Inammissibilità di un’istanza di riesame inviata a mezzo PEC: una precisazione della Corte di Cassazione
Oggi gli atti di impugnazione relativi ai processi penali possono essere inviati dal difensore a mezzo PEC utilizzando gli indirizzi indicati nel provvedimento DGSIA del 9 novembre 2020. A tal proposito la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta per chiarire se un’istanza di riesame possa essere considerata inammissibile se viene inviata a un indirizzo di posta elettronica certificata presente nell’elenco allegato al provvedimento DGSIA, ma non espressamente adibito alla ricezione delle impugnazioni cautelari. Vediamo quanto disposto dalla Corte di Cassazione.
L’art. 24 comma 6 bis e ss. del D.L. 137/2020 ha definitivamente sancito la possibilità per il difensore di inviare a mezzo PEC tutti gli atti di impugnazione relativi ai procedimenti penali. Come è noto, al fine di perfezionare correttamente l’invio dell’atto di impugnazione, il professionista dovrà utilizzare gli indirizzi inseriti – come allegato – all’interno del provvedimento DGSIA del 9 novembre 2020, ciò a pena di inammissibilità.
L’art. 24 comma 6 sexies lettera e) del D.L. 137/2020, difatti, prescrive espressamente la sanzione dell’inammissibilità “quando l’atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4 o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per il tribunale di cui all’articolo 309, comma 7, del codice di procedura penale dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4”.
Con nota di decisione n° 6/2021, la Suprema Corte di Cassazione si è occupata di una vicenda direttamente attinente alla norma appena citata; nel caso di specie, il difensore aveva inviato un’istanza di riesame via PEC estraendo correttamente l’indirizzo della Curia di destinazione dall’elenco allegato al provvedimento DGSIA del 9 novembre 2020. Tale elenco, però, annovera – per gli uffici di dimensioni medio/grandi – più di un indirizzo PEC utilizzabile ai fini dell’invio, tanto che i Presidenti dei Tribunali e delle Corti d’Appello, hanno in più casi siglato protocolli o emesso specifici decreti “smistando” i singoli indirizzi PEC in funzione di finalità specifiche o assegnandoli a singole cancellerie e segreterie.
Tornando alla vicenda che ci occupa, quindi, gli Ermellini si sono chiesti se l’applicazione della sanzione dell’inammissibilità, prevista dal sopra citato art. 24 comma 6 sexies, potesse applicarsi anche nel caso in cui il Difensore, pur avendo estratto l’indirizzo PEC – per l’invio dell’atto di impugnazione – dall’allegato al decreto DGSIA, non avesse però utilizzato lo specifico indirizzo di posta certificata che, con decreto del Presidente del Tribunale, era stato adibito alla ricezione – nel caso di specie – delle impugnazioni cautelari.
La risposta data dagli Ermellini è stata assolutamente negativa; decisione che, a parere di chi scrive, è certamente da condividere. Da un lato, infatti, la violazione di un provvedimento del capo dell’Ufficio non può – a parere della Cassazione – essere causa di declaratoria di inammissibilità, dall’altro – a parere di chi scrive – non si può pretendere la conoscenza di tutti i protocolli e provvedimenti dei singoli Uffici territoriali da parte dell’Avvocato che, di fatto, è abilitato a svolgere la propria professione in tutto il territorio nazionale e dal quale non si potrà, quindi, esigere la presa visione di ogni singolo provvedimento locale che – di fatto – non è normalmente pubblicato nemmeno in Gazzetta Ufficiale e del quale, di conseguenza, non si concede al difensore la possibilità di agevole conoscenza.