Vino e digitale

L’enologo di domani: stilista e manager

Poche figure rivestono un ruolo decisivo all’interno di un’azienda come invece l’enologo ha dimostrato di saper fare in questi anni. Anni di grandi cambiamenti che vedono modificarsi il mercato, il consumatore, ma anche l’organizzazione delle aziende: cresce infatti la disponibilità di tecnologie per la gestione della cantina, del vigneto, dei prodotti e dei dati aziendali, ma anche la sensibilità verso le espressioni del territorio e la sostenibilità delle aziende. In questo panorama stimolante e poliedrico è lecito chiedersi quale sia e quale sarà il ruolo dell’enologo di domani. Sicuramente un ottimo produttore di vini vocati all’eccellenza e anche un manager capace di coniugare la propria attività in un circuito virtuoso di processi produttivi e distributivi aziendali. È opportuno raggiungere il giusto equilibrio per fare al meglio entrambi i mestieri, per un enologo sempre più “trasversale” nei processi e nella vita dell’azienda vitivinicola. Ne parliamo in questo articolo.

Introduzione

Il presidente nazionale di Assoenologi, Riccardo Cotarella, alla domanda su come sarebbe evoluta la loro figura ebbe a dire: “Noi, come spesso ci definiamo, siamo operatori in trincea spinti da una passione smisurata verso il nostro mondo. Non ce ne voglia qualcuno, ma siamo convinti che il rinascimento qualitativo del vino italiano sia da accreditare ai produttori e a noi enologi. Siamo altrettanto convinti che la ricerca del meglio, che mai ci abbandona, sarà il tramite per dare al vino italiano ancora più valore materiale ed immateriale.” In un’altra occasione disse: “Senza il sapere e la scienza applicata che nessuno al pari degli enologi può vantare, il vino italiano non avrebbe raggiunto i livelli qualitativi che oggi è in grado di esprimere, facendosi portabandiera di un intero Paese.”  E ancora: “Adesso l’enologo è anche comunicazione, saper intervenire in campagna, avere una visione del mercato e saper dare delle indicazioni anche in questa direzione. La visione dell’enologo che corregge le uve tra botti e vasche ormai è una figura oleografica del passato. Il nostro lavoro nel mondo globale viaggia a 360 gradi e chi non si è adeguato resta tagliato fuori. Oggi siamo manager comunicatori, una figura centrale in una azienda. Ci siamo dovuti reinventare”.

Quanti enologi italiani sono consapevoli di quanto il loro Presidente ha in più occasioni dichiarato? Quanti imprenditori del vino hanno la capacità e lungimiranza di lasciare ai loro enologi uno spazio adeguato di azione all’interno del sistema impresa-cantina?

L’importanza di questi due interrogativi suggerisce di affrontare il tema in modo ampio e sistematico così da offrire a tutti, enologi e produttori, uno strumento di riflessione e di lavoro per meglio orientare il lavoro di ciascuno in un mondo che cambia molto velocemente.

Per il nostro percorso all’interno della professione dell’enologo partirei commentando il titolo del nostro lavoro: “L’enologo di domani: stilista e manager”. Parlando di “domani” non significa che l’oggi è prematuro o estraneo a quanto in oggetto, ma che siamo in un “già e non ancora”: la realtà già ci mostra degli esempi virtuosi, ma non ancora tutti ne sono consapevoli e/o attratti.

Interessante è quanto può evocare la parola “stilista”. Nei dialoghi con gli enologi mi trovo spesso a chiedere cosa accomuna e cosa differenzia la figura dell’artista rispetto alla figura dello stilista. Cosa li accomuna? Creatività, passione, ricerca e continui tentativi, desiderio di presentare il loro lavoro agli altri… Cosa li differenzia? Il contesto: lo stilista opera in un contesto aziendale. L’artista no. L’artista risponde a sé stesso, al proprio mondo interiore o a un committente mecenate. Lo stilista risponde all’azienda e quindi al cliente e deve fare sintesi tra:

  • competenze scientifiche
  • nuove tecnologie
  • creatività
  • moda
  • mercato
  • ricerca
  • comunicazione.

Insegno Economia dell’impresa vitivinicola al 2° anno di Enologia presso l’Università degli studi di Verona. Ai ragazzi dico che saranno giudicati dal risultato che sapranno ottenere come artefici di un vino, ma saranno valorizzati, la loro carriera sarà favorita, i loro progetti potranno essere ascoltati, le loro visioni diventeranno realtà solo quando il loro vino si trasformerà in un valore per l’azienda. Sarà l’impatto del loro vino sull’azienda-cantina a generare e giustificare il loro successo. Solo un artista fa un’opera d’arte che si giustifica in sé! Quella dello stilista è invece un’”arte applicata”. Questa applicazione al contesto aziendale la trasforma e le dà un’identità autonoma.

Non conosco bravi stilisti morti in misera, ma per molti artisti il successo, se mai è arrivato, è arrivato postumo! Vorrei quindi dare un contributo per farlo arrivare almeno un po’ prima!

Il cuore del lavoro dell’enologo: il vino e la sua proposta di valore, materiale e immateriale

L’enologo è responsabile del prodotto vino. Ma come si coniuga questa responsabilità con il “valore” che i clienti assegnano al suo prodotto?

Al termine di un incontro con una delegazione di enologi mentre discutevamo delle loro responsabilità manageriali uno di loro se ne uscì con un’esclamazione un po’ piccata: “Ma il nostro compito è fare il vino!” Nessuno lo stava mettendo in dubbio e si stava solo cercando di ampliare l’orizzonte all’interno del quale questo “fare il vino” doveva diventare un’attività che creava valore per la cantina, intesa non solo come luogo in cui si produce il vino, ma piuttosto come “impresa”. Questa obiezione è stata molto preziosa perché ha come “aperto una finestra” su aspetti che generalmente restano impliciti e/o sconosciuti e che raramente vengono messi a tema e che potremmo scoprire rispondendo alla domanda: “In cosa consiste il VALORE del vino che si produce in cantina?” o, meglio: “Questo prodotto frutto di lavoro, tecnica, dedizione e passione come viene valorizzato e “ap-prezzato” (cioè riconosciuto con un prezzo pagato) dai clienti?

Il percorso “ap-prezzamento” del cliente può essere variegato e svilupparsi su “valori” che tra loro si assommano in modo diversificato a seconda del cliente target della cantina:

Grafici Lavoro Enologo

La prima categoria di valori racchiude le componenti che fanno riferimento al prodotto in quanto tale e sono quelle che maggiormente dipendono dal lavoro quotidiano dell’enologo:

  • Qualità: il principale elemento valutativo dell’enologo e del suo lavoro. La qualità si può definire valutando diversi aspetti del prodotto (sostanza, intensità dell’aroma, complessità, equilibrio, longevità, densità…) tipici delle scienze enologiche che in questa sede non approfondisco non essendo un enologo e rivolgendomi in questo articolo a degli enologi!  
  • Prezzo: è la grandezza che rende congruente la qualità del prodotto in relazione al suo posizionamento. La qualità di un prodotto in fascia premium è diversa dalla qualità di un prodotto base e il prezzo è la grandezza che sostanzia questa diversità agendo spesso come fattore migliorativo o peggiorativo. Ad esempio, un vino con buone caratteristiche qualitative che avesse un prezzo basso essendo stato costruito come prodotto entry nel canale GDO avrebbe un ottimo rapporto qualità/prezzo contribuendo a migliorare ulteriormente la sua percezione qualitativa. Di contro un vino costoso di fascia premium che non mantenesse le sue “promesse” qualitative vedrebbe ulteriormente peggiorare la percezione della sua qualità.
  • Tempo/disponibilità: un attributo non del prodotto, ma del processo aziendale e frutto delle risorse e scelte dell’azienda e della sua organizzazione. Se le risorse aziendali (quantità e qualità dei vigneti, dotazioni di cantina, capacità finanziaria…) sono spesso dei dati che dipendono dalla proprietà aziendale indipendenti dall’enologo non altrettanto si può dire per le scelte e l’organizzazione della cantina. È l’enologo che pianifica le attività di produzione, gestisce gli acquisti e tiene sotto controllo le scorte interfacciandosi con il settore commerciale. Spesso anche i magazzini e la logistica di spedizione sono settori alle sue dipendenze. Decidere ad esempio se e quando acquistare del vino sfuso da imbottigliare per alimentare in modo ordinato e senza rotture di stock il flusso delle vendite è compito dell’enologo, così come valutare la prossima vendemmia e i necessari acquisti integrativi di uva rispetto alle necessità aziendali. Queste scelte si trasformano in processi che possono migliorare la disponibilità e i tempi di consegna dei prodotti influenzando positivamente o negativamente la percezione del “valore” del prodotto vino.
  • Assortimento: il processo di ricerca, selezione e acquisto di un vino ha dei costi per il cliente che vanno ad aggiungersi al prezzo del vino acquistato. In un’ottica di “costo di acquisto” e non solo di “prezzo di vendita” la disponibilità di un vasto assortimento di prodotti genera “valore” per il cliente modificando in più o in meno il peso degli altri fattori (prezzo, qualità, disponibilità)

Questa prima categoria di valori segmenta da subito la clientela. Possiamo trovare clienti che cercano il miglior prezzo, che si accontentano di un prodotto di qualità standard, ma che sono attenti alla disponibilità, ai tempi di consegna e a tutto ciò che rende l’acquisto funzionale ed efficiente. Il binomio prezzo-logistica diventa per questi clienti il vero valore. Altri possono invece non essere così attenti al prezzo e sono disposti a pagare qualcosa in più, ma vogliono avere ampia scelta di prodotti, diversificati tra loro nella tipologia e nel packaging. Altri invece cercano la qualità del prodotto, il vino premiato, quello che non può mancare sui loro scaffali o nelle loro tavole. Per questi clienti il valore trascende le sole caratteristiche propri del prodotto e si estende alle altre categorie di valore, i cosiddetti “valori immateriali”: brand ed esperienza di acquisto.

La seconda categoria dell’equazione del valore per il cliente è il “valore del brand”.  Qui entriamo in un mondo spesso “impalpabile”, di difficile comprensione. Si tratta della dimensione della reputazione e dell’immagine di una azienda e dei suoi prodotti. È il riflesso dei fattori cosiddetti “immateriali”. Un’azienda ha un forte brand quando è capace di proiettare un’immagine di sé (e una conseguente “promessa” di valore per il cliente) che si impone ancor prima che nasca con lui un rapporto diretto. Il mondo del vino, al pari della moda, è molto attratto da queste componenti di valore perché spesso riescono ad imprimere al prezzo una crescita in nessun altro modo raggiungibile. Il brand favorisce l’identificazione del cliente con il prodotto e in questo è il segreto del suo “ap-prezzamento”, promessa che diventa prezzo. Il paragone con la moda aiuta a definire l’enologo come un vero e proprio “stilista” capace di fare sintesi dell’identità aziendale e produrre vini ad essa congruenti: è questo il cuore del brand!

La terza categoria è la cosiddetta “esperienza di acquisto”. Lo stesso vino può essere acquistato su uno scaffale, ricercato nelle mille piattaforme e-commerce, servito ad un tavolo da un sommelier o direttamente acquistato nella cantina del produttore. Diverse esperienze di acquisto che, collegate alle precedenti categorie, possono migliorare il prodotto vino rendendolo unico e particolare o, se gestite male, ridurne il valore.

L’enologo non può estraniarsi da questi processi perché eccellere in un’esperienza di acquisto è spesso il risultato di scelte enologiche ed organizzative. Il solo fatto che alcune produzioni ricercate e molto particolari (non adatte ai grandi numeri sullo scaffale) siano invece proposte alla sola vendita in cantina genera un plus-valore che ripaga ampiamente dei maggiori costi che tali piccole produzioni hanno generato! Esperienze che valorizzano il prodotto sono anche quelle che si possono fare nei sempre più diffusi “wine club”. Conoscere in anticipo le annate in uscita, sentirsi “parte” del mondo della cantina, disporre di prodotti esclusivi preparati e presentati direttamente dall’enologo sono tutte esperienze che consolidano e sviluppano la percezione del valore di un vino.

Il “vino” nelle sue diverse dimensioni di valore è, e resta, il cuore del lavoro di un enologo ma, come abbiamo avuto modo di illustrare, è tutt’altro che un lavoro “isolato” nella penombra di una cantina. È invece un’opera continua, quotidiana, trasversale ed incidente, materialmente ed immaterialmente, in tutta l’azienda del vino.

L’enologo come stilista: la ricerca del corretto rapporto tra il mercato, l’identità dell’azienda e i suoi vini

La figura dell’enologo “stilista” merita un approfondimento.
Il vocabolario Treccani sul significato della parola stilista recita:

STILISTA:

  1. Chi crea, progetta e disegna nuovi tipi e modelli di prodotti…
  2. Chi cura in modo particolare, e talvolta eccessivo, lo stile, gli elementi e i fattori stilistici…
  3. Chi crea, progetta e spesso impone la moda e lo stile di collezioni…

Focalizziamoci sulla prima definizione in quanto la seconda ne è semplicemente una declinazione (quanto non diventa una “degenerazione” per eccesso di stilismo…) mentre la terza è una fattispecie che ritengo estranea al mondo della produzione del vino: un mondo così originale, vasto, vario e diversificato in cui nessun enologo ha davvero il potere di imporre una “moda” o uno “stile” come invece accade in altri settori di consumo come ad esempio nell’abbigliamento.

Un vino nasce in un contesto.

Un vino non è mai una pura creazione perché nasce sempre in un contesto che ne determina le caratteristiche principali, potremo dire il suo “DNA”. L’enologo “stilista” è colui che interpreta con il suo lavoro/stile il contesto in cui si trova ad operare e crea/produce un vino con una propria identità (DOC DOCG o IGT che sia).

Quali sono le caratteristiche del contesto in cui opera un enologo?

Le potremo dividere in due grandi categorie:

  1. il mercato
  2. le caratteristiche proprie dell’azienda-cantina.

IL MERCATO
Il mercato è una realtà dinamica. Il presente e il futuro convivono nel quotidiano confondendo i due piani in un’unica dimensione fatta di realtà e di visione.

L’enologo ha la responsabilità di progettare dei vini per il futuro il cui divenire è così veloce e così rapido da generare grande incertezza. Riuscire a pensare oggi dei vini che andranno sul mercato tra tre anni e non sapere esattamente come sarà il mercato tra tre anni è una grande scommessa. E quindi la classicità, il terroir e gli aspetti identitari del vino, tutti aspetti di cui l’enologo è parte importante (pur all’interno di un concetto più ampio di produzione del vino), generano su di lui una grande responsabilità: quella di riuscire ad immaginare quale scenario di mercato e quali gusti del pubblico ci saranno dopodomani a partire da tutto quello che sta accadendo oggi e considerando la velocità con cui cambiano le mode e gli aspetti del vino inteso anche come status symbol.

Il mercato del vino è poi così vario e segmentato che nessuno ha la forza e il potere di imporre in modo repentino nuove mode. Si tratta in genere di continui aggiustamenti senza soluzione di continuità che in presenza di fattori esterni eccezionali tendono ad accelerare e/o a modificare la loro direzione. In questi ultimi anni non ci siamo fatti mancare nulla: grande crescita, pandemia, ripresa, guerra, tempesta inflazionistica e, sullo sfondo in azione, il cambiamento climatico e la “guerra” all’alcool. Prevedere il mercato è stato impossibile. Solo una grande attenzione ai trend di fondo e ai particolari del quotidiano ha permesso, non tanto una capacità di previsione ma, piuttosto, una possibilità di anticipare ad oggi possibili scelte future. Non si poteva prevedere l’esplosione dell’e-commerce avvenuto a causa della pandemia, ma un’adeguata osservazione della realtà e un minimo di visione avrebbero fatto anticipare scelte di investimento in questo canale ai più avveduti. Oppure era difficile prevedere che uno stato europeo avrebbe iniziato a mettere in etichetta “il consumo dell’alcool provoca malattie…”, ma un’attenzione ad un consumo responsabile del vino avrebbe dovuto essere nei valori (e quindi nei processi di lavoro e nella comunicazione) di ogni impresa del vino che guardasse al suo futuro.

In sintesi, potremo dire che un enologo (e non solo) non può prevedere il mercato, ma può creare/produrre un vino che è in grado di anticiparne, con più o meno successo, alcuni effetti.

LE CARATTERISTICHE PROPRIE DELL’AZIENDA-CANTINA
Il fattore che forse condiziona più di tutti il lavoro dell’enologo è il contesto aziendale in cui si trova ad operare con i suoi diversi caratteri distintivi:

  1. territorio;
  2. identità della compagine sociale della cantina;
  3. scelte strategiche di fondo.
  • Territorio.

Essere una cantina in un determinato territorio introduce una serie importante di vincoli/opportunità. Le nostre analisi sui bilanci delle imprese del vino italiano individuano aree territoriali che ospitano imprese con caratteristiche tra loro assolutamente differenti. Se prendiamo in esame il solo valore dei vigneti possiamo capire dove l’intera filiera produce valore: un prezzo medio per ettaro di euro 1,25 milioni (con punte di 2M) nel territorio del barolo significa che su quella uva si sviluppa a valle una filiera di trasformazione e valorizzazione del vino di grandissimo pregio capace di alimentare non solo grandi imprese/cantina, ma anche di trasformare l’intera economia di un territorio basandola sul vino. In Italia esistono diversi territori che inevitabilmente generano un sistema di opportunità/vincoli che tracciano il perimetro in cui la creatività dell’enologo è chiamata ad esprimersi interpretando con la sua professionalità e visione il “suo” prodotto. In altre e diverse aree del belpaese con minore “vocazione storica” per la produzione di vini il compito dell’enologo “stilista” è più difficile nell’assicurare risultati, ma sicuramente più sfidante. Serve in questi casi un enologo che ami raccogliere la sfida!

  • Identità della compagine sociale della cantina.

Se lavorare tra colline della Valdobbiadene, patrimonio Unesco, offre opportunità diverse rispetto a quelle riscontrabili nella pianura padana altrettanto diversi tra loro sono i vincoli e le possibilità che nascono dai contesti propri della compagine sociale della cantina. Tra le innumerevoli tipologie di compagine sociali proprie del mondo vitivinicolo possiamo identificarne tre che hanno una particolare influenza sull’agire dell’enologo stilista.

Famiglia storica del vino
Esistono cantine che da generazioni si identificano (a sua volta caratterizzandolo) in un determinato territorio. Un legame indissolubile tra una famiglia e un vino che diventa un brand. Sono tipicamente aziende di filiera con significativa presenza diretta nei vigneti e spesso con importanti e significativi immobili di cantina oggi diventati luoghi iconici per l’enoturismo. L’enologo che entrasse in un contesto come questo si troverebbe la strada spianata per la presenza di un brand in grado di valorizzare anche nuovi prodotti, ma dovrà faticare per trovare spazio di azione in quanto non sempre l’impresa/famiglia è aperta a contributi esterni.

Cantina cooperativa
Le cantine cooperative sono realtà in cui si sviluppano due “anime” che spesso non trovano una sintesi adeguata: per i conferitori agricoli il modello è virtuoso perché valorizza la loro uva facendoli compartecipi del maggior valore sviluppato a valle con la trasformazione in vino e successiva commercializzazione; per la cantina sociale intesa come soggetto economico autonomo il modello cooperativo espone l’azienda ai rischi derivanti da visioni di breve periodo (pagare bene l’uva) e da una conseguente scarsa capitalizzazione che provoca un pesante indebitamento e una minore capacità di investimento. L’enologo deve interpretare il contesto specifico in cui opera e di conseguenza creare prodotti in grado di meglio interpretare questo “dilemma”.

Cantina all’interno di un grande gruppo industriale-finanziario
Sono sempre più frequenti le operazioni di acquisizione di cantine da parte di nuove e vecchie realtà industriali e/o finanziarie. La loro influenza sull’organizzazione di cantina è inevitabile anche se le più avvedute cercano di mantenere intatte le caratteristiche originali della cantina acquistata il cui valore è spesso unicamente il brand e la presenza sul mercato. Un enologo che si trovasse ad operare in questi contesti agisce in un perimetro spesso ristretto: un’identità preesistente da conservare innovandola e una proprietà che capisce più di numeri che di tannini (cosa che spesso garantisce maggiore libertà stilistica!).

  • Scelte strategiche di fondo

Ogni realtà di cantina deve fare delle scelte strategiche di fondo che la portano ad eccellere per produttività ed efficienza:

  • dimensionare impianti produttivi per ottenere economie di scala
  • creare una logistica efficiente sia sui mercati nazionali che internazionali
  • scegliere prodotti a veloce rotazione che migliorino il capitale circolante
  • digitalizzare i processi aziendali per ridurre la struttura dei costi
  • diventare una “cantina 4.0” esasperando l’automazione.

Oppure deve fare altre scelte che la spingono allo sviluppo del valore:

  • ricercare prodotti enologici importanti nel segmento premium
  • frequentare il mondo dei concorsi per posizionare i prodotti
  • creare strutture di accoglienza nella cantina per far vivere ai clienti l’esperienza del prodotto a 360 gradi
  • ricercare e sostenere la sostenibilità dei prodotti e la valorizzazione del territorio
  • creare progetti con clienti e importatori
  • investire sul brand.

Sono strade diverse che partono da sistemi di opportunità/desideri diversi. L’importante è scegliere quella che meglio li rispecchia e tracciare un campo di lavoro per l’enologo stilista che dovrà farle proprie e creare/produrre dei vini che ne siano la perfetta espressione.

Le capacità proprie dell’enologo nella sua veste di “stilista” si sviluppano quindi da un punto di partenza preciso e determinante: il contesto specifico della cantina in cui si trova ad operare.

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