Diverse prospettive per una stessa azienda vitivinicola
Un viaggiatore sa che per arrivare a una meta deve seguire una strada. Ma non solo. Per non perderla serve una “mappa”, senza la quale ogni ostacolo, incontrato o imprevisto, potrebbe fargli perdere l’orientamento e quindi la possibilità di raggiungere la meta desiderata. Anche nel management aziendale serve un certo “orientamento”. Lo sviluppo di innovazione e tecnologia e la grande disponibilità di dati e informazioni qualificate non generano automaticamente un’impresa più competitiva e non ne garantiscono il successo. È necessario che tutto questo sia inquadrato all’interno di una strategia e di una visione unitaria e condivisa dello sviluppo dell’azienda di cui “il dato” e “l’informazione” ne sono espressione e misura.
Una “mappa strategica”
aiuta a evidenziare le diverse prospettive con cui possiamo guardare alla
nostra azienda, rispondendo alle seguenti domande:
Valore nel
tempo: cosa vogliamo che diventi nel lungo periodo, per chi la costruiamo, come
proteggere il valore che creiamo nel corso di una vita? Scelta
strategica: vogliamo diventare un’azienda che insegue produttività ed
efficienza o un’impresa proiettata sui mercati? Identità dei
prodotti: cosa caratterizza il nostro vino sul mercato? Qual è l’offerta di
valore che facciamo ai clienti? Processi:
quali sono i processi aziendali dai quali ci aspettiamo il successo? Managerialità,
sistemi informativi e persone: quali percorsi organizzativi, professionali e
manageriali intraprendere?
Seguendo l’ordine sovra
esposto, si può partire ponendosi la domanda “dove voglio portare la mia
cantina nei prossimi 5-10 anni?” ma potrebbe essere altrettanto interessante partire
dal fondo, quasi come una verifica o una “prova del 9” e chiedersi prima “quali
percorsi organizzativi, professionali e manageriali intraprendere?”. Facciamo
un esempio: ho un enologo con molto talento, un “vigneto digitale” e siamo un
team affiatato. Grazie a queste “doti” quali processi aziendali mi vedranno
“eccellere”? Queste eccellenze che prodotto mi permetteranno di offrire ai
clienti? Quali saranno le sue caratteristiche? Questo prodotto è favorito da
scelte orientate all’efficienza e alla produttività oppure alla crescita e allo
sviluppo? E infine: come potrà essere la mia cantina tra 5-10 anni?
Queste domande sono la linfa della crescita imprenditoriale dell’impresa vitivinicola!
Mappa strategica per lo sviluppo dell’impresa vitivinicola
Inseguire produttività ed efficienza o proiettarsi sui mercati?
La “mappa” strategica
presentata ci pone davanti a un bivio fondamentale che è alla base di ogni
costruzione e progetto imprenditoriale:
da una parte
una serie di scelte strategiche che
mirano a raggiungere un’efficienza operativa che ottimizza l’utilizzo degli
investimenti aziendali e migliora la struttura dei costi di produzione e la
gestione di tutti i processi; dall’altra
una serie di scelte strategiche che
permettono di sviluppare nuove linee di ricavo e di migliorare il valore
che il cliente è disposto a riconoscere ai nostri prodotti.
Davanti a questo bivio, quale
strada intraprendere? Sgombriamo subito il campo da un equivoco di fondo: non esiste una strada giusta e una
sbagliata e nemmeno una strada più giusta delle altre. Esiste solo la propria strada!
Detto questo, il primo lavoro è scoprire i nessi tra gli obiettivi di ML del tuo progetto imprenditoriale e il sistema di opportunità disponibili: elementi di base quali le disponibilità finanziarie, la presenza o meno di asset agricoli di proprietà e le loro caratteristiche, i progetti enologici sviluppabili, il territorio di appartenenza, la storia famigliare, le competenze personali, la presenza su determinati canali commerciali e infine il proprio… desiderio. Tutto questo rappresenta il punto di partenza per individuare ciò che può effettivamente differenziare sul mercato la propria impresa e porre le basi per un futuro successo. Ho messo anche il proprio “desiderio” come elemento di base, perché il desiderio è spesso, infatti, la molla segreta che fa muovere le imprese del vino così come ricordato nell’importante convegno nel corso di VinoVip a Cortina 2019 intitolato Tra desiderio e mercato .
La strada giusta potrebbe
essere quella che porta un imprenditore a:
dimensionare
impianti produttivi per ottenere economie di scala; creare una
logistica efficiente sia sui mercati nazionali che internazionali; scegliere
prodotti a veloce rotazione che migliorino il capitale circolante; digitalizzare
i processi aziendali per ridurre la struttura dei costi; diventare una
“cantina 4.0” esasperando l’automazione.
Oppure quella che spinge un
imprenditore a:
ricercare
prodotti enologici importanti nel segmento premium; frequentare
il mondo dei concorsi per posizionare i propri prodotti; creare
strutture di accoglienza nella cantina per far vivere ai clienti l’esperienza
del proprio prodotto a 360 gradi; ricercare la
sostenibilità dei propri prodotti e la valorizzazione del territorio di
appartenenza; creare
progetti con clienti e importatori; investire sul
brand.
Sono strade diverse che partono da sistemi di opportunità/desideri diversi. L’importante è scegliere quella che meglio li rispecchia. Senza rimpianti. Infatti, subito dopo il bivio, intrapresa sulla mappa la strada scelta, il dilemma si riproporrà. La “cantina 4.0” non potrà infatti fare a meno di strategie che la avvicinino con decisione e personalità ai mercati di riferimento promuovendo in essi processi di posizionamento del brand. Allo stesso modo, la “cantina boutique” si dovrà confrontare con il tema delle marginalità che mercati internazionali, sempre più globalizzati, non sono più disposti a riconoscere senza effettive e reali ragioni.
Si pone quindi una
domanda fondamentale: qual è il valore che i clienti riconoscono davvero al
vino prodotto da una certa impresa?
Qual è il valore del vino per i
clienti?
Schematizziamo il tema
nelle sue parti più significative:
Il VALORE DEL VINO per il cliente = caratteristiche proprie del prodotto (qualità, prezzo, funzionalità, tempo) + valore del brand + esperienza di acquisto.
Il primo termine della
somma racchiude le componenti del valore che fanno riferimento al prodotto
in quanto tale. Si tratta di attributi che subito segmentano la clientela.
Possiamo trovare clienti che cercano il miglior prezzo, che si accontentano di
un prodotto di qualità standard, ma che sono attenti alla disponibilità, ai
tempi di consegna e a tutto ciò che rende l’acquisto funzionale ed efficiente.
Il binomio prezzo-logistica diventa per questi clienti il vero valore. Altri
possono invece non essere così attenti al prezzo, sono disposti a pagare
qualcosa in più, ma vogliono avere ampia scelta di prodotti, diversificati tra
loro nella tipologia e nel packaging. Altri ancora cercano la qualità del
prodotto, il vino premiato, quello che non può mancare sui loro scaffali o
nelle loro tavole. Per questi clienti il valore trascende le sole
caratteristiche proprie del prodotto e si estende ad altre categorie di valore.
Il secondo “addendo” è il
valore del brand. Qui entriamo in un mondo spesso “impalpabile”, di
difficile comprensione. Si tratta della dimensione della reputazione e
dell’immagine di un’azienda e dei suoi prodotti. È il riflesso dei fattori
cosiddetti “immateriali”. Un’azienda ha un forte brand quando riesce a proiettare
un’immagine di sé che è in grado di imporsi al cliente prima ancora che nasca
un rapporto diretto. Il mondo del vino, al pari della moda, è molto attratto da
queste componenti di valore che sanno imprimere al prezzo un’accelerazione in
crescita in nessun altro modo raggiungibile. Il brand favorisce
l’identificazione del cliente con il prodotto e in questo è il segreto del suo
“ap-prezzamento”, promessa che diventa prezzo.
Il terzo termine è la
cosiddetta esperienza di acquisto .
Lo stesso vino sullo scaffale è diverso se servito a un tavolo da un sommelier
o se direttamente acquistato nella cantina del produttore. Diverse esperienze
di acquisto che se sapientemente collegate alle precedenti categorie di valore
possono imprimere al prodotto-vino un valore del tutto unico e particolare.
Nascono così la vendita diretta, l’agriturismo e il più generale enoturismo.
Tutte le cantine che hanno strutture adeguate e che sono posizionate in
territori particolarmente vocati devono considerare queste strategie con
particolare attenzione. Chi oggi fa il budget per l’anno a venire non può non
mettere una % di crescita delle vendite legate a queste esperienze di acquisto
superiore ad ogni altro canale!
Si tratta ora di
scegliere e di definire l’equazione del valore del vino che si intende
produrre. La scelta migliore sarà quella che riesce a stabilire dei rapporti di
causa ed effetto tra le scelte strategiche fatte in precedenza, che abbiamo
visto essere orientate alla produttività ed efficienza piuttosto che
all’espansione nel mercato. Ad esempio prezzo e disponibilità si legano a
scelte orientate all’efficienza così come brand ed esperienza di acquisto
possono ben sostenere processi di sviluppo dei mercati.
La nostra “Mappa
strategica” inizia quindi a prendere forma creando nessi e relazioni tra scelte
del presente e del passato, tra vincoli strutturali e posizionamento
geografico, tra desideri di “unicità” e volontà di essere presenti ovunque. Da
queste scelte emerge l’idea di eccellenza propria di ciascuna impresa. Non si
tratta però di una scelta libera da condizionamenti: si dovrà scegliere di eccellere solo laddove potremo davvero dare il
meglio nella concretezza dei singoli processi aziendali.
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Quattro processi produttivi per un prodotto eccellente
Tutte le organizzazioni
aziendali sviluppano un’infinità di processi. Al crescere dell’organizzazione
cresce la complessità dei processi da essa attivati. Un’azienda vitivinicola
però, per la peculiarità del settore in cui opera, sviluppa complessità anche
nelle realtà più piccole, infatti:
non basta coltivare
i vigneti: lo si deve fare riducendo al minimo l’utilizzo dei trattamenti e in
condizioni climatiche spesso oggi avverse più che in passato; è necessario disporre
di personale qualificato e/o saperlo reperire in un mercato del lavoro con
regolamentazioni rigide e povero di professionalità; non basta
fare un buon vino: la qualità media del prodotto è superiore a quella
riscontrabile qualche anno fa e i servizi logistici devono essere in grado di
servire il cliente, con efficienza e tempestività, ovunque; non basta
vendere: bisogna farlo ovunque nel mondo e su più canali (GDO, HORECA, diretta,
WEB, piattaforme, rivenditori, importatori, etc); non basta
remunerare il giusto: è necessario portare valore sul territorio e nella propria
comunità di appartenenza.
Ma come orientarsi in un
mercato in cui “l’asticella” è posta sempre più in alto?
Innanzitutto mettiamo un po’ d’ordine classificando i processi produttivi
in 4 macro famiglie:
I processi gestionali e operativi; I processi di gestione del cliente; I processi di innovazione; I processi con valore “sociale”.
I
processi gestionali e operativi
In una cantina i processi gestionali e operativi tipici sono principalmente la gestione dei vigneti, il conferimento delle uve, la vinificazione e l’imbottigliamento, la logistica e la distribuzione. Per stare sul mercato oggi un’impresa deve avere una buona performance in tutti questi ambiti, diverso è chiedersi qual è il processo dalla cui eccellenza ci si possa aspettare il successo. Inevitabilmente sarà quello con un rapporto di causa ed effetto più stringente con la “proposta di valore per il cliente ” che abbiamo deciso di offrire. Analizziamo questo aspetto tramite alcuni esempi.
I processi che
permetteranno di realizzare una proposta di valore al cliente focalizzata
sull’assortimento e sulla disponibilità saranno la “raccolta dell’ordine” (dare
al cliente la possibilità di fare un ordine in modo immediato e facile), una
logistica veloce che segnali eventuali rotture di stock così da offrire subito
valide alternative e capace di spedire anche piccole quantità di prodotto a
costi accettabili. Allo stesso modo una proposta di valore al cliente che miri
a offrire un “prodotto unico”, fortemente caratterizzato per il suo terroir,
dovrà avere straordinari processi di gestione del vigneto e di selezione delle
uve. Questi elementi da soli potrebbero non bastare in quanto non saranno in
grado di generare un’esperienza forte con il cliente finale senza una
comunicazione diretta. È necessario mettere a disposizione del cliente una
tracciabilità infallibile che possa raccontargli del luogo esatto da cui una
straordinaria uva, fattasi vino, è arrivata fino a lui! In questo caso il cliente
potrebbe accettare anche il disagio di aspettare più a lungo l’arrivo del suo
ordine a causa di una logistica non al top, ma non sarebbe disposto a pagare un
extra costo senza la possibilità di immedesimarsi, di “vivere” il luogo da cui
il vino che ha acquistato proviene.
Questi sono i processi su cui diventare una “star”! È chiaro che l’azienda dovrà essere in grado di performare anche in molti altri processi, ma non saranno questi a farla arrivare al successo. Le sarà sufficiente essere in grado di avere una prestazione “nella media”. Una PMI non potrà mai essere al top in tutto (ma neppure è necessario esserlo): iniziamo dai processi che hanno una relazione di causa ed effetto maggiore con la nostra proposta al cliente. Il resto verrà più facilmente grazie ai successi che si inizieranno a raccogliere.
I processi
di gestione dei clienti
Oggi un’efficace
impostazione di marketing commerciale suggerisce di rendere l’azienda così
attenta ai propri clienti, così capace di conoscerne le abitudini, così
consapevole dei motivi che li legano al proprio prodotto o al proprio brand, da
essere in grado di attivare continui cambiamenti (di prodotto e di processo)
per allinearvisi. Tale impostazione vale anche per le aziende del vino che,
legate per tradizione, per territorio o per legislazione a una certa tipologia
di prodotto, hanno importanti vincoli su ciò che producono e devono spesso definire
pianificazioni di lungo periodo.
La “proposta di valore”
per le imprese vitivinicole è particolarmente sviluppata in tutte le tre
caratteristiche componenti:
Qualitative
di prodotto (qualità, prezzo, funzionalità, tempo); Valore del
brand; Esperienza di
acquisto.
Se i vincoli della
tradizione, del territorio o della legislazione agiscono in particolare nella
prima delle tre componenti, laddove si identifica la tipologia di prodotto,
ampia libertà di movimento e di “cambiamento” è riscontrabile, invece, in tutti
gli altri aspetti. Il cliente non compra il solo prodotto. Tutta l’offerta
nella sua complessità è determinante per la sua scelta di acquisto. Quindi se
un territorio tradizionalmente esprime un vino rosso all’interno di una DOCG
con importanti terroir e tipicità,
non vuol dire che laddove il mercato evolva si debba necessariamente snaturare
il prodotto o innovare con vitigni alloctoni (cosa peraltro da non
demonizzare). Sarebbe opportuno lavorare sulle componenti di valore complessive
e quindi, a livello di prodotto, sulla disponibilità e facilità di accesso, ma
anche e soprattutto facendo leva sulle strategie di branding e sull’esperienza
di acquisto che sono oggi “bisogni” emergenti nei consumatori wine-lovers .
Il nesso con la “proposta
di valore” nella sua complessità deve essere chiaro ed esplicito in tutte le
fasi di gestione del cliente:
Selezione: non tutti i clienti sono clienti giusti per una azienda. L’individuazione del target a cui rivolgersi è il punto di partenza di qualsiasi strategia di mercato. Il target è la sintesi corretta tra un giudizio su quanto il mercato esprime come bisogno e le possibilità che l’azienda ha come risposta concreta. Il processo di selezione permette di focalizzare le risorse aziendali solo laddove il proprio prodotto è arrivato a rappresentare un’opzione di acquisto reale e immediata. Acquisizione: focalizzati là dove il prodotto risponde davvero, parte l’avventura per dare un nome ai clienti. I tempi necessari per il processo di acquisizione sono spesso scoraggianti. Gli investimenti e le spese necessarie appesantiscono conti economici già provati per le tensioni sui prezzi e per le marginalità spesso decrescenti. Sbagliare strategia a questo livello comporta enormi rischi. Non avere una strategia ancora peggio! Sarà di aiuto il percorso fin qui tracciato sulla “Mappa” che può guidare l’imprenditore a costruire una strategia in linea con la propria identità aziendale. Fidelizzazione: spesso costa meno fidelizzare che acquisire. Non sempre vengono adeguatamente sostenute e controllate le attività che portano a rinnovare gli acquisti da parte del cliente. La fidelizzazione non è sostenuta solo dalla capacità di rispondere alla “promessa” fatta al cliente, ma anche nel saperla far evolvere nel tempo. Questo richiede ascolto, relazione, elasticità. Crescita: fase finale in cui la “raccolta” genera una crescita aziendale. Nel mondo del vino ci sono dei vincoli non superabili che possono impedire una crescita continua. La disponibilità di uva da parte della filiera agricola è infatti influenzata sia da fattori naturali che regolamentari. In questi casi per crescere si deve tornare all’inizio della “Mappa” e ricominciare con ipotesi diverse, oppure rinunciare a crescere. Ma esiste un’impresa che possa rinunciare a crescere?
I processi di gestione
del cliente sono importanti perché, più di altri, manifestano la loro relazione
di causa-effetto con le altre componenti della Mappa e, pertanto, sono dei veri
e propri indicatori che dicono se un’azienda è sulla giusta strada o meno.
Potremo dire che sono il nostro navigatore GPS!, ma quanto costa selezionare,
acquisire, fidelizzare e far crescere i nostri clienti?
Sul finire di ogni anno tutti
corrono per chiudere al meglio i loro budget di vendita e iniziano anche a fare
i conti con i costi accumulati nel corso dell’anno. Missioni all’estero, fiere,
promozioni, eventi, premi, agenti, segnalatori, export manager, brand
ambassador, Italia account manager, pubblicità, social media management… potremmo
continuare ad allungare la lista usando sia nomi italiani che nomi inglesi,
quasi che in “english” costassero meno o apparissero meno pesanti… In ogni caso
sono sempre tanti, troppi. E non sono mai abbastanza!
I costi della Gestione del
Cliente sono oggetto di aspre discussioni nelle direzioni aziendali in quanto
sono, per una buona parte, “discrezionali”. Nessuno discute o argomenta se il
prezzo del vetro per le bottiglie è cresciuto del 10% (le bottiglie sono
necessarie!), nessuno argomenta se il prezzo dell’uva è maggiore (il vino si fa
con l’uva!), ma “le 4 fiere fatte quest’anno a cosa sono servite?”, “gli eventi
con la guida “tal dei tali” quante bottiglie ci ha fatto vendere?”; “I ragazzi
del marketing stanno sempre su Facebook e Instagram… quando iniziano a vendere
qualcosa?”… Quante discussioni e quante incomprensioni!
Per valutare se i costi
marketing commerciali sono stati spesi bene ci viene in aiuto il percorso fatto
fino a qui sulla nostra Mappa Strategica. Esiste un nesso di causa ed effetto
tra tutte le dimensioni aziendali e quindi non sarà difficile scoprire se le
caratteristiche del prodotto offerto, le sue modalità di vendita e la sua
disponibilità, sono allineate alle iniziative marketing commerciali realizzate.
Più nessi si trovano, più la spesa è stata giusta. Le vendite verranno. Se i
nessi trovati sono pochi e incerti, le vendite non verranno e sarà necessaria
una revisione importante nella strategia.
È un fatto che in un mercato
complesso, globale, vivace e luccicante come quello del vino i costi nell’area
marketing commerciale siano una parte importante dei bilanci aziendali. Ci sono
però alcune strategie che potrebbero aiutare. Per brevità ne espongo solo una:
fare rete.
La strategia di rete è presto detta:
Definire l’identità della rete attraverso la selezione delle aziende da mettere in contatto seguendo tre criteri:persone: conoscenza reciproca, fiducia, valori aziendali comuni; prodotti: provenienti da diverse aree geografiche che rappresentino la produzione “italiana” nella sua incredibile ricchezza e che siano in linea con metodologie e filosofie di produzione; creare un catalogo con ampia scelta di prodotti in grado di soddisfare diverse tipologie di clienti e canali dei paesi target. Identificare uno o più “paesi target”. Il mondo è così grande che anche le imprese più strutturate faticano ad assicurare una presenza commerciale adeguata. Non sarà quindi difficile individuare nuove aree dove iniziare una presenza qualificata o aree già coperte dove è necessario “cambiare marcia”.Creare strutture comuni per assicurare una presenza commerciale forte. È necessario fare la fatica di individuare persone capaci di rappresentare la rete. Solo così si potranno ottenere significativi risparmi di costo da investire in nuovi mercati.Creare logistiche di rete e sistemi informatici di raccolta ordini. Strutturare servizi finanziari che facilitino la gestione del credito favorendo i flussi di incasso.
Si tratta di fare un lavoro insieme, non semplicemente di sommare le presenze all’estero. Si devono concentrare gli investimenti per ingaggiare le risorse migliori, fare economie di scala per finanziare poi le spese veramente strategiche. Fare rete davvero non come purtroppo accade spesso nelle programmazioni OCM per l’internazionalizzazione o in iniziative collettive simili dove si assiste a un “teatrino” in cui le uniche sinergie realizzate sono le ri-fatturazioni dei buffet.
Le esperienze di
strategie di rete ci sono. Non sono certo una strada facile… però mi domando:
“esistono ancora strade “facili” per fare impresa?”.
I
processi di innovazione
Il vino, più di altri prodotti, è “tradizione”. Dall’ultima cena, duemila anni fa, quando Gesù
Cristo lo scelse, assieme al pane, come modalità di rendersi presente nella
storia degli uomini dopo la sua ascensione, ai momenti importanti di una
famiglia o di un gruppo di persone che brinda in onore di qualcuno o qualcosa.
Oggi, ogni vino che si rispetti affonda le sue radici in una situazione del passato dalla quale si aspetta un “accreditamento”. Siamo infatti in un mondo caratterizzato da miriadi di etichette che nascono e muoiono con una facilità sorprendente. Esserci o meglio “esserci stato”, direttamente o indirettamente, in un particolare momento o evento del passato, apre a una narrazione del prodotto-vino più intensa ed efficace. Ogni cantina ricerca antenati, testimonianze del passato su attività di vinificazione nella propria zona, reperti antichi di civiltà precedenti che, come oggi, facevano del vino occasione di convivialità e di celebrazione. Questa ricerca è generalmente molto interessante anche se in più di un’occasione ho incontrato storie forse poco credibili, per non dire ridicole.
Il vino è vera tradizione per la passione che anima chi lo fa, per il legame indissolubile con un territorio e la sua gente e per la capacità che ha di rappresentarla. L’azione dell’uomo con la coltivazione è in grado di modificare il paesaggio creando qualcosa di nuovo che prima non c’era. Com’è recentemente successo alle colline del Valdobbiadene diventate patrimonio Unesco. Un territorio che, grazie a una tradizione antica legata alla coltivazione dell’uva, ha preso una forma che ora viene protetta e tutelata per durare, per diventare ancora più “tradizione”. È “tradizione” anche la continua e interessante ricerca e valorizzazione di vitigni autoctoni antichi che vengono riproposti come reperti di un passato che si riaffaccia al presente in un mercato assetato di novità.
Se però dal prodotto vino si passa all’azienda del
vino la parola “tradizione” evoca valori meno stimolanti del tipo “si è sempre
fatto così!”. Oggi le imprese
sono oggetto di continui e intensi processi di innovazione che ne modificano il
contesto competitivo e chi non si adegua mette a rischio il futuro
dell’azienda. Accade nei vigneti con l’agricoltura di precisione e con le
varietà resistenti destinate a modificare in modo importante i nostri vigneti.
Chi non si impegna seriamente in queste innovazioni potrebbe perdere a breve
competitività. Accade nelle cantine con l’automazione dei processi, con l’industria
4.0, con tecniche enologiche innovative che mirano a creare prodotti sempre più
salubri riducendo o modificando i prodotti enologici. Per non parlare della
costruzione di nuove cantine dove la chiave del successo è la capacità di
coniugare processi di produzione innovativi, confort per chi ci lavora e
design.
Piuttosto di subire o rincorrere l’innovazione
conviene esserne i protagonisti.
Come? Poniamoci alcune domande:
Che relazione
esiste o potrebbe esistere tra un’innovazione in vigneto o in cantina e la
nostra offerta di valore ai clienti? Sono i clienti che ci devono trascinare
nel nuovo! L’innovazione
spesso nasce dalla semplice curiosità che ci fa guardare la realtà con occhi
aperti e senza filtri: ci concediamo momenti o relazioni aperte? L’innovazione
nasce dalle persone: nelle nostre imprese coltiviamo talenti?
Sconfiggere il “si è
sempre fatto così!” aprirà le aziende non solo alle innovazioni, ma anche alle
nuove generazioni!
I
processi sociali
Esistono imprese che sono
in grado di nascere, crescere e svilupparsi senza generare relazioni ed effetti
su persone e territori? Se mai ce ne fossero alcune non è certo il caso delle
imprese vitivinicole! Per argomentare le mie affermazioni amo prendere in esame
i numeri. In un recente convegno in occasione della consegna dei diplomi del corso
di Politiche e Governance del Territorio dell’Università di Verona del quale ho
l’onore di essere docente, ho portato ad esempio dei dati forniti dal Centro
Studi di Banca Intesa sui Distretti Italiani che fanno riferimento al
territorio di Verona:
distretto
Calzatura: -5,3% marmo e
graniti Valpolicella – 3,1% mobili -3% vino + 9,6 turismo + 2,1 dolci
veronesi + 44%
Calano i Distretti che
non hanno collegamenti organici con il territorio e crescono i Distretti che
“sposano” il territorio. I numeri confermano l’effetto positivo che si innesca
in un’economia quando una determinata produzione e un territorio giocano
insieme una partita! Non sempre accade questo e la vicenda dell’ex-ILVA a
Taranto ne è una terribile testimonianza.
Per un imprenditore i “processi socialmente sensibili” sono un
fattore di sviluppo e un’opportunità mentre possono essere un limite
insuperabile se non adeguatamente considerati. Sostenibilità, riduzione dei
trattamenti, valorizzazione delle tradizioni, ospitalità, ricchezza diffusa…
sono oggi valori che possono cambiare in meglio la proposta di valore fatta al cliente
della Cantina.
In particolare la parola “sostenibilità”
rende il tema molto chiaro. Le tre dimensioni della sostenibilità:
economica-ambientale e sociale sono i tre ambiti dove trovare un terreno comune
di lavoro tra gli operatori economici, gli enti locali e la popolazione.
Ogni posizione che non
tenesse conto di tutte le tre dimensioni sarebbe irrealistica e pertanto frutto
di una posizione ideologica destinata ad alimentare scontro sociale e declino
economico.
Servono persone preparate
ad affrontare questa sfida:
nelle imprese
persone capaci di rispondere alle aspettative dei consumatori sempre meno
disponibili verso i prodotti non sostenibili e capaci di massimizzare la loro
competitività in un sistema a rete su un territorio; negli enti locali
persone capaci di “piegare la burocrazia” a servizio del bene comune; nella
popolazione persone capaci di distinguere il bene comune dai propri interessi
particolari (vedi il dilagare dei “NIMBY”: l’acronimo inglese di “non nel mio
giardino”) e capaci di mettersi in rete con le imprese per fornire competenze e
in rete con gli Enti locali attraverso le numerose esperienze associative (strade
del vino, proloco, associazioni culturali etc.)
La parola “sostenibilità”
potrebbe diventa il collante tra:
Ambiente,
Economia, Socialità; Passato,
Presente, Futuro; Imprese, Enti
locali, Popolazione.
Il tema della sostenibilità
impone un metodo di lavoro in cui l’unità di misura non è più il solo interesse
di parte, qualsiasi esso sia, ma l’idea che abbiamo un patrimonio che ci è
stato donato e tramandato e che dobbiamo valorizzare e tramandare. Tutto questo
genera valore.
Non ascoltiamo quindi
coloro che pensando di essere più “informati” degli altri considerano la
sostenibilità solo come una moda del momento. È invece un processo di lavoro
parte integrante di ogni strategia di sviluppo. Tanto più nel vino!
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Cosa significa essere
smart in un’azienda vitivinicola
Quante volte, incastrati
nel tentativo di risolvere l’ennesimo problema ci siamo sentiti dire: “devi
essere più smart!”. Difficile tradurre in italiano la parola smart che significa “intelligente” in
quanto non rende la complessità di significato che invece è insito nel dire
“devi essere più smart!”. Dire: “devi essere più intelligente” non significa
nulla. L’intelligenza uno se la ritrova come dono o come carenza, non è un
atteggiamento che puoi imparare. Una volta Angelo Frascarelli, noto professore
di Politica Agraria, mi disse che per rendere la parola smart la devi accompagnare con lo schiocco delle dita. Provate
anche voi e, schioccando le dita dite: “Devi essere più smart!”
Si capisce che essere smart significa applicare intelligenza,
velocità, innovazione, sorpresa, stupore… e potremmo continuare ancora.
Essere smart ha a che fare con il nostro
quotidiano applicarsi all’oggetto del nostro interesse. Se ci troviamo a
guidare un’azienda significa sapersi
destreggiare nella complessità delle situazioni che la nostra strategia
aziendale incontra in ogni momento.
Una delle situazioni più
ricorrenti è la quantità di informazioni e numeri che dovremmo essere in grado
di leggere, elaborare e comprendere. Si tratta di informazioni sia interne che
esterne alla nostra azienda che non possiamo non conoscere e gestire. Potremmo
dire che l’impresa deve essere data-driven .
Di cosa abbiamo bisogno?
di un
software gestionale in grado di rispondere alle più diverse esigenze, capace di
registrare le informazioni aziendali cruciali (i processi di cantina, i costi
di produzione, gli acquisti, le vendite, i flussi di cassa …); di sistemi di
collegamento alla rete veloci e potenti; di sistemi di
archiviazione dati (sempre più in cloud
per godere di servizi efficienti e sempre più performanti); di software
di business intelligence per estrarre e rielaborare le informazioni necessarie
a compiere scelte gestionali importanti.
Non sono argomenti
“facili” nel mondo vitivinicolo che, a fatica, ha da poco “digerito” la
dematerializzazione dei registri di cantina, ma sono argomenti che non possiamo
lasciare nello scatolone delle cose inutili fatte solo per “gli adempimenti”
della burocrazia. Digitalizzare un processo significa conoscere all’istante
cosa accade in azienda. Questa conoscenza è tutt’altro che scontata. Molti
imprenditori pensano di conoscere le loro aziende come le loro tasche. Spesso è
così, però, sempre più frequentemente, le cose stanno diversamente e, in un
mercato disperatamente sempre più competitivo, il successo parte dai dettagli.
Dalla strategia all’azione: le risorse umane
Nei testi di management
si legge che fatta la strategia si deve passare all’azione e, come primo
compito, si devono allineare le “risorse umane” alle strategie scelte dalla
direzione aziendale. Un linguaggio un po’ arido, ma che porta con sé molte
verità. È esperienza di tutti quella di aver avuto l’idea giusta e di aver
escogitato una strategia adeguata e vincente, ma è altrettanto comune
l’esperienza di non essere riusciti a realizzarla. Nella maggior parte dei casi le strategie non falliscono perché sono
sbagliate, ma perché non riusciamo a portarle in fondo.
Nelle numerose esperienze
vissute nella mia attività professionale in azienda ho verificato che spesso
gli insuccessi sono legati alla difficoltà di spiegare prima e di sostenere
poi, la complessità delle relazioni di causa-effetto di una strategia aziendale
nelle diverse attività e settori dell’azienda.
Facciamo alcuni esempi:
Scelta strategica: rafforzare le vendite sui
mercati internazionali
Per essere sicuri di
avere qualche possibilità di successo sarebbe necessario avere tutto il
personale di contatto con adeguate conoscenze delle principali lingue
straniere, sviluppare una comunicazione e un marketing che tenga conto del
contesto locale in cui si va a operare, conoscere le normative doganali, prestare
attenzione alla contrattualistica (già è difficile difendersi all’interno dei
nostri confini nazionali figurarsi all’estero), disporre di persone disponibili
a lunghi soggiorni all’estero e molto altro. In assenza di un sistema interno
capace di affrontare il tema, ogni investimento commerciale e di marketing in
paesi lontani non genera le vendite attese.
Sviluppiamo la vendita diretta
Ogni cliente che entra in
cantina può diventare il più grande ambasciatore del brand aziendale. Sono
necessari oltre alle strutture di accoglienza e vendita in linea con l’immagine
aziendale, anche persone formate a fare da front-office, esperte nello storytelling , che conoscano il prodotto
e le tecniche di vendita del mondo retail. Non basta infatti che le persone
entrino in azienda, è fondamentale che vi escano con le macchine piene! Mi è
capitato recentemente di esaminare la grande crescita del numero delle visite
in una cantina a cui non è corrisposto un altrettanto incremento delle vendite.
Analizzando il problema è emerso come il personale addetto non fosse
adeguatamente formato sulle azioni di vendita in ambiente retail e l’ambiente
stesso dello shop fosse più legato a rappresentare l’azienda che a promuovere
la vendita.
Gli esempi potrebbero
essere molti e tutti ci porterebbero a dimostrare che una strategia non può funzionare se non è fatta propria dalle persone
che sono destinate a realizzarla.
Questa semplice constatazione dovrebbe spingere le direzioni aziendali a:
sviluppare strategie chiare e articolate nelle loro conseguenze operative nell’organizzazione aziendale; comunicare con precisione la strada che l’azienda intende percorrere; sostenere le competenze e le capacità necessarie con azioni manageriali e formative.
La nostra “Mappa strategica per lo sviluppo delle imprese vitivinicole” può quindi diventare un valido strumento di aiuto per il mondo delle cantine italiane.