

L’importanza delle mansioni svolte dal lavoratore

Le mansioni concretamente svolte da parte del dipendente hanno una fondamentale rilevanza nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato: infatti, oltre a definire i compiti che di fatto vengono attribuiti al dipendente, sono utili al fine di individuare il trattamento spettantegli: a tal fine, come reiteratamente e univocamente affermato da parte della giurisprudenza di legittimità e di merito, occorre far riferimento al cosiddetto “procedimento trifasico”, che consiste nella sequenza logica di seguito esposta:

  • accertamento in fatto delle attività lavorative concretamente svolte (ossia le mansioni disimpegnate quotidianamente);
  • individuazione delle qualifiche e dei livelli previsti dal contratto collettivo di categoria (eventualmente integrato da quello di secondo livello);
  • confronto tra il risultato della prima indagine e i testi delle norme contrattuali come individuati nella seconda (così, da ultimo, Cass. ordinanza 8 febbraio 2021, n. 2972.

Tra l’altro, l’art. 4, co. 1, lettera a), del decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104 – che ha integralmente sostituito l’articolo 1 (Informazioni sul rapporto di lavoro) del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152 – dispone che il datore di lavoro (pubblico e privato) è tenuto a comunicare al lavoratore, con le modalità di cui al co. 2, le informazioni relative all’inquadramento, al livello e alla qualifica attribuiti al lavoratore o, in alternativa, le caratteristiche o la descrizione sommaria del lavoro. Sempre per restare alle ultime novità, va poi evidenziato anche quanto segue:

  • il datore o il committente (pubblico e privato) deve informare il lavoratore dell’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori; resta fermo quanto disposto dall’articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (articolo 1-bis, co, 1, del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152, come inserito dall’articolo 4, co. 1, lettera b), del decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104);
  • nel rapporto di lavoro a tempo determinato, il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego (articolo 7, co. 2, primo periodo, del decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104).

Disciplina normativa sulle mansioni del lavoratore: generalità dei casi

Di grande rilevanza sono le modifiche apportate all’articolo 2103 cod. civ. da parte dell’articolo 3 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, con decorrenza a partire dal 25 giugno 2015. Va precisato che – in base a quanto previsto dall’articolo 26, co. 1, del decreto legislativo 28 febbraio 2023, n. 36, le disposizioni contenute nell’articolo 2103 cod. civ. non si applicano ai contratti di lavoro subordinato sportivo. Al netto delle ulteriori disposizioni relative alla modifica “al ribasso” delle mansioni (sulle quali, nel dettaglio, ci soffermeremo più avanti), la situazione è quella rappresentata nella tabella che segue.

ARTICOLO 2103 DEL CODICE CIVILE: INDIVIDUAZIONE DELLE MANSIONI

“Vecchia” disciplinaDisciplina vigente
Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni: a) per le quali è stato assunto; o b) a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito; ovvero c) a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni: a) per le quali è stato assunto; o b) a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito; ovvero c) a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.

Le differenze non sono di poco conto, e possono essere così sintetizzate:

  • non muta la previsione iniziale, secondo cui il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto (a tale proposito vale, quindi, il contratto di lavoro);
  • muta in parte la seconda ipotesi, in base alla quale il lavoratore deve essere adibito – invece che alle mansioni corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito (come nell’ipotesi previgente) – a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore (non necessariamente alla “categoria”, ossia: dirigente, quadro, impiegato od operaio) che abbia successivamente acquisito;
  • muta radicalmente la terza ipotesi, ossia quella relativa al fatto che il lavoratore (prima) poteva essere adibito a “mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte”: infatti, le mansioni “equivalenti” – peraltro fonte di infinito contenzioso data la vaghezza della nozione di “equivalenza” – sono di fatto scomparse, essendo state sostituite da quelle “riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”.

In pratica, in base alla nuova disciplina, il datore di lavoro può assegnare mansioni differenti al dipendente nel caso in cui – da parte del contratto collettivo applicato – queste siano state inserite nel medesimo livello (per esempio il quarto) e categoria legale, ossia appunto, per esempio, nella categoria degli “impiegati”. Si tratta, quindi, di una notevole semplificazione del possibile esercizio del cd. jus variandi che è normalmente attribuito al datore di lavoro e di un elemento che riduce notevolmente il possibile contenzioso.

Sostituzione di un collega assente

Anche a tale proposito, le norme contenute nel Job Act hanno modificato la situazione: si veda la tabella che segue.

ARTICOLO 2103 DEL CODICE CIVILE: SOSTITUZIONE DI LAVORATORE ASSENTE

“Vecchia” disciplinaDisciplina vigente
Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta, e l’assegnazione diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a 3 mesi. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo 6 mesi continuativi.

Anche in tal caso, le differenze non sono di poco conto, e possono essere così sintetizzate:

  • non cambia l’assunto iniziale, in base al quale, nel caso di avvenuta assegnazione a mansioni superiori, il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta;
  • restando sempre esclusa l’ipotesi della sostituzione di un collega assente ma avente diritto alla conservazione del posto (ad esempio, per malattia o maternità), l’assegnazione diviene ora definitiva dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo 6 mesi continuativi: si noti che prima i mesi erano solo 3 e non era previsto che fossero continuativi: in pratica, la nuova disciplina rende assai più difficile la cd. “promozione automatica”;
  • infine, sempre a differenza che nel passato, è stato inserito l’inciso “salvo diversa volontà del lavoratore”, il quale potrebbe quindi rifiutare tale “promozione”, per esempio perché “non se la sente” dal punto di vista psicologico e/o non vuole maggiori responsabilità per essere più “libero”.

“Mini” demansionamento: modifica degli assetti organizzativi aziendali

L’art. 2103 cod. civ., al co. 2, dispone che, in caso di avvenuta modifica degli assetti organizzativi aziendali che incida sulla posizione del lavoratore, questo può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale.

A tale riguardo va evidenziato quanto segue:

  • la modifica degli assetti organizzativi aziendali, con tutta evidenza, può essere decisa unilateralmente da parte del datore di lavoro (salvo che non sia stato coinvolto il sindacato in virtù di accordi più ampi o per il “peso” delle RSA/RSU in azienda) in base ai poteri che, tra gli altri, gli riconosce l’articolo 41 della Costituzione;
  • tale modifica deve “incidere” sulla posizione del lavoratore, ossia non è possibile “demansionare” un dipendente che sia rimasto estraneo a quanto in esame;
  • il dipendente può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore – ossia a quello immediatamente inferiore, essendo quindi esclusi demansionamenti che vadano oltre tale “soglia limite” – purché rientranti nella medesima categoria legale: in pratica, se si tratta di un impiegato deve rimanere inquadrato all’interno di tale categoria.

Inoltre, in relazione alla specifica ipotesi che stiamo esaminando, il co. 3 precisa che il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione dei nuovi compiti (si tratta, invero, di una previsione assai singolare, debole nonché praticamente inutile).

Inoltre, ai sensi del co. 5, nell’ipotesi che stiamo esaminando:

  • il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità; e
  • il lavoratore ha diritto a conservare il livello di inquadramento e il trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.

Quindi, in pratica, la retribuzione non viene ridotta (non può mai esserlo), salvo che si tratti appunto di “elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa”, quali, per esempio, l’indennità di cassa (o di maneggio denaro), che può essere eliminata nel caso in cui le nuove mansioni assegnate non comportino più il rischio patrimoniale a carico del lavoratore. Infine, ai sensi del comma 9, salvo che ricorrano le condizioni di cui appena sopra, ogni patto contrario è (radicalmente) nullo.

Da ultimo, proprio in relazione all’ipotesi in esame e con riguardo al contratto di rete attuato in regime di codatorialità, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (si veda la Nota 22 febbraio 2022, n. 315), ha precisato che resta salva la possibilità di riferire il mutamento degli assetti organizzativi abilitanti l’adibizione a mansioni inferiori di cui all’art. 2103, co. 2, cod. civ., al contratto di rete, fermo il diritto del lavoratore a conservare la categoria di inquadramento e il trattamento retributivo in godimento.

“Mini” demansionamento: contratti collettivi

In aggiunta all’ipotesi di cui appena sopra, l’art. 2103 cod. civ., al co. 4, dispone che ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi (nazionali, territoriali o aziendali).

→  Nota Bene – L’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, dispone che per contratti collettivi si intendono esclusivamente quelli indicati di seguito:

  • i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; e
  • i contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.

Anche in tale ipotesi, quindi, la categoria non può essere ridotta come avverrebbe nel caso in cui, per esempio, ove al lavoratore “quadro” venissero attribuite le mansioni da “impiegato”.

Anche in relazione a tale ipotesi opera il co. 5, a mente del quale:

  • il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità; e
  • il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.

Infine, anche in tale ipotesi, come in quella esaminata appena sopra, ai sensi del co. 9, salvo che ricorrano le citate condizioni, ogni patto contrario è nullo.

Infine, quanto ai poteri di intervento della contrattazione collettiva, non può non ricordarsi quanto previsto dall’art. 8 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 (convertito in legge, con modifiche, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148), in materia di contratti di prossimità. Ebbene, tale norma, per quanto qui di specifico interesse, dispone espressamente che:

  • i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, all’emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività (co. 1);
  • le specifiche intese di cui al co. 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale (co. 2, lettera b);
  • fermo il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al co. 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal co. 2 e alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro (co. 2-bis).

Demansionamento “totale

Se appare evidente che le prime due disposizioni citate consentono sì il demansionamento ma, per contro, dispongono di un campo di applicazione alquanto limitato, è pur vero che esiste un altro fondamentale strumento, di portata assai più rilevante. Ci stiamo riferendo al co. 6 della norma in esame, il quale dispone che:

  • nelle sedi di cui all’articolo 2113, co. 4; o
  • avanti alle commissioni di certificazione;

possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale, del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore al/alla:

  • conservazione dell’occupazione;
  • acquisizione di una diversa professionalità; o
  • miglioramento delle condizioni di vita.

Nel corso di tale assai delicata procedura, il lavoratore – se lo desidera – può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato, da un avvocato o da un consulente del lavoro (altrettanto non è espressamente previsto a favore del datore di lavoro ma pare una “dimenticanza” irrilevante, posto che la presenza del consulente del datore pare di fatto quasi scontata).

La norma, data la sua estrema rilevanza, merita una trattazione più approfondita.

Sedi previste

Al fine di tutelare le parti, con precipuo riguardo alla figura del dipendente, la norma non consente che la procedura si svolga “ovunque” ma individua specifiche sedi, ossia, per esempio, la sede sindacale, l’Ispettorato del Lavoro ovvero direttamente la commissione di certificazione, come disciplinata dagli articoli 75 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. La conciliazione in sede sindacale, ex art. 411, co. 3, cod. proc. civ., anche se è presente il rappresentante sindacale, non è valida se viene effettuata in azienda, che non è una “sede protetta” e quindi neutrale (Cass. ord. 15 aprile 2024, n. 10065).

→ Nota Bene – Le commissioni di certificazione possono essere istituite presso: gli enti bilaterali (costituiti dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative) nell’ambito territoriale di riferimento; l’Ispettorato Nazionale del Lavoro; le università pubbliche e private, incluse le Fondazioni universitarie; il Ministero del Lavoro, solo se il datore ha sedi in almeno due province anche di regioni diverse ovvero per i datori con unica sede associati a organizzazioni che abbiano predisposto schemi di convenzioni certificati dalla commissione istituita presso il Ministero; i consigli provinciali dei consulenti del lavoro, per i contratti instaurati nel territorio di riferimento.

Va da sé che, vista la previsione di chiusura contenuta nel co. 9, ogni patto contrario è nullo. Il che non vuol dire che le parti non possano avviare un confronto informale per capire se vi sono margini di manovra ma la trattativa vera e propria – o, meglio ancora, la ratifica dell’accordo del quale qui si ragiona – devono necessariamente avvenire in una delle sedi che sono state appositamente individuate da parte del legislatore.

Portata del demansionamento

Al contrario delle due ipotesi che sono state esaminate in precedenza (modifica degli assetti organizzativi aziendali ovvero intervento del contratto collettivo), in questo caso non sono previsti limiti particolari, potendo venire in discussione le mansioni, la categoria legale (con conseguente declassamento, per esempio, da quadro a impiegato), il livello di inquadramento e la relativa retribuzione.

Finalità dell’accordo

La norma, che contempla “l’interesse del lavoratore”, lo individua in una di queste fattispecie, espressamente tipizzate:

  • conservazione dell’occupazione;
  • acquisizione di una diversa professionalità; o
  • miglioramento delle condizioni di vita.

Le ultime due ipotesi si comprendono con qualche difficoltà. Si potrebbe forse ipotizzare che il lavoratore abbia interesse a essere demansionato (e ipo-retribuito) per acquisire una diversa professionalità dalla quale, nel futuro, speri di ottenere migliori possibilità di carriera nonché incrementi della retribuzione. Allo stesso modo, al fine di giustificare un demansionamento per “migliorare le condizioni di vita”, si potrebbe rappresentare il caso del lavoratore che, per ragioni di ricongiungimento familiare, chieda il passaggio ad altre mansioni o addirittura a un’altra sede di lavoro presso la quale la sua attuale professionalità non sia richiesta ma ne occorra una “inferiore”. Rispetto a entrambe tali situazioni, in ogni caso, sinora non risultano fattispecie concrete di particolare rilevanza.

Ben diverso è l’interesse a “conservare l’occupazione”, e quindi a evitare il licenziamento. Con tutta evidenza, l’ipotesi in esame riguarda un possibile licenziamento per giustificato motivo oggettivo, così come disciplinato dall’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604. La previsione normativa che stiamo esaminando riguarda – di fatto e in maniera speculare – l’obbligo di repêchage da parte del datore di lavoro il quale intenda procedere a un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. È del tutto evidente che invitare il dipendente – onde scongiurare il recesso – a un confronto in sede protetta, ricercando soluzioni alternative quali, per l’appunto, un demansionamento (eventualmente anche accompagnato dal trasferimento presso un’altra sede), rappresenta una strada che è consigliabile percorrere. Infatti:

  • in caso di esito positivo della trattativa: il dipendente resta in azienda, anche se con un inquadramento contrattuale variato (ossia ridotto, anche quanto al suo costo);
  • in caso di esito negativo: il datore, se ha agito in buona fede e correttamente, non dovrebbe avere problemi a dimostrare al giudice (allegando il verbale prodotto dalla commissione) di aver tentato di trovare una soluzione “non dolorosa” ma che l’accordo non è riuscito a causa del diniego opposto dal lavoratore interessato.

→ Nota Bene – Va evidenziato che il demansionamento di cui appena sopra non deve necessariamente consistere in un provvedimento definitivo. In altre parole, è ben possibile che le parti si accordino – a fronte di una delle ragioni previste dalla norma – che tale modifica della posizione contrattuale del dipendente abbia natura solamente temporanea, con possibilità di ritorno alle precedenti regolamentazioni, per esempio, dopo 12 o 18 mesi.

Regolamentazione delle mansioni del lavoratore: fattispecie particolari

A completamento di questa breve ricognizione della materia, pare opportuno ricordare di seguito alcune fattispecie particolari in relazione alle quali è prevista una peculiare regolamentazione delle mansioni, le quali possono essere riassunte come indicato nella tabella che segue.

Inidoneità alla mansione specifica (art. 42, co. 1, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81) Il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all’articolo 41, co. 6, attua le misure indicate dal medico competente e, qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica, adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza.
Whistleblower (art. 6, co. 2-quater, D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231); art. 17, co. 4, lettera c), D.Lgs. 10 marzo 2023, n. 24)È nullo il mutamento di mansioni ai sensi dell’art. 2103 cod. civ., nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti di colui che segnala illeciti. È onere del datore, in caso di controversie legate a demansionamenti o sottoposizione del segnalante ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, dopo la presentazione della segnalazione, dimostrare che tali misure sono fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa. Costituisce ritorsione il mutamento di funzioni.
Molestie e molestie sessuali (art. 26, co. 3-bis, D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198) La lavoratrice o il lavoratore che agisce in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni per molestia o molestia sessuale poste in essere in violazione dei divieti di cui al presente capo non può essere demansionato. È nullo il mutamento di mansioni ai sensi dell’art. 2103 cod. civ., nei confronti del denunciante. Tali tutele non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del denunciante per i reati di calunnia o diffamazione ovvero l’infondatezza della denuncia.
Licenziamento collettivo (art. 4, co. 11, legge 23 luglio 1991, n. 223) Gli accordi sindacali stipulati nel corso delle procedure di cui al presente articolo, che prevedano il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti, possono stabilire, anche in deroga al secondo comma dell’art. 2103 cod. civ., la loro assegnazione a mansioni diverse da quelle svolte.
Lavoratori disabili (art. 4, co. 4, e art. 10, co. 3, legge 12 marzo 1999, n. 68) Per i lavoratori che divengono inabili allo svolgimento delle proprie mansioni in conseguenza di infortunio o malattia, l’infortunio o la malattia non costituiscono giustificato motivo di licenziamento ove essi possano essere adibiti a mansioni equivalenti o, in mancanza, inferiori. Nel caso di destinazione a mansioni inferiori, essi hanno diritto a conservare il più favorevole trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza. Qualora non sia possibile l’assegnazione a mansioni equivalenti o inferiori, gli stessi vengono avviati, dagli uffici competenti di cui all’art. 6, co. 1, presso altra azienda, in attività compatibili con le residue capacità lavorative, senza inserimento nella graduatoria di cui all’art. 8. Nel caso di aggravamento delle condizioni di salute o di significative variazioni dell’organizzazione del lavoro, il disabile può chiedere che sia accertata la compatibilità delle mansioni a lui affidate con il suo stato di salute. Nelle stesse ipotesi, il datore può chiedere che vengano accertate le condizioni di salute del disabile per verificare se, a causa delle sue minorazioni, possa continuare a essere utilizzato in azienda. Ove si riscontri una condizione di aggravamento che sia incompatibile con la prosecuzione dell’attività lavorativa, o tale incompatibilità sia accertata con riferimento alla variazione dell’organizzazione del lavoro, il disabile ha diritto alla sospensione non retribuita del rapporto di lavoro fino a che l’incompatibilità persista. Il rapporto può essere risolto se, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, la commissione accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile in azienda.
Gravidanza (art. 7, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151)È vietato adibire le lavoratrici al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché ai lavori pericolosi, faticosi e insalubri. La lavoratrice è addetta ad altre mansioni per il periodo per il quale è previsto il divieto. La lavoratrice è, altresì, spostata ad altre mansioni nei casi in cui i servizi ispettivi del Ministero del Lavoro, d’ufficio o su istanza della lavoratrice, accertino che le condizioni di lavoro o ambientali sono pregiudizievoli alla salute della donna. La lavoratrice adibita a mansioni inferiori a quelle abituali conserva la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonché la qualifica originale. Si applicano le disposizioni di cui all’art. 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300, qualora la lavoratrice sia adibita a mansioni equivalenti o superiori.

Contratto di rete: codatorialità

L’art. 30 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, al co. 4-ter, dispone che, se il distacco di personale avviene tra aziende che hanno precedentemente sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del decreto legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’art. 2103 cod. civ.

Inoltre, per le stesse imprese è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso.

Tale argomento è stato fatto recentemente oggetto di trattazione da parte del decreto ministeriale 29 ottobre 2021, n. 205, e della Nota 22 febbraio 2022, n. 315, emanata dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Tali disposizioni, che concernono soprattutto l’introduzione di ben 4 nuovi modelli di comunicazione telematica – denominati Unirete, e riguardanti rispettivamente: Assunzione, Trasformazione, Proroga e Cessazione – sono entrate in vigore il 23 febbraio 2022. Ebbene, per quanto di specifico interesse con riguardo all’argomento del quale ci stiamo occupando, la Nota dell’INL anzitutto evidenzia che, nella compilazione del nuovo modello Unirete Assunzione, i dati richiesti sono gli stessi previsti nell’ordinario modello Unilav di instaurazione del rapporto di lavoro, con la specifica ulteriore delle “mansioni” svolte dal lavoratore.

In relazione ai rapporti tra l’istituto delle mansioni e il contratto di rete, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro – nella citata Nota 22 febbraio 2022, n. 315, ha precisato quanto segue:

  • il trattamento previdenziale e assicurativo del lavoratore in codatorialità è definito in base alla classificazione dell’impresa indicata nella comunicazione UniRete come datore di lavoro di riferimento e in virtù dell’imponibile retributivo determinato, in funzione di categoria, livello e mansioni assegnate al lavoratore, dal contratto collettivo riferibile a tale impresa;
  • ne consegue che il lavoratore, benché in codatorialità, in applicazione dell’art. 2103 cod. civ., deve essere adibito presso ciascun codatore alle mansioni per le quali è stato assunto, a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento;
  • resta quindi intangibile il regime regolatorio del cd. ius variandi, salva la possibilità di riferire il mutamento degli assetti organizzativi abilitanti l’adibizione a mansioni inferiori di cui all’art. 2103, co. 2, cod. civ. proprio al contratto di rete stipulato, fermo restando il diritto del lavoratore a conservare la propria precedente categoria di inquadramento nonché il trattamento retributivo in godimento.
Link iscrizione multi rubrica