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Contratto a termine 2024: proroga, rinnovo e continuazione

La possibilità di disporre la proroga o il rinnovo di un contratto a tempo determinato deve tener conto degli obblighi previsti quanto alla forma, al numero di proroghe, alle pause intermedie, alle causali e alla durata massima del rapporto, nonché delle novità recentemente introdotte dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, di conversione del decreto legge 4 maggio 2023, n. 48 (al riguardo si vedano anche le indicazioni fornite dal Ministero del Lavoro con la circolare 9 ottobre 2023, n. 9). Sia le norme di legge che la prassi e la giurisprudenza dettano le regole da osservare per evitare la conversione del contratto a tempo indeterminato.

Contratto a termine: nozione di proroga

L’articolo 1535 del codice civile, in generale, consente alle parti, secondo la loro libera volontà, di prorogare l’esecuzione del contratto. A tale regola non si sottrae il contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, rispetto al quale vanno però evidenziate alcune particolarità, che limitano (con riguardo al numero di proroghe che è possibile convenire e alla durata massima del contratto, o dei contratti, a termine) la concorde volontà del datore di lavoro e del dipendente. Venendo alla nozione di “proroga” del contratto a termine, essa consiste in un differimento della data di scadenza di tale contratto, che era stata in origine pattuita tra le parti.

→ Esempio – Se un lavoratore è stato assunto a termine dal 1° gennaio 2021 al 30 giugno 2021, e quindi per una durata totale di 6 mesi, datore e lavoratore, di comune accordo, prima che esso scada – e quindi, per esempio, il 28 giugno 2021 – possono decidere di prorogare la data di scadenza di tale rapporto, per esempio, di altri 3 mesi, e quindi di farlo cessare definitivamente non il 30 giugno ma il 30 settembre 2021 (salva la possibilità di concordare ulteriori proroghe).

Ad avviso del Ministero del Lavoro (cfr. circolare 9 ottobre 2023, n. 9), quanto alla nozione di “proroga” restano valide le indicazioni contenute nella circolare 31 ottobre 2018, n. 17, secondo cui la proroga presuppone che restino invariate le ragioni che avevano giustificato inizialmente l’assunzione a termine, fatta eccezione per la necessità di prorogarne la durata entro il termine di scadenza. Pertanto, non è possibile prorogare un contratto a termine modificandone la motivazione, poiché ciò darebbe luogo a un nuovo contratto a termine ricadente nella disciplina del rinnovo, anche se ciò avviene senza soluzione di continuità con il precedente rapporto. Si ricade altresì nell’ipotesi del rinnovo qualora un nuovo contratto a termine decorra dopo la scadenza del precedente contratto.

In senso conforme, la Suprema Corte ha affermato che:

  • con la proroga, viene prolungata l’efficacia di un contratto in essere, proseguendone l’esecuzione oltre la scadenza originariamente prevista e mantenendone sostanzialmente intatta l’identità, integrando una mera modifica alla durata del rapporto preesistente;
  • è illegittima – e comporta la trasformazione del contratto a tempo indeterminato – la proroga con cui non venga semplicemente prolungata senza soluzione di continuità la durata del rapporto precedente, ma mediante la quale si rinegozino condizioni e termini del rapporto, trasformato da tempo parziale a tempo pieno, con variazione delle mansioni e con modifica della composizione della retribuzione (Cass. ord. 7 ottobre 2024, n. 26153).

Contratto a termine: nozione di rinnovo

Il “rinnovo” del contratto a tempo determinato non è altro che la successiva ri-assunzione a termine del medesimo lavoratore, da parte dello stesso datore di lavoro, dopo che il precedente rapporto a termine tra le medesime parti è giunto a scadenza. Tale possibilità di riassunzione a termine è condizionata al rispetto delle cosiddette pause intermedie nonché all’indicazione di una causale valida (salve le eccezioni introdotte dalla legge di conversione del D.L. n. 48/2023), a scelta del datore tra quelle espressamente e tassativamente previste.

→ Esempio – Se un lavoratore è stato assunto a termine dal 1° gennaio 2023 al 30 giugno 2023, e quindi per una durata totale di 6 mesi, datore e lavoratore, di comune accordo (per esempio nel corso del mese di settembre), possono stipulare un secondo contratto, per esempio, di altri 3 mesi, dal 1° ottobre 2023 al 31 dicembre 2023 (salva la possibilità di concordare ulteriori rinnovi).

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza 11 novembre 2021, ha stabilito che la riassunzione a termine dello stesso lavoratore – per lo svolgimento delle medesime mansioni – ove avvenuta dopo 7 anni dalla cessazione dell’ultimo rapporto a termine non costituisce un rinnovo, e quindi non richiede che sia indicata la causale: si tratta di decisione isolata, rispetto alla quale è opportuno un atteggiamento assai prudente, dato che la norma non prevede alcuna “prescrizione” dei contratti a termine conclusi in passato, anche se da molto tempo.

Da ultimo, va evidenziato che, in base a quanto previsto dall’articolo 7, co. 2, del decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104, in caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto ad un nuovo periodo di prova.

Che differenza c’è tra proroga e rinnovo di un contratto a termine

Mentre la proroga, come sopra evidenziato, riguarda lo “slittamento” del termine di scadenza di un contratto a termine che è regolarmente in corso di svolgimento, il cosiddetto rinnovo non è altro che un nuovo (secondo, terzo, quarto, e così via) contratto a termine tra le medesime parti. Ne deriva che, perché sia configurabile il rinnovo, vi deve essere, dopo l’avvenuta cessazione del precedente rapporto, la “riassunzione” a termine del medesimo dipendente da parte dello stesso datore di lavoro.

Anche in relazione a proroghe e rinnovi, resta da comprendere, in base ai futuri sviluppi della giurisprudenza in materia, come tali previsioni si applichino alle imprese in rete che abbiano fatto ricorso alla codatorialità: in generale, per una sintetica esposizione delle possibili implicazioni di tali istituti si veda il decreto ministeriale 29 ottobre 2021, n. 205, come interpretato dall’INL (Nota 22 febbraio 2022, n. 315).

Forma e requisiti del contratto a tempo determinato

In entrambi i casi, il primo, e fondamentale, requisito da rispettare è quello legato alla forma scritta del contratto subordinato a tempo determinato. E ciò vale anche per la proroga (pur in presenza di isolate decisioni che non l’hanno ritenuta necessaria, visto il fatto che il dipendente ha accettato, avendo continuato a rendere la propria prestazione; cfr. Cass. 21 gennaio 2016, n. 1058; Cass. ord. 23 aprile 2021, n. 10870) e il rinnovo. Infatti, l’articolo 19, co. 4, del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, dispone che, con la sola eccezione dei rapporti di durata non superiore a 12 giorni, l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto, una copia del quale deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione.

Ne deriva quindi che, al netto dei rapporti di lavoro di durata non superiore a 12 giorni – rispetto ai quali è comunque opportuno (se non altro ai fini della prova) procedere alla stipulazione per iscritto – se il contratto non è stato stipulato in forma scritta, non viene a “decadere” l’intero rapporto ma solamente il suo termine finale, con la conseguenza che il dipendente viene considerato come un “normale” lavoratore assunto a tempo indeterminato.

Attenzione però: non basta che il datore rediga il contratto per iscritto; infatti, per la Suprema Corte, anche se il dipendente è stato informato in maniera esplicita circa il vincolo di durata apposto al contratto, è necessario che tale documento scritto sia stato non solo consegnato al dipendente ma anche che sia stato da lui firmato per accettazione (Cass. 5 febbraio 2018, n. 2774), pena la sua conversione a tempo indeterminato.

Certamente meno grave è la violazione dell’obbligo di consegnarne una copia scritta al dipendente, entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione: in tal caso, secondo la giurisprudenza prevalente, non si produce la conversione del rapporto a tempo indeterminato (Cass. 6 maggio 1998, n. 4582). Ovviamente, sia in caso di proroga che di rinnovo nel contratto va indicata la nuova data di scadenza convenuta tra le parti, con riguardo a una data certa, ossia di calendario (per esempio, il 30 settembre 2021), oppure al verificarsi di un determinato evento (per esempio, il rientro dalla maternità della lavoratrice che è stata sostituita).

Quante volte può essere prorogato un contratto a tempo determinato

Una delle limitazioni “di legge” riguarda il numero di proroghe che le parti possono concordare tra loro. A tale proposito, dopo le modifiche apportate dal cosiddetto decreto dignità – ossia dal D.L. 12 luglio 2018, n. 87, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2018, n. 96 – l’articolo 21, co. 1, del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, dispone che il termine del contratto a tempo determinato può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a 24 mesi, e, comunque, per un massimo di 4 volte nell’arco di 24 mesi a prescindere dal numero dei contratti.

Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della quinta proroga. Tale numero di proroghe, sempre e solamente 4, vale anche per i contratti a termine conclusi per lo svolgimento di attività stagionali.

Contratto a termine: ragioni della proroga

Occorre fare molta attenzione all’orientamento del Ministero del Lavoro, il quale, nella circolare 31 ottobre 2018, n. 17, ha precisato che la proroga presuppone che restino invariate le ragioni che avevano giustificato inizialmente l’assunzione a termine, salva la necessità di prorogarne la durata entro il termine di scadenza. Quindi, non è possibile prorogare un contratto a termine modificandone la motivazione, perché ciò darebbe luogo a un nuovo contratto a termine ricadente nella disciplina del rinnovo, anche se ciò avviene in continuità con il precedente rapporto. Tale orientamento è stato confermato dallo stesso Ministero del Lavoro nella circolare 9 ottobre 2023, n. 9.

Quante volte si può rinnovare un contratto a tempo determinato

La norma non fissa alcun limite al numero dei rinnovi che le parti possono liberamente concordare tra loro. L’individuazione di tale numero si ricava “al contrario” e dipende dalla durata dei rapporti di lavoro a termine precedenti, conclusi per svolgere mansioni di pari livello e categoria legale. In pratica, il numero dei possibili rinnovi dipende da quanto tempo residua rispetto ai 24 mesi massimi di legge (o a quelli in più previsti dal contratto collettivo) e da quanto “lungo” è il nuovo contratto a termine (ossia il rinnovo) che si intende stipulare.

Indicazione della causale per la proroga di un contratto a termine

L’articolo 21, co. 01, del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, dispone che il contratto può essere prorogato liberamente nei primi 12 mesi e, in seguito, solo in presenza delle condizioni di cui all’articolo 19, co. 1. Tali “condizioni” (comunemente definite anche “esigenze” o “causali”), a decorrere dal 5 maggio 2023, in base a quanto previsto dall’art. 24 del decreto legge 4 maggio 2023, n. 48 (convertito dalla legge n. 85/2023), sono le seguenti:

a) nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’articolo 51;
b) in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 30 aprile 2024, termine poi differito al 31 dicembre 2024 (art. 18, co. 4-bis, del decreto legge 30 dicembre 2023, n. 215, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2024, n. 18), per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti;
b-bis) in sostituzione di altri lavoratori.

Una novità importantissima ai nostri fini è contenuta nell’articolo 24, co. 1-ter, del D.L. 4 maggio 2023, n. 48 (come introdotto dalla legge di conversione n. 85/2023), il quale dispone che – ai fini del computo del termine di 12 mesi previsto dall’art. 19, co. 1, e dall’art. 21, co. 01, del decreto legislativo n. 81/2015, come modificati dai co. 1 e 1-bis del medesimo articolo, si tiene conto dei soli contratti stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore di tale decreto, ossia solo di quelli stipulati a decorrere dal 5 maggio 2023. In pratica, a partire dal 5 maggio 2023, fermo il limite complessivo dei 24 mesi di durata massima, è possibile prorogare il contratto – fino a un massimo di ulteriori 12 mesi – senza indicare alcuna causale (Ministero del Lavoro, circolare 9 ottobre 2023, n. 9).

Indicazione della causale per il rinnovo di un contratto a termine

L’articolo 21, co. 01, del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, come modificato dalla legge di conversione del decreto legge n. 48/2023, dispone che il contratto può essere rinnovato liberamente nei primi 12 mesi e successivamente solo in presenza delle condizioni di cui all’articolo 19, co. 1. Tali condizioni (definite anche “esigenze” o “causali”), come nel caso della proroga, a decorrere dal 5 maggio 2023, in base a quanto previsto dall’art. 24 del decreto legge 4 maggio 2023, n. 48, sono le seguenti:

a) nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’articolo 51;
b) in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 30 aprile 2024, termine poi differito al 31 dicembre 2024 (art. 18, co. 4-bis, del decreto legge 30 dicembre 2023, n. 215, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2024, n. 18), per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti;
b-bis) in sostituzione di altri lavoratori.

In caso di violazione, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. Per contro, i contratti per attività stagionali possono essere prorogati anche in assenza di tali condizioni.

Una novità importantissima ai nostri fini è contenuta nell’articolo 24, co. 1-ter, del D.L. 4 maggio 2023, n. 48 (come introdotto dalla legge di conversione n. 85/2023), il quale dispone che – ai fini del computo del termine di 12 mesi previsto dall’art. 19, co. 1, e dall’art. 21, co. 01, del decreto legislativo n. 81/2015, come modificati dai co. 1 e 1-bis del medesimo articolo, si tiene conto dei soli contratti stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore di tale decreto, ossia solo di quelli stipulati a decorrere dal 5 maggio 2023. In pratica, a partire dal 5 maggio 2023, fermo il limite complessivo dei 24 mesi di durata massima, è possibile rinnovare il contratto – fino a un massimo di ulteriori 12 mesi – senza indicare alcuna causale (Ministero del Lavoro, circolare 9 ottobre 2023, n. 9).

Rinnovo di un contratto a termine: pause intermedie

Pause intermedie, periodi “cuscinetto” o stop and go: con questi termini normalmente si identificano i periodi di non lavoro che è necessario rispettare prima che lo stesso datore di lavoro possa riassumere a termine il medesimo dipendente. Ebbene, con l’eccezione delle attività stagionali, e sempre fatta salva una diversa, e più favorevole, previsione del contratto collettivo, qualora il lavoratore sia riassunto a tempo determinato:

  • entro 10 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a 6 mesi; ovvero
  • entro 20 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a 6 mesi;

il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. I contratti a termine per esigenze stagionali possono essere rinnovati senza pause intermedie e senza causali.

Rinnovo “in deroga” di un contratto a termine presso l’ITL

L’articolo 19, co. 3, del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, stabilisce che – fermo quanto disposto al co. 2 (durata massima di tutti i contratti a termine, stagionali esclusi, per mansioni di pari livello e categoria legale, somministrazione inclusa, di 24 mesi salvo diversa e più favorevole previsione del contratto collettivo) – un ulteriore contratto a tempo determinato fra gli stessi soggetti, con durata massima di 12 mesi, può essere stipulato presso l’Ispettorato del Lavoro competente per territorio. In caso di violazione di tale procedura o di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, esso si trasforma a tempo indeterminato dalla data della stipulazione. Ovviamente, anche in questa ipotesi (salvo quanto ora previsto per i rinnovi stipulati a decorrere dal 5 maggio 2023 dall’articolo 24, co. 1-ter, del decreto legge 4 maggio 2023, n. 48, come inserito dalla legge di conversione 3 luglio 2023, n. 85), deve sempre essere indicata una delle causali espressamente previste dalla norma.

In relazione al contratto in deroga, l’INL ha precisato quanto segue:

  • l’art. 19, co. 3, del D.Lgs. n. 81/2015, nel prevedere la possibilità di stipulare “in deroga assistita” un ulteriore contratto a termine con durata massima di 12 mesi presso l’ITL, fa salvo quanto disposto al co. 2: quindi, tale particolare procedura si applica solo se tra lo stesso datore e lavoratore si è “consumata” la durata massima prevista dalla legge (24 mesi) o dal contratto collettivo e se anche l’ulteriore contratto in deroga comporta lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale;
  • laddove datore e lavoratore sottoscrivano ex novo un contratto a termine che prevede un inquadramento differente rispetto al precedente contratto a termine sottoscritto tra le medesime parti, non vi è necessità di presentare istanza di deroga assistita (INL, nota 19 maggio 2021, n. 804).

Quanto può durare al massimo un contratto a termine

In ogni caso, a prescindere dal fatto che si tratti della prima, seconda, terza o quarta proroga, o del primo, secondo, terzo o quarto rinnovo (e così via), e che sia stata indicata o meno una delle causali previste, un singolo contratto a termine non può durare più di 24 mesi. Nel caso di 2 o più contratti a termine, per mansioni di pari livello e categoria legale, vale sempre il limite dei 24 mesi in tutto, salvo diversa previsione del contratto collettivo, anche aziendale, che potrebbe prevedere un termine più ampio.

Contratto a tempo determinato per dirigenti

Se il lavoratore non è un operaio, un impiegato o un quadro ma un dirigente, quanto sin qui detto non opera. Infatti, l’articolo 29, co. 2, lettera a), del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, stabilisce che le norme generali in materia di contratti a termine non si applicano ai contratti di lavoro a tempo determinato con i dirigenti, che non possono avere una durata superiore a 5 anni.

Ne consegue che a tali rapporti di lavoro, tra gli altri, non si applicano i limiti previsti in materia di proroghe e rinnovo, con pari esclusione dell’obbligo di indicare le causali previste.

Inoltre, nel caso di un contratto a termine che sia dichiarato illegittimo nel settore del pubblico impiego privatizzato, il giudice non può ordinare la conversione del rapporto a tempo indeterminato ma deve limitarsi al risarcimento del danno (Cass. 26 aprile 2022, n. 13066).

Contratto a termine: contributo addizionale

La legge 28 giugno 2012, n. 92 (Riforma Fornero), con alcune eccezioni (per esempio: i contratti a termine stagionali o quelli per sostituire lavoratori assenti) ha introdotto un contributo addizionale dell’1,4% sui contratti a termine (che va quindi versato anche in caso di proroga, se esso è dovuto per il contratto originario).

Inoltre, il decreto dignità, nel 2018, ha disposto che tale contributo addizionale è aumentato di 0,5 punti percentuali in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in regime di somministrazione: ebbene, tale aumento di 0,5 punti percentuali riguarda solo i rinnovi, e non le proroghe, che quindi ne sono del tutto esenti.

Continuazione del rapporto di lavoro dopo il suo termine

L’ultimo, assai particolare, istituto che ci interessa esaminare è l’articolo 22 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, che disciplina la continuazione del rapporto oltre la scadenza del termine. Tale norma dispone che, fermi i limiti di durata massima di cui all’articolo 19 (24 mesi per il singolo contratto a termine ovvero sempre 24 per la sommatoria di più contratti a termine, somministrazione inclusa, ove si tratti dello svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale ma fatte salve diverse previsioni dei contratti collettivi), se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine che è stato inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al:

  • 20% fino al decimo giorno successivo;
  • 40% per ciascun giorno ulteriore.

Inoltre, ai sensi del co. 2, se il rapporto di lavoro viene fatto continuare oltre il 30° giorno in caso di contratto di durata inferiore a 6 mesi, ovvero oltre il 50° giorno negli altri casi, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.

CONTINUAZIONE: QUESTE LE REGOLE DA RISPETTARE

Durata del contratto in scadenzaContinuazione ammessaTrasformazione a tempo indeterminatoIncremento retribuzioneIncremento retribuzione
Primi 10 giorniGiorni dall’11° in poi
Meno di 6 mesiMassimo 30 giorniDal 31° giorno in poi+ 20%+ 40%
6 mesi esattiMassimo 50 giorniDal 51° giorno in poi+ 20%+ 40%
Più di 6 mesiMassimo 50 giorniDal 51° giorno in poi+ 20%+ 40%

In relazione alla cd. continuazione, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha precisato quanto segue:

  • perché sia applicabile l’art. 22, co. 2, del D.Lgs. n. 81/2015 è necessario che l’ispettore accerti una prosecuzione di fatto del rapporto a termine: ossia, alla scadenza del contratto, il lavoratore deve aver svolto l’attività dopo la scadenza del contratto per tutto il periodo “cuscinetto” e successivamente senza alcuna interruzione;
  • invece, ove sia accertata l’interruzione della prestazione, la sua ripresa configura un nuovo e distinto rapporto di lavoro rispetto al quale, ove difetti la comunicazione di instaurazione del rapporto, la maxi sanzione per lavoro nero è applicabile sin dal 1° giorno del relativo impiego.

Tuttavia, in sede di regolarizzazione mediante diffida, va tenuto conto dell’art. 21, co. 2, del D.Lgs. n. 81/2015 secondo cui, se il lavoratore è riassunto a termine entro 10 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a 6 mesi, ovvero 20 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a 6 mesi, il secondo contratto si trasforma a tempo indeterminato: pertanto, se il nuovo rapporto irregolare è iniziato entro 10 o 20 giorni dalla data di scadenza del precedente contratto a termine, l’eventuale diffida impartita in relazione ai lavoratori irregolari ancora in forza presso il datore dovrà prevedere solo la stipula di un contratto a tempo indeterminato (INL, Nota 19 aprile 2022, n. 856).

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