La digitalizzazione dello studio legale: la PEC
All’interno di questo primo ciclo di articoli dedicato alla digitalizzazione dello studio legale, è risultato assolutamente necessario iniziare occupandosi di quello che è divenuto oramai uno strumento indispensabile nell’attività professionale di qualsiasi Avvocato, ossia, la Posta Elettronica Certificata.
La PEC è definita dall’art. 1 del DPR 11 febbraio 2005 n. 68 come un “sistema di comunicazione in grado di attestare l’invio e l’avvenuta consegna di un messaggio di posta elettronica e di fornire ricevute opponibili ai terzi”.
Ciò che differenzia, quindi, una normale email da un messaggio di Posta Certificata è, da un lato, la presenza di un’attestazione di invio e di un’attestazione di consegna, dall’altro, la datazione certa – e opponibile ai terzi – delle attestazioni stesse.
La PEC, semplificando, ci consentirà di creare una vera e propria raccomandata digitale, ciò anche in ossequio al disposto dell’art. 48 II comma del CAD (Codice dell’Amministrazione digitale) che equipara la comunicazione inviata tramite PEC a una classica raccomandata A/R, ma con indubbi vantaggi per lo studio professionale, sia in termini di tempo impiegato – non dovremo stampare la missiva, preparare la busta e recarci all’ufficio posta – che di costi del servizio.
Posto, quindi, che l’indirizzo di posta elettronica certificata (di cui – ex art. 16 comma 7 D.L. 185/2008 – tutti gli Avvocati devono essere dotati sin dal 2009) è mezzo idoneo a sostituire la raccomandata A/R, il professionista telematico potrà utilizzarla:
- A) per le richieste di adempimento (diffida e messa in mora) rivolte a società e ditte individuali;
- B) per l’invio delle istanze di insinuazione al passivo nelle procedure fallimentari (così come previsto dall’art. 93 L.F.);
- C) per le notificazioni in proprio ex Legge 53 del 1994;
- D) per il deposto telematico degli atti giudiziari, così come espressamente previsto dal D.M. 44 del 2011;
- E) per lo scambio di corrispondenza con i Colleghi in tutti quei casi in cui si necessiti di una prova “forte” di avvenuto recapito del messaggio.
Soprattutto per le ipotesi sub A), C) ed E) l’operazione preliminare da porre in essere prima di approntare il nostro messaggio di posta elettronica è la ricerca dell’indirizzo PEC del destinatario.
A tal fine esistono numerosi registri di PEC previsti dal nostro ordinamento, e fra i più importanti e utilizzati vi sono certamente l’INIPEC e il ReGIndE (Registro Generale Indirizzi Elettronici).
Il primo raccoglie gli indirizzi di professionisti, ditte individuali e società, mentre il secondo racchiude le PEC di tutti gli attori del processo civile telematico.
Preciso che la presenza di un professionista nel ReGIndE è condizione imprescindibile per poter correttamente perfezionare il deposito telematico di atti, documenti e elaborati peritali nei processi civili.
Esiste poi il registro IPA che raccoglie i dati – ivi compresi gli indirizzi PEC – relativi alle nostre amministrazioni pubbliche, preciso però che tale pubblico registro non può essere utilizzato per provvedere alle notificazioni in proprio ex L. 53/1994, ciò in virtù della novella introdotta dal D.L. 90 del 2014 che ha di fatto espunto l’IPA dall’elenco dei registri utilizzabili a tale scopo, sostituendolo con il registro PP.AA. (consultabile tramite il portale dei servizi telematici del Ministero) che però – a causa della mancata alimentazione da parte delle pubbliche amministrazioni – risulta essere pressoché vuoto.
Tornando, in ogni caso, al nostro messaggio di posta elettronica, una volta identificato l’indirizzo del destinatario non avremo che da approntare la nostra missiva con un classico software di elaborazione testi, avendo cura, una volta ultimata la lettera, di salvarlo in formato pdf (da preferire – in questo caso – ai classici formati testuali come il doc, l’odt o il txt).
Dopo aver preparato il documento in formato pdf potremo passare alla sottoscrizione digitale dello stesso. Preciso che moltissimi Avvocati e professionisti hanno la pessima abitudine di non sottoscrivere con firma digitale i testi che allegano ai messaggi PEC non rendendosi conto che, di fatto, stanno inviando una comunicazione priva di sottoscrizione autentica. In particolare la Giurisprudenza è pressoché unanime nel ritenere che il messaggio email privo di sottoscrizione digitale possa essere – al massimo – ritenuto munito di sottoscrizione elettronica semplice che, in virtù dell’art. 21 del Codice dell’Amministrazione Digitale: “è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità” e non fornisce – quindi – piena prova, ciò al contrario di un documento munito di firma digitale a cui è attribuita l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del codice civile.
Per tale ragione la sottoscrizione della missiva allegata al messaggio PEC dovrà necessariamente essere munita di sottoscrizione digitale. Tale sottoscrizione, da effettuarsi tramite il proprio kit di firma digitale, potrà essere apposta sia in formato PADES-BES che in formato CADES-BES (entrambi ammessi dalla normativa vigente e pienamente validi anche ai fini dell’invio telematico degli atti giudiziari).
Personalmente preferisco e consiglio sempre il formato PADES-BES che, pur sottostando alla limitazione di poter firmare solo documenti pdf, gode dell’indubbio vantaggio di non modificare l’estensione del file firmato.
Il formato CADES-BES, infatti, permette la sottoscrizione di qualsiasi tipologia di documento ma va a incidere direttamente sull’estensione del file tanto che – per esemplificare – qualora avessimo un file denominato “missiva.pdf” dopo la sottoscrizione diverrebbe “missiva.pdf.p7m”. Ciò potrebbe comportare qualche difficoltà nella lettura del documento da parte del destinatario (soprattutto se l’invio viene effettuato nei confronti di soggetti non sempre abituati all’uso della firma digitale, come titolari di ditte individuali o società) posto che i file con estensione p7m debbono essere letti da specifici software o applicazioni web atte alla verifica della sottoscrizione e all’estrazione del documento.
Il formato PADES-BES, invece, consente – pur con le limitazioni sopra esposte – di lasciare invariata l’estensione del file che, anche dopo la nostra sottoscrizione, rimarrà “missiva.pdf”; oltre a ciò consente (in realtà come mera facoltà e non come obbligo) di apporre un segno grafico sul file riportante messaggi del tipo “firmato digitalmente da….”, così rendendo ancora più immediata e intellegibile l’avvenuta sottoscrizione del documento.
Conclusa la fase di preparazione e sottoscrizione del documento, non dovremo far altro che preparare il nostro messaggio di posta elettronica, scrivere l’indirizzo PEC del destinatario e allegare il file sottoscritto digitalmente.
Nel corpo della mail potremo inserire un messaggio di cortesia, quale – ad esempio – “In allegato la missiva firmata digitalmente”, volto a evidenziare come la comunicazione portata al destinatario non sia tanto contenuta nel corpo della mail quanto, invece, in allegato alla stessa.
Per la gestione della posta raccomando l’utilizzo di un client specifico a scelta fra quelli presenti sul mercato, ciò al fine di meglio conservare le ricevute di accettazione e consegna che costituiscono a tutti gli effetti la prova del corretto invio e dell’avvenuta ricezione della PEC.