Cassazione Civile – La sesta sezione chiarisce l’orientamento in tema di attestazione di conformità della notificazione via PEC
Sulle pagine di questo portale ci siamo lungamente occupati del problema legato all’attestazione di conformità degli atti notificati a mezzo PEC dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione.
In particolare, con due diversi articoli (il primo reperibile a qui e il secondo qui), ci eravamo occupati delle pronunce n° 20672/2017 e n° 26520/2017 entrambe della sesta sezione della Corte di Cassazione, attraverso tali pronuncie gli Ermellini si erano occupati dell’improcedibilità del ricorso – per la violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, – nei casi in cui la parte, pur avendo dichiarato che la sentenza impugnata era stata notificata via PEC, non avesse però depositato copia autentica con la relazione di notificazione.
Tali pronunce, però, se da un lato hanno sostanzialmente sdoganato il principio della necessità di attestazione di conformità del messaggio PEC e della relata di notificazione allegata allo stesso, differivano in tema di attestazione del provvedimento notificato.
L’Ordinanza 20672/2017, infatti, aveva chiarito come l’Avvocato – in sede di attestazione della stampa della notificazione ricevuta via PEC – avrebbe dovuto provvedere a dichiarare la conformità non solo del messaggio e della relata ma anche del provvedimento trasmesso, mentre con la pronuncia 26520/2017 – sempre della sesta sezione della Corte di Cassazione – aveva espresso il seguente principio di diritto:
“Fintanto che il processo civile telematico non sarà attivato anche presso la Corte di cassazione, ai fini dell’osservanza dell’art. 369 cod. proc. civ., il difensore del ricorrente, che ha l’onere di depositare la copia conforme all’originale del provvedimento impugnato, qualora non abbia disponibilità della copia con attestazione di conformità rilasciata dalla cancelleria, deve estrarre una copia analogica dall’originale digitale presente nel fascicolo informatico e attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità dell’una all’altro, ai sensi dell’ art. 16-bis, comma 9-bis, del d.l. n. 179 del 2012, non soddisfacendo invece le condizioni di legge l’attestazione di conformità apposta direttamente sulla copia del provvedimento eventualmente notificato con modalità telematiche”; sostanzialmente prevedendo – quindi – l’impossibilità per il Difensore di attestare la conformità della copia del provvedimento impugnato estratto dalla PEC di notifica, e invece la necessità di provvedere al reperimento del provvedimento de quo tramite accesso al fascicolo telematico contenente la pronuncia oggetto di notificazione e successiva impugnazione.
Oggi, con la l’ordinanza 30765/2017, la sesta sezione della Suprema Corte di Cassazione dirime il contrasto giurisprudenziale sorto all’interno della sezione stessa, e lo fa affrontando direttamente ed in modo chiaro i due punti principali della fattispecie oggetto di commento.
In primis il contrasto sopra evidenziato viene risolto con la fissazione del seguente principio di diritto: “ai fini del rispetto di quanto imposto, a pena d’improcedibilità, dall’art. 369, comma 2, n. 2 c.p.c., il difensore che propone ricorso per cassazione contro un provvedimento che gli è stato notificato con modalità telematiche, deve depositare nella cancelleria della Corte di cassazione copia analogica, con attestazione di conformità ai sensi dei commi 1-bis e 1-ter dell’art. 9 della legge 53/1994, del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto, nonché della relazione di notifica e del provvedimento impugnato, allegati al messaggio. Non è necessario anche il deposito di copia autenticata del provvedimento impugnato estratta direttamente dal fascicolo informatico”.
Non sarà quindi necessaria (come si legge ulteriormente nella pronuncia in esame) una doppia attività di attestazione, bastando – in caso di notificazione del provvedimento oggetto di impugnazione – la sola attestazione a norma della Legge 53 del 1994: “Non vi è necessità di chiedere al difensore che riceve la notifica e decide di proporre ricorso per cassazione, di procedere a sua volta ad una estrazione di copia del provvedimento impugnato direttamente dal fascicolo informatico. Egli impugna il provvedimento che gli è stato notificato. L’art. 369 c.p.c., se vi è stata notifica, impone di depositare il provvedimento notificato, non di andare alla fonte e farsi rilasciare un’autonoma copia del provvedimento dalla cancelleria. Il ricorrente per cassazione deve produrre detto provvedimento così come gli è stato notificato e deve produrre il messaggio p.e.c. e la relativa relazione di notifica, mediante i quali dimostrerà quando gli è stato notificato, per rendere possibile la verifica della tempestività del ricorso.”
Oltre a ciò, sempre tramite l’ordinanza in esame, la Suprema Corte risolve anche un contrasto interpretativo nato in dottrina dopo l’inserimento del comma 1-ter all’interno dell’art. 9 della L. 53 del 1994. Se da un lato, infatti, l’art. 9 comma 1bis della L. 53/1994 prevede espressamente che “Qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell’atto notificato a norma dell’articolo 3-bis, l’avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell’articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82” mettendo quindi d’accordo i commentatori sul fatto che la parte notificante possa (e nel caso di specie debba) attestare la conformità delle copie analogiche delle ricevute di PEC relative alla notificazione, dall’altro il comma 1ter del medesimo art. 9 stabilisce che ”in tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, procede ai sensi del comma 1-bis”, rendendo i commentatori dubbiosi sulla reale portata dell’accezione “in tutti i casi” .
Parte della dottrina (per tutti si veda Reale e Vitrani) ha più volte sottolineato come il comma de quo debba essere come letto come mera norma di chiusura, e quindi riferibile unicamente all’attestazione operata dal Difensore notificante; altra parte dei commentatori (oltre allo scrivente si veda Gargano) ha invece individuato in tale prescrizione normativa la facoltà anche per il soggetto passivo della notificazione di attestare la conformità della stampa della PEC e di tutti gli allegati in essa contenuti.
L’Ordinanza in commento, sul punto, ha espressamente chiarito che “il comma 1-bis dell’art. 9, collegato al comma 1 del medesimo articolo, concerne il notificante. Per superare questa delimitazione, nel 2014 è stato inserito un ulteriore comma nell’art. 9. È il comma 1-ter, che così dispone: “In tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, procede ai sensi del comma i -bis”…. Con quest’ultima norma il potere di attestazione di conformità dall’analogico al digitale è stato generalizzato ed esteso “a tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione”, compreso, pertanto, quello in cui egli sia il destinatario della notificazione. Se, in tale ambito, non è possibile utilizzare modalità telematiche, si deve procedere ai sensi del comma precedente (1-bis) e cioè mediante estrazione di copia su supporto analogico. Naturalmente la copia riguarderà gli atti di cui l’avvocato dispone e quindi, se egli non è il notificante ma colui che ha ricevuto la notifica, oltre alla copia della relazione di notifica e del provvedimento impugnato, l’avvocato estrarrà copia del messaggio di ricezione (in luogo della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna).”
La Suprema Corte, quindi, ha chiaramente sposato l’interpretazione estensiva dell’art. 9 comma 1ter L. 53/1994 stabilendo che tale norma sia applicabile anche in tutti i casi in cui a dover predisporre l’attestazione di conformità non sia il Difensore notificante ma colui che ha ricevuto la notifica.
A cura di Luca Sileni – Avv.to iscritto all’ordine di Grosseto referente informatico dell’ODA di Grosseto e Segretario del Centro Studi Processo Telematico