Lavoro e HR

Contratto di lavoro a tempo parziale 2024: condizioni, retribuzione e modalità di trasformazione

Il contratto di lavoro a tempo parziale, che può essere stipulato tanto a tempo determinato quanto a tempo indeterminato, rappresenta una tipologia contrattuale assai interessante, che è meno utilizzata in Italia rispetto a quanto avviene in alcuni altri Paesi europei. La sua regolamentazione, riformulata con il Jobs Act del 2015, presenta probabilmente alcune complessità non necessarie le quali, peraltro, non fanno venir meno il notevole appeal di questo particolare istituto.

Orario di lavoro e individuazione del tempo parziale

L’articolo 3 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, dispone che l’orario normale di lavoro è fissato in 40 ore settimanali, precisando altresì che i contratti collettivi di lavoro possono stabilire, ai fini contrattuali, una durata minore e riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno.

Da tale definizione di orario “normale” di lavoro – ossia le 40 ore settimanali o, in alternativa, la minor misura prevista dai contratti collettivi (nazionali, territoriali e aziendali) – occorre prendere le mosse per comprendere quando, invece, ci si trovi di fronte a un contratto di lavoro a tempo parziale. Ebbene, al riguardo, l’articolo 4 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, dispone che, nel rapporto di lavoro subordinato, l’assunzione può avvenire a tempo pieno, ai sensi dell’articolo 3 sopra citato, o a tempo parziale.

Può quindi affermarsi che ogni orario di lavoro inferiore a quello considerato normale dalla legge (40 ore settimanali, salvo diversa e inferiore previsione del contratto collettivo) deve essere considerato come orario a tempo parziale (quindi, anche ove sia previsto che, a fronte delle 40 ore di cui al CCNL, il prestatore sia occupato per 39 ore alla settimana), sia esso di tipo orizzontale, verticale o misto.

Attenzione però: con riguardo ai contratti collettivi che possono disciplinare, tra gli altri, anche l’istituto in esame, l’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, dispone che – salvo diversa previsione – ai fini del medesimo decreto, per contratti collettivi si intendono:

  • i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; e
  • i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali (RSA) ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria (RSU).

Assunzione di un dipendente part time con contratto a termine o a tempo indeterminato

Ancora l’articolo 4 del decreto legislativo n. 81/2015 stabilisce che l’assunzione di un dipendente con un contratto a tempo parziale può avvenire (indifferentemente, ossia in via del tutto normale) con un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato. Occorre però prestare attenzione a tutta una serie di elementi che differenziano il contratto a tempo parziale da quello a tempo determinato, primo tra i quali la forma, che è obbligatoriamente quella scritta per il contratto a termine (cd. forma scritta ad substantiam) e, invece, solamente “ai fini della prova” per il contratto a tempo parziale: la violazione di tale obbligo – se si tratta di un contratto a termine – comporta la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.

Altri importantissimi elementi da considerare, ove si opti per un contratto part time a tempo determinato, sono la durata massima, l’indicazione delle causali (nei casi in cui esse sono previste), i limiti numerici, la gestione di proroghe e rinnovi, e così via.

Come deve essere stipulato un contratto a tempo parziale

Abbiamo già anticipato sopra che, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta ai fini della prova. Non si tratta quindi di una forma rigorosamente prevista ad substantiam, anche se non va dimenticato quanto prevede l’articolo 10 della norma in esame.

Infatti, il comma 1 dell’articolo 10 dispone che – in difetto di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro – su domanda del lavoratore, è dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno, fermo restando, per il periodo antecedente alla data della pronuncia giudiziale, il diritto alla retribuzione e al versamento dei contributi previdenziali dovuti per le prestazioni effettivamente rese.

Occorre quindi prestare molta attenzione in fase di chiusura della selezione, ricordandosi di procedere alla stipula del rapporto per iscritto, consegnando una copia dell’atto al dipendente e facendosene controfirmare un’altra copia per ricevuta e accettazione.

Contenuti del contratto di lavoro part time

Qui la questione, con particolare riferimento all’orario di lavoro, si fa particolarmente delicata. Infatti, l’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, dispone che, nel contratto di lavoro a tempo parziale, è contenuta la “puntuale” (e, quindi, nella maniera più assoluta, non generica) indicazione della:

  • durata della prestazione lavorativa (es. 20 ore settimanali); e
  • collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno (es. 4 ore giornaliere, dalle ore 9.00 alle ore 13.00, dal lunedì al venerdì).

Nel caso in cui l’organizzazione del lavoro sia articolata su turni, ai sensi del comma 2, l’indicazione di cui appena sopra può avvenire anche mediante rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite.

In buona sostanza, quel che rileva – al netto delle possibili deroghe mediante il lavoro supplementare o il ricorso alle clausole elastiche – è che il dipendente sia ben consapevole degli orari in cui dovrà rendere la prestazione, onde consentirgli di occuparsi anche presso un altro datore di lavoro ovvero di dedicare del tempo alle attività personali (per esempio: la pratica di uno sport) o familiari (per esempio: la cura della prole).

Da ultimo, anche ove ci si trovi in presenza di una clausola del contratto collettivo che preveda un numero minimo di ore settimanali, le parti sono libere di concordare una durata inferiore: in tal caso, i contributi previdenziali e assistenziali devono essere calcolati tenendo conto dell’orario pattuito tra le parti nel contratto di lavoro a tempo parziale, anche se inferiore a quello minimo definito dal CCNL di riferimento (Inps, messaggio 14 febbraio 2005, n. 5143).

Lavoro supplementare nel contratto di lavoro part time

Una volta definiti l’orario “normale” di lavoro (le 40 ore di legge o il minor orario settimanale previsto dal contratto collettivo) e quello concordato nel contratto di lavoro a tempo parziale (per esempio: 5 ore al giorno dal lunedì al venerdì, dalle ore 8.00 alle ore 13.00, per un totale di 25 ore settimanali), al dipendente può essere richiesto di effettuare del lavoro cd. “supplementare”, ossia di lavorare anche parte o tutte le ore comprese tra la ventiseiesima e la quarantesima del nostro esempio.

A tale riguardo, l’articolo 6 del decreto legislativo n. 81/2015 contempla due ipotesi distinte, in relazione al fatto che il contratto collettivo applicato al rapporto disciplini o meno tale istituto (si veda la tabella che segue). In generale, comunque, ribadiamo che, per prestazioni “supplementari”, si intendono quelle svolte oltre l’orario concordato fra le parti ai sensi dell’articolo 5, comma 2, anche in relazione alle giornate, alle settimane o ai mesi.

Contratto collettivo Lavoro supplementare Limiti Fonte
Prevede il lavoro supplementare Il datore ha la facoltà di richiederlo, entro i limiti dell’orario normale di lavoro di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n. 66/2003 Nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi Art. 6, co. 1
Non prevede il lavoro supplementare Il datore può richiedere prestazioni di lavoro supplementare, erogando una maggiorazione del 15% della retribuzione oraria globale di fatto, comprensiva dell’incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti Misura non superiore al 25% delle ore di lavoro settimanali concordate* Art. 6, co. 2

* In tal caso, il lavoratore può rifiutare di svolgere il lavoro supplementare ove giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale.

Secondo due recenti pronunce della Corte di Giustizia Europea (sezione prima, sentenze 29 luglio 2024, C-184/22 e C-185/22), la maggiorazione retributiva per il lavoro supplementare prestato dai dipendenti a part time non può essere inferiore a quella pagata ai dipendenti full time per le ore di lavoro straordinario effettuate.

Lavoro straordinario nel contratto di lavoro a tempo parziale

Una volta colmato, mediante il lavoro supplementare, il “gap” tra orario a tempo parziale che è stato convenuto tra le parti e orario “normale” di lavoro, la norma – articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 81/2015 – dispone che nel rapporto di lavoro a tempo parziale è consentito lo svolgimento di prestazioni di lavoro straordinario, così come definito dall’articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, ossia quel lavoro prestato oltre l’orario normale di lavoro così come definito all’articolo 3 di tale ultimo decreto.

Clausole elastiche nel contratto di lavoro part time

Tali clausole, che possono essere liberamente concordate tra le parti del rapporto – ancor meglio se direttamente in sede di assunzione – consentono al datore di lavoro di procedere alla variazione:

  • della collocazione temporale della prestazione lavorativa (per esempio: una prestazione concordata dalle ore 8.00 alle 12.00 potrà essere “spostata” dalle ore 10.00 alle 14.00); ovvero
  • in aumento della sua durata (per esempio: una prestazione concordata dalle ore 8.00 alle 12.00 potrà essere “aumentata” dalle ore 8.00 alle 14.00).

Anche con riguardo a tale istituto, la norma differenzia la disciplina in relazione al fatto che il contratto collettivo – sia esso nazionale, territoriale o aziendale – disciplini o meno le clausole in questione: per i dettagli si veda la tabella che segue.

Contratto FormaParticolarità Fonte
Prevede la clausola elastica Nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, datore e dipendente possono pattuire, sempre e solo in forma scritta, clausole elasticheIl lavoratore ha diritto a un preavviso di 2 giorni lavorativi, salve diverse intese tra le parti, e a specifiche compensazioni, nella misura o forme di cui ai contratti collettivi Art. 6, co. 4-5
Non prevede la clausola elastica Le clausole elastiche possono essere pattuite per iscritto dalle parti ma solo davanti alle commissioni di certificazione, con facoltà del lavoratore di farsi assistere da un rappresentante del sindacato cui aderisce o conferisce mandato, da un avvocato o da un consulente del lavoroEsse, a pena di nullità, prevedono condizioni e modalità con le quali il datore di lavoro, con un preavviso di 2 giorni lavorativi, può modificare la collocazione temporale della prestazione e aumentarla, nonché l’aumento massimo, che non può superare il 25% della normale prestazione annua a part time* Art. 6, co. 6

*Tali modifiche riconoscono al lavoratore il diritto a percepire una maggiorazione del 15% della retribuzione oraria globale di fatto, comprensiva dell’incidenza della retribuzione sugli istituti retributivi indiretti e differiti.

Attenzione però: il comma 7 dispone che al lavoratore che si trovi nelle condizioni di cui all’articolo 8, commi da 3 a 5, ovvero in quelle di cui all’articolo 10, comma 1, della legge 20 maggio 1970, n. 300, è riconosciuta la facoltà di revocare il consenso prestato alla clausola elastica. Tali peculiari situazioni sono quelle indicate di seguito:

  • lavoratori pubblici e privati affetti da patologie oncologiche e da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l’azienda unità sanitaria locale territorialmente competente;
  • lavoratore o lavoratrice che ha il coniuge, i figli o i genitori affetti da patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti;
  • lavoratore o lavoratrice che assiste una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa con connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, che abbia necessità di assistenza continua, in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita;
  • lavoratore o lavoratrice che assiste un figlio convivente di età non superiore a 13 anni;
  • lavoratore o lavoratrice che assiste un figlio convivente portatore di handicap ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

Rifiuto del lavoratore di variare l’orario di lavoro nel contratto a tempo parziale

Va poi evidenziato che, ai sensi dell’articolo 6, comma 8, il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento. Deve ritenersi che tale previsione sia, per l’appunto, riferita a un eventuale rifiuto del lavoratore di firmare, per esempio, proprio il patto scritto con il quale egli legittima il datore di lavoro a esercitare la clausola elastica.

Trattamento del lavoratore a tempo parziale

L’articolo 7 del decreto legislativo n. 81/2015, dispone che il lavoratore a tempo parziale:

  • non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento;
  • ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile (con particolare riguardo a categoria, qualifica e mansioni), e il suo trattamento economico e normativo deve essere riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa.

L’articolo 1, comma 971, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (legge di bilancio 2022), prevede che, al fine di introdurre un sostegno economico a favore dei lavoratori titolari di un contratto di lavoro a tempo parziale ciclico verticale, è istituito nello stato di previsione del Ministero del Lavoro il “Fondo per il sostegno dei lavoratori con contratto a part time ciclico verticale”, con una dotazione di 30 milioni di euro per gli anni 2022 e 2023. A tale norma è stata data attuazione prima con l’art. 2-bis del D.L. 17 maggio 2022, n. 50 (legge n. 91/2022), e poi con l’art. 18 del D.L. 18 ottobre 2023, n. 145. L’indennità è erogata, nel 2023, ai dipendenti di aziende private titolari di un contratto a tempo parziale ciclico nel 2022, che preveda periodi non interamente lavorati di almeno 1 mese in via continuativa, e complessivamente non inferiori a 7 settimane e non superiori a 20 settimane, dovuti a sospensione ciclica della prestazione e che, alla data della domanda, non siano titolari di altro rapporto di lavoro dipendente, percettori della NASpI o di un trattamento pensionistico; essa è pari a 550 euro (una tantum), può essere riconosciuta solo una volta al medesimo lavoratore, non concorre a formare il reddito ai sensi del TUIR, di cui al DPR 22 dicembre 1986, n. 917; ed è erogata dall’Inps (a tale riguardo si vedano le indicazioni fornite dall’Inps, con il messaggio 10 novembre 2023, n. 3977, e ancora dall’Inps, con la circolare 27 dicembre 2023, n. 109).

Da ultimo si prevede che i contratti collettivi possono modulare la durata:

  • del periodo di prova;
  • del periodo di preavviso in caso di licenziamento o dimissioni; e
  • del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia e infortunio (ossia il cd. periodo di comporto, che può essere “secco” o “per sommatoria”);

in relazione all’articolazione dell’orario di lavoro.

Tale previsione ha molto senso anche se, nella pratica, risulta assai poco attuata. Infatti, e solamente per fare un esempio, la previsione di un periodo di prova, di comporto o di preavviso, ove fosse espressa in giorni (es. 30) di effettivo servizio, potrebbe creare qualche problema nel caso di un rapporto di lavoro a tempo parziale verticale in cui la prestazione venga resa per 8 ore tutte al giovedì.

Ad avviso della Suprema Corte, salva l’esistenza di fondate ragioni, non può esserci alcun automatismo tra riduzione dell’orario di lavoro e riduzione dell’anzianità di servizio da valutare ai fini delle progressioni economiche (Cass. ordinanza 19 febbraio 2024, n. 4313).

Trasformazione del rapporto di lavoro: generalità dei casi

La norma (articolo 8, comma 2) si limita a precisare che – su accordo delle parti risultante da atto scritto – è ammessa la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale. Tale precisazione nasce da un’antica “cultura del sospetto”, in base alla quale il lavoratore avrebbe molto da perdere in conseguenza della riduzione dell’orario di lavoro, tanto è vero che non è espressamente prevista anche l’ipotesi contraria. Di fatto, è sempre possibile che le parti concordino il passaggio dal tempo pieno a quello parziale e viceversa – in forma scritta ai fini della prova – ove ritengano tale mutamento di reciproco interesse, ossia vantaggioso per entrambi. Inoltre, è possibile che la trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno sia dichiarata da parte del giudice (su iniziativa del lavoratore) nel caso in cui l’orario di lavoro effettivamente prestato (per un rilevante periodo di tempo) sia pari a quello del cd. full time (Cass. 19 febbraio 2024, n. 4350).

Trasformazione del rapporto di lavoro: rifiuto del lavoratore

L’articolo 8, al comma 1, con una previsione di forte tutela per il dipendente, dispone che il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro:

  • a tempo pieno in rapporto a tempo parziale;
  • a tempo parziale in rapporto a tempo pieno;

non costituisce giustificato motivo di licenziamento.

Dal punto di vista operativo va evidenziato che, mentre la seconda ipotesi non crea particolari problemi (se c’è più lavoro e il dipendente rifiuta il passaggio da part a full time, il datore può sempre assumere un altro lavoratore), la prima, viceversa, merita una riflessione aggiuntiva. Potrebbe infatti accadere che, a fronte di un calo dell’attività e/o del fatturato, il datore necessiti di una prestazione ridotta, chiedendo per esempio al dipendente di “scendere” dalle 8 ore giornaliere normali a solamente 4: in base alla norma come sopra riportata, a un eventuale rifiuto non potrebbe conseguire il licenziamento, pur a fronte di oggettive esigenze di costo in capo all’impresa. Ebbene, a tale riguardo, alcune sentenze hanno stabilito che la richiesta del datore di diminuire l’orario di lavoro a suo tempo concordato è idonea a ritenere assolto l’obbligo di repêchage, con conseguente legittimità del successivo licenziamento motivato, per l’appunto, da ragioni economiche che non consentono in alcun modo la prosecuzione del rapporto di lavoro a tempo pieno. In tal senso, da ultimo, Cass. ord. 9 maggio 2023, n. 12244.

Diritto alla trasformazione di un rapporto di lavoro da full time a part time

L’articolo 8, comma 3, dispone che i lavoratori del settore pubblico e privato, a condizione di essere affetti da:

  • patologie oncologiche;
  • gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti;

per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l’azienda unità sanitaria locale territorialmente competente, hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale. È ovvio che, in questo caso, datore e dipendente devono trovare un accordo sul quanto e sul quando della prestazione ridotta in tal modo, avendo però sempre ben presente che la tutela opera a favore del dipendente.

Una volta che la situazione sanitaria complessiva sia migliorata, a richiesta del lavoratore (senza che gli sia richiesto di produrre alcun certificato medico), il rapporto di lavoro a tempo parziale verrà trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno.

Priorità nella trasformazione di un contratto di lavoro da full time a part time

Se quello visto appena sopra è un vero e proprio diritto, l’articolo 8, commi 4 e 5, come modificato dall’articolo 5, co. 1, lettera a), del D.Lgs. 30 giugno 2022, n. 105, prevede che nelle seguenti ipotesi:

  • patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti riguardanti il coniuge, la parte di un’unione civile ex art. 1, co. 20, o il convivente di fatto ex art. 1, co. 36, della legge 20 maggio 2016, n. 76, i figli o i genitori del lavoratore o della lavoratrice;
  • lavoratore o lavoratrice che assistono una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa con connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, che abbia necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita;
  • lavoratore o lavoratrice con figlio convivente di età non superiore a 13 anni o con figlio convivente portatore di handicap ai sensi dell’articolo 3 della legge n. 104 del 1992;

è riconosciuta la (semplice) priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

In tali casi non si tratta di un diritto assoluto: il lavoratore non ha diritto alla trasformazione ma vanta una semplice “priorità” a che la sua richiesta venga accolta, e quindi compatibilmente con le decisioni del datore di lavoro e con l’organizzazione dell’impresa.

Inoltre, con decorrenza dal 13 agosto 2022, in virtù di quanto previsto dai co. 5-bis e 5-ter dell’articolo 8 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, introdotti ex novo dall’articolo 5, co. 1, lettera b), del D.Lgs. 30 giugno 2022, n. 105, vale quanto segue:

  • la lavoratrice o il lavoratore che richiede la trasformazione del contratto, ai sensi dei co. 4 e 5, non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro. Qualunque misura adottata in violazione del precedente periodo è da considerarsi ritorsiva o discriminatoria e, pertanto, nulla (co. 5-bis);
  • la violazione delle disposizioni di cui ai co. 3, 4, 5 e 5-bis, ove rilevata nei 2 anni antecedenti alla richiesta della certificazione della parità di genere di cui all’art. 46-bis del D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198, o di analoghe certificazioni previste dalle regioni e province autonome nei rispettivi ordinamenti, impedisce al datore di conseguire le stesse certificazioni (co. 5-ter).

→ L’INL, con la Nota 6 dicembre 2022, n. 2414, ha precisato che, viste le modifiche apportate all’art. 8 del D.Lgs. n. 81/2015, è estesa ai soggetti che siano parte di unioni civili e convivenze di fatto la priorità alla trasformazione del contratto da tempo pieno a parziale, in particolare in caso di patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti riguardanti il coniuge o l’altra parte dell’un’unione civile o il convivente di fatto, i figli o genitori del lavoratore o della lavoratrice, nonché nel caso di assistenza a persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa con connotazione di gravità ex art. 3, co. 3, legge n. 104/1992, che abbia necessità di assistenza continua. Nei casi di richiesta di trasformazione del contratto, il lavoratore non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro. Qualunque misura adottata in violazione di quanto sopra, da considerare ritorsiva o discriminatoria, è nulla (art. 8, co. 5-bis, D.Lgs. n. 81/2015). Resta fermo il divieto di discriminazione ex art. 2-bis, legge n. 104/1992, introdotto dall’art. 3, co. 1 lett. a), D.Lgs. n. 105/2022. Anche nei casi di rifiuto, opposizione e ostacolo alla fruizione del diritto alla trasformazione del contratto, rilevati nei 2 anni antecedenti alla richiesta della certificazione della parità di genere ex art. 46-bis D.Lgs. n. 198/2006 o di analoghe certificazioni, è impedito al datore di conseguirle (art. 8, co. 5-ter, D.Lgs. n. 81/2015).

Congedo parentale e lavoro part time

Ai sensi dell’articolo 8, comma 7, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, il lavoratore può chiedere, per una sola volta, in luogo del congedo parentale o entro i limiti del congedo ancora spettante ai sensi del Capo V del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, purché con una riduzione d’orario non superiore al 50%: in tal caso si prevede che il datore sia tenuto a dar corso alla trasformazione entro 15 giorni dalla richiesta.

Diritto di precedenza e “avvisi” per la trasformazione tra part time e full time

Vi sono poi altre due ipotesi da esaminare, regolate dall’articolo 8, commi 6 e 8, che potremmo definire più “di scuola” che reali, anche in quanto sfornite di forza cogente e/o di specifiche sanzioni o tutele. Si tratta del diritto di precedenza dei dipendenti originariamente assunti a tempo pieno (e poi trasformati a part time) e del diritto dei dipendenti occupati a tempo pieno a essere informati nel caso di nuove assunzioni a tempo parziale. La situazione è riassunta nella tabella che segue.

DipendenteOggettoCondizioni
Assunto a tempo pieno e poi trasformato a tempo parzialeDiritto di precedenza rispetto alle nuove assunzioni a tempo pienoDeve trattarsi delle stesse mansioni o di mansioni di pari livello e categoria legale rispetto a quelle oggetto del rapporto a tempo parziale
Assunto a tempo pieno e ancora in forza con orario full timeDiritto a essere informato dal datore*, e a che sia considerata la domanda di trasformazione a tempo parzialeDestinatari dell’obbligo di informazione in questione sono solo i già dipendenti occupati con rapporto a tempo pieno che stiano lavorando nell’ambito di unità produttive situate nello stesso ambito comunale

* Tale diritto di informazione può essere rispettato anche con comunicazione scritta, affissa da parte del datore in un luogo accessibile a tutti nei locali aziendali (es. mensa, spogliatoi).

L’art. 10 del D.Lgs. 27 giugno 2022, n. 104 – che, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1, co. 1, lettera a), si applica anche ai contratti di lavoro subordinato a tempo parziale – dispone che, ferme le norme più favorevoli vigenti, il lavoratore con un’anzianità di lavoro di almeno 6 mesi presso lo stesso datore e che ha completato l’eventuale periodo di prova, può chiedere (per iscritto) che gli sia riconosciuta una forma di lavoro con condizioni più prevedibili, sicure e stabili, se disponibile. Il lavoratore che abbia ricevuto risposta negativa può presentare una nuova richiesta dopo 6 mesi. Entro un mese dalla richiesta, il datore fornisce risposta scritta motivata. In caso di richiesta reiterata di analogo contenuto, le persone fisiche in qualità di datori o le imprese che occupano fino a 50 dipendenti possono rispondere in forma orale se la motivazione resta invariata. Tali regole non si applicano ai pubblici dipendenti, ai lavoratori marittimi e domestici nonché a quelli del settore della pesca.

Cumulo di impieghi e lavoro part time

L’art. 8 del D.Lgs. 27 giugno 2022, n. 104 (con l’eccezione del pubblico impiego, dei lavoratori marittimi e del settore della pesca), dispone che – salvo l’obbligo previsto dall’art. 2105 cod. civ., il datore non può vietare al lavoratore di svolgere un’altra attività in orario al di fuori della programmazione dell’attività lavorativa concordata, né per tale motivo riservargli un trattamento meno favorevole; per contro, può limitare o negare al lavoratore lo svolgimento di un altro e diverso rapporto di lavoro qualora sussista una delle seguenti condizioni:

  • un pregiudizio per la salute e la sicurezza, ivi compreso il rispetto della normativa in materia di durata dei riposi;
  • la necessità di garantire l’integrità del servizio pubblico;
  • il caso in cui la diversa e ulteriore attività lavorativa sia in conflitto d’interessi con la principale, pur non violando il dovere di fedeltà di cui all’articolo 2105 del codice civile.

Ai sensi del co. 3, tali disposizioni si applicano anche al committente nell’ambito dei rapporti di lavoro di cui all’art. 409, n. 3, cod. proc. civ. e art. 2, co. 1, del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81. A tale riguardo, il Ministero del Lavoro – nella circolare 20 settembre 2022, n. 19, par. 4.2 – ha precisato che la sussistenza delle condizioni di cui alle lettere da a) a c), che sono tassative, va verificata in modo oggettivo: le stesse devono, quindi, essere concretamente sussistenti e dimostrabili e non rimesse a mere valutazioni soggettive del datore di lavoro. In particolare:

  • l’espressione “integrità del servizio pubblico” è limitata ai servizi pubblici gestiti da enti o società cui non si applica la disciplina dei rapporti alle dipendenze delle PA;
  • il “conflitto di interessi”, anche visti gli orientamenti in materia di anticorruzione, ricorre quando l’ulteriore attività lavorativa, pur non violando il dovere di fedeltà ex art. 2105 cod. civ., comporta, anche potenzialmente, interessi in contrasto con quelli del datore di lavoro;
  • infine, in ossequio ai principi generali di buona fede e correttezza, spetta al lavoratore informare il datore qualora ricorrano talune delle condizioni ostative al cumulo di impieghi.

Criteri di computo dei dipendenti a tempo parziale

Come avviene anche con riguardo a tutti gli altri contratti atipici, per i quali sono previsti specifici criteri di computo (es. gli apprendisti e i somministrati non si computano; i contratti a termine sì ma il calcolo avviene ai sensi dell’articolo 27 del decreto legislativo n. 81/2015), nel caso in esame, l’articolo 9 dispone che, ai fini dell’applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale sia rilevante il computo dei dipendenti del datore di lavoro, i dipendenti a tempo parziale sono computati in proporzione all’orario svolto, rapportato al tempo pieno; a tal fine, l’arrotondamento opera per le frazioni di orario che eccedono la somma degli orari a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno.

In pratica, come precisato dal Ministero del Lavoro (si veda la circolare 30 aprile 2001, n. 46), i lavoratori a tempo parziale si computano sommando l’orario concordato con ogni singolo lavoratore e raffrontando la somma con l’orario complessivo svolto dai lavoratori a tempo pieno, con arrotondamento all’unità superiore della sola frazione eccedente la somma come innanzi individuata e superiore alla metà dell’orario a tempo pieno.

Esempio – Nel caso in cui 3 lavoratori siano assunti con contratto a tempo parziale orizzontale con orari settimanali, rispettivamente, di 18, 20 e 24 ore, si procederà nel seguente modo: 18 + 20 + 24 = 62 ore : 40 ore (orario normale) = 1 unità con il resto di 22 ore, e, poiché 22 ore superano la metà dell’orario normale (40 ore), si computerà – come arrotondamento – una ulteriore unità; nella fattispecie, quindi, i 3 lavoratori a tempo parziale determinano 2 unità lavorative ai fini previsti.

Stipula di un contratto a tempo parziale: violazioni e sanzioni

L’articolo 10 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, reca le “dolenti note” per il datore di lavoro che non abbia dato corretta attuazione al contratto di lavoro a tempo parziale. Anzitutto, se manca la prova (ossia se manca la forma scritta) della stipulazione del contratto di lavoro a tempo parziale, su domanda del lavoratore, è dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno, fermo restando, per il periodo antecedente alla data della pronuncia giudiziale, il diritto alla retribuzione e al versamento dei contributi previdenziali dovuti per le prestazioni effettivamente rese. Per quanto concerne tutte le altre possibili violazioni specifiche, si veda la tabella che segue.

ViolazioneConseguenze
Nel contratto scritto non è stata determinata la durata della prestazione lavorativa Su domanda del lavoratore, è dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla pronuncia. Per il periodo antecedente alla pronuncia, il lavoratore ha diritto, oltre alla retribuzione dovuta per le prestazioni che siano state effettivamente rese, a un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno.
Omessa indicazione della sola collocazione temporale dell’orario di lavoroIl giudice determina le modalità temporali di svolgimento della prestazione a tempo parziale, tenendo conto delle responsabilità familiari del lavoratore e della sua necessità di integrare il reddito con lo svolgimento di un’altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore (così, da ultimo, anche Cass. ordinanza 29 aprile 2024, n. 11333). Per il periodo antecedente alla pronuncia, il lavoratore ha diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta per le prestazioni effettivamente rese, a un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno.
Svolgimento di prestazioni
con le clausole elastiche in violazione della legge o dei contratti collettivi
Lo svolgimento di prestazioni in esecuzione di clausole elastiche senza il rispetto delle condizioni, delle modalità e dei limiti previsti dalla legge o dai contratti collettivi comporta il diritto del lavoratore, in aggiunta alla retribuzione dovuta, a un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno.

Apprendistato a tempo parziale

Il Ministero del Lavoro (si veda la circolare 18 marzo 2004, n. 9), aveva a suo tempo precisato che, nel tentativo di estendere il più possibile il raggio di azione del nuovo lavoro a tempo parziale, sebbene la norma non lo preveda espressamente, non si ravvisa, in linea di principio, neppure una incompatibilità tra il rapporto part time e il contratto di apprendistato, ove la peculiare articolazione dell’orario non sia di ostacolo al raggiungimento delle finalità formative tipiche di questo contratto.

In seguito, lo stesso Ministero è tornato sull’argomento (si veda la Nota 13 dicembre 2006, n. 7209), precisando ulteriormente che, dall’analisi della normativa vigente in materia, non pare ravvisarsi alcun limite di orario minimo settimanale da osservarsi nella stipula del contratto. Peraltro, la peculiare articolazione dell’orario di lavoro non deve porre alcun ostacolo al raggiungimento delle finalità formative tipiche del contratto di apprendistato: pertanto, occorre valutare, caso per caso, se la durata della prestazione lavorativa sia tale da consentire il conseguimento della qualifica professionale e il soddisfacimento dell’esigenza formativa. Infine, per quanto concerne le 120 ore di formazione di base e trasversale, esse rappresentano la soglia minima di attività formativa da svolgere all’interno del rapporto di apprendistato: ne consegue, anche in conformità al principio di non discriminazione tra lavoro a tempo parziale e lavoro a tempo pieno, che il periodo di attività formativa non può essere riproporzionato in relazione al ridotto orario di lavoro.

Minimali ai fini contributivi nel lavoro part time

In base alle indicazioni fornite dall’Inps per l’anno 2023 (al riguardo si veda la circolare 1° febbraio 2023, n. 11, paragrafo 4), anche per i rapporti di lavoro a tempo parziale si applica, in materia di minimale ai fini contributivi, l’articolo 1, comma 1, del decreto legge n. 338/1989, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 389/1989. La retribuzione così determinata, peraltro, deve essere ragguagliata, se inferiore, a quella individuata dall’articolo 11 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, che, riproponendo le previsioni dell’articolo 9 dell’abrogato decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, fissa il criterio per determinare un apposito minimale di retribuzione oraria applicabile ai fini contributivi per i rapporti di lavoro a tempo parziale.

In linea generale, nell’ipotesi di orario di 40 ore settimanali (ipotesi che ricorre, di norma, per i lavoratori iscritti alle Gestioni private), il procedimento del calcolo per determinare la retribuzione minima oraria è il seguente: euro 53,95 x 6 /40 = euro 8,09.

Invece, nel caso in cui l’orario normale sia di 36 ore settimanali (ipotesi che ricorre, di norma, per i lavoratori iscritti alla Gestione pubblica), articolate su 5 giorni, il procedimento del calcolo è il seguente: euro 53,95 x 5 /36 = euro 7,49.

Aspetti pensionistici del contratto di lavoro a tempo parziale

L’articolo 11, comma 8, del decreto legislativo n. 81/2015, dispone che, nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e viceversa, ai fini della determinazione dell’ammontare del trattamento di pensione, si computa per intero l’anzianità relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e, in proporzione all’orario effettivamente svolto, l’anzianità inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale.

In aggiunta, l’articolo 1, comma 350, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio 2021), ha disposto che il periodo di durata del contratto di lavoro a tempo parziale che prevede che la prestazione lavorativa sia concentrata in determinati periodi è riconosciuto per intero utile ai fini del raggiungimento dei requisiti di anzianità lavorativa per l’accesso al diritto alla pensione. A tal fine, il numero delle settimane da assumere ai fini pensionistici si determina rapportando il totale della contribuzione annuale al minimale contributivo settimanale determinato ai sensi dell’articolo 7, comma 1, del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463 (convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638). Con riferimento ai contratti di lavoro a tempo parziale esauriti prima della data di entrata in vigore della medesima legge (ossia entro il 31 dicembre 2019), il riconoscimento dei periodi non interamente lavorati è subordinato alla presentazione di apposita domanda da parte dell’interessato corredata da idonea documentazione. I trattamenti pensionistici liquidati in applicazione della presente disposizione non possono avere decorrenza anteriore alla data di entrata in vigore della stessa.

A tale specifico riguardo, si vedano le indicazioni fornite dall’Inps prima con la circolare 4 maggio 2021, n. 74, e poi con il messaggio 3 giugno 2021, n. 2162.

Contratto di lavoro a tempo parziale nelle pubbliche amministrazioni

Con una norma di chiusura, l’articolo 12 dispone che, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”), le disposizioni sin qui esaminate si applicano, ove non diversamente disposto, anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, con esclusione di quelle contenute negli articoli 6, commi 2 e 6, e 10, e, comunque, fermo restando quanto previsto da disposizioni speciali in materia. In pratica, quindi, salve diverse disposizioni “speciali”, si applica per intero quanto sopra illustrato, con le seguenti eccezioni:

  • articolo 6, comma 2: possibilità di richiedere le prestazioni di lavoro supplementare, nel caso in cui il contratto collettivo non disciplini tale istituto;
  • articolo 6, comma 6: possibilità di richiedere di stipulare le clausole elastiche, nel caso in cui il contratto collettivo non disciplini tale istituto;
  • articolo 10: non applicabilità delle sanzioni ivi previste.
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