L’enologo di domani: stilista e manager
Poche figure rivestono un ruolo decisivo all’interno di un’azienda come invece l’enologo ha dimostrato di saper fare in questi anni. Anni di grandi cambiamenti che vedono modificarsi il mercato, il consumatore, ma anche l’organizzazione delle aziende: cresce infatti la disponibilità di tecnologie per la gestione della cantina, del vigneto, dei prodotti e dei dati aziendali, ma anche la sensibilità verso le espressioni del territorio e la sostenibilità delle aziende. In questo panorama stimolante e poliedrico è lecito chiedersi quale sia e quale sarà il ruolo dell’enologo di domani. Sicuramente un ottimo produttore di vini vocati all’eccellenza e anche un manager capace di coniugare la propria attività in un circuito virtuoso di processi produttivi e distributivi aziendali. È opportuno raggiungere il giusto equilibrio per fare al meglio entrambi i mestieri, per un enologo sempre più “trasversale” nei processi e nella vita dell’azienda vitivinicola. Ne parliamo in questo articolo.
- Introduzione
- Il cuore del lavoro dell’enologo: il vino e la sua proposta di valore, materiale e immateriale
- L’enologo come stilista: la ricerca del corretto rapporto tra il mercato, l’identità dell’azienda e i suoi vini
- L’area del manager: la figura dell’enologo nei diversi processi aziendali
- Gli “strumenti” e gli ambiti organizzativi a disposizione dell’enologo “stilista” e “manager”
Introduzione
Il presidente nazionale di Assoenologi, Riccardo Cotarella, alla domanda su come sarebbe evoluta la loro figura ebbe a dire: “Noi, come spesso ci definiamo, siamo operatori in trincea spinti da una passione smisurata verso il nostro mondo. Non ce ne voglia qualcuno, ma siamo convinti che il rinascimento qualitativo del vino italiano sia da accreditare ai produttori e a noi enologi. Siamo altrettanto convinti che la ricerca del meglio, che mai ci abbandona, sarà il tramite per dare al vino italiano ancora più valore materiale ed immateriale.” In un’altra occasione disse: “Senza il sapere e la scienza applicata che nessuno al pari degli enologi può vantare, il vino italiano non avrebbe raggiunto i livelli qualitativi che oggi è in grado di esprimere, facendosi portabandiera di un intero Paese.” E ancora: “Adesso l’enologo è anche comunicazione, saper intervenire in campagna, avere una visione del mercato e saper dare delle indicazioni anche in questa direzione. La visione dell’enologo che corregge le uve tra botti e vasche ormai è una figura oleografica del passato. Il nostro lavoro nel mondo globale viaggia a 360 gradi e chi non si è adeguato resta tagliato fuori. Oggi siamo manager comunicatori, una figura centrale in una azienda. Ci siamo dovuti reinventare”.
Quanti enologi italiani sono consapevoli di quanto il loro Presidente ha in più occasioni dichiarato? Quanti imprenditori del vino hanno la capacità e lungimiranza di lasciare ai loro enologi uno spazio adeguato di azione all’interno del sistema impresa-cantina?
L’importanza di questi due interrogativi suggerisce di affrontare il tema in modo ampio e sistematico così da offrire a tutti, enologi e produttori, uno strumento di riflessione e di lavoro per meglio orientare il lavoro di ciascuno in un mondo che cambia molto velocemente.
Per il nostro percorso all’interno della professione dell’enologo partirei commentando il titolo del nostro lavoro: “L’enologo di domani: stilista e manager”. Parlando di “domani” non significa che l’oggi è prematuro o estraneo a quanto in oggetto, ma che siamo in un “già e non ancora”: la realtà già ci mostra degli esempi virtuosi, ma non ancora tutti ne sono consapevoli e/o attratti.
Interessante è quanto può evocare la parola “stilista”. Nei dialoghi con gli enologi mi trovo spesso a chiedere cosa accomuna e cosa differenzia la figura dell’artista rispetto alla figura dello stilista. Cosa li accomuna? Creatività, passione, ricerca e continui tentativi, desiderio di presentare il loro lavoro agli altri… Cosa li differenzia? Il contesto: lo stilista opera in un contesto aziendale. L’artista no. L’artista risponde a sé stesso, al proprio mondo interiore o a un committente mecenate. Lo stilista risponde all’azienda e quindi al cliente e deve fare sintesi tra:
- competenze scientifiche
- nuove tecnologie
- creatività
- moda
- mercato
- ricerca
- comunicazione.
Insegno Economia dell’impresa vitivinicola al 2° anno di Enologia presso l’Università degli studi di Verona. Ai ragazzi dico che saranno giudicati dal risultato che sapranno ottenere come artefici di un vino, ma saranno valorizzati, la loro carriera sarà favorita, i loro progetti potranno essere ascoltati, le loro visioni diventeranno realtà solo quando il loro vino si trasformerà in un valore per l’azienda. Sarà l’impatto del loro vino sull’azienda-cantina a generare e giustificare il loro successo. Solo un artista fa un’opera d’arte che si giustifica in sé! Quella dello stilista è invece un’”arte applicata”. Questa applicazione al contesto aziendale la trasforma e le dà un’identità autonoma.
Non conosco bravi stilisti morti in misera, ma per molti artisti il successo, se mai è arrivato, è arrivato postumo! Vorrei quindi dare un contributo per farlo arrivare almeno un po’ prima!
Il cuore del lavoro dell’enologo: il vino e la sua proposta di valore, materiale e immateriale
L’enologo è responsabile del prodotto vino. Ma come si coniuga questa responsabilità con il “valore” che i clienti assegnano al suo prodotto?
Al termine di un incontro con una delegazione di enologi mentre discutevamo delle loro responsabilità manageriali uno di loro se ne uscì con un’esclamazione un po’ piccata: “Ma il nostro compito è fare il vino!” Nessuno lo stava mettendo in dubbio e si stava solo cercando di ampliare l’orizzonte all’interno del quale questo “fare il vino” doveva diventare un’attività che creava valore per la cantina, intesa non solo come luogo in cui si produce il vino, ma piuttosto come “impresa”. Questa obiezione è stata molto preziosa perché ha come “aperto una finestra” su aspetti che generalmente restano impliciti e/o sconosciuti e che raramente vengono messi a tema e che potremmo scoprire rispondendo alla domanda: “In cosa consiste il VALORE del vino che si produce in cantina?” o, meglio: “Questo prodotto frutto di lavoro, tecnica, dedizione e passione come viene valorizzato e “ap-prezzato” (cioè riconosciuto con un prezzo pagato) dai clienti?
Il percorso “ap-prezzamento” del cliente può essere variegato e svilupparsi su “valori” che tra loro si assommano in modo diversificato a seconda del cliente target della cantina:
La prima categoria di valori racchiude le componenti che fanno riferimento al prodotto in quanto tale e sono quelle che maggiormente dipendono dal lavoro quotidiano dell’enologo:
- Qualità: il principale elemento valutativo dell’enologo e del suo lavoro. La qualità si può definire valutando diversi aspetti del prodotto (sostanza, intensità dell’aroma, complessità, equilibrio, longevità, densità…) tipici delle scienze enologiche che in questa sede non approfondisco non essendo un enologo e rivolgendomi in questo articolo a degli enologi!
- Prezzo: è la grandezza che rende congruente la qualità del prodotto in relazione al suo posizionamento. La qualità di un prodotto in fascia premium è diversa dalla qualità di un prodotto base e il prezzo è la grandezza che sostanzia questa diversità agendo spesso come fattore migliorativo o peggiorativo. Ad esempio, un vino con buone caratteristiche qualitative che avesse un prezzo basso essendo stato costruito come prodotto entry nel canale GDO avrebbe un ottimo rapporto qualità/prezzo contribuendo a migliorare ulteriormente la sua percezione qualitativa. Di contro un vino costoso di fascia premium che non mantenesse le sue “promesse” qualitative vedrebbe ulteriormente peggiorare la percezione della sua qualità.
- Tempo/disponibilità: un attributo non del prodotto, ma del processo aziendale e frutto delle risorse e scelte dell’azienda e della sua organizzazione. Se le risorse aziendali (quantità e qualità dei vigneti, dotazioni di cantina, capacità finanziaria…) sono spesso dei dati che dipendono dalla proprietà aziendale indipendenti dall’enologo non altrettanto si può dire per le scelte e l’organizzazione della cantina. È l’enologo che pianifica le attività di produzione, gestisce gli acquisti e tiene sotto controllo le scorte interfacciandosi con il settore commerciale. Spesso anche i magazzini e la logistica di spedizione sono settori alle sue dipendenze. Decidere ad esempio se e quando acquistare del vino sfuso da imbottigliare per alimentare in modo ordinato e senza rotture di stock il flusso delle vendite è compito dell’enologo, così come valutare la prossima vendemmia e i necessari acquisti integrativi di uva rispetto alle necessità aziendali. Queste scelte si trasformano in processi che possono migliorare la disponibilità e i tempi di consegna dei prodotti influenzando positivamente o negativamente la percezione del “valore” del prodotto vino.
- Assortimento: il processo di ricerca, selezione e acquisto di un vino ha dei costi per il cliente che vanno ad aggiungersi al prezzo del vino acquistato. In un’ottica di “costo di acquisto” e non solo di “prezzo di vendita” la disponibilità di un vasto assortimento di prodotti genera “valore” per il cliente modificando in più o in meno il peso degli altri fattori (prezzo, qualità, disponibilità)
Questa prima categoria di valori segmenta da subito la clientela. Possiamo trovare clienti che cercano il miglior prezzo, che si accontentano di un prodotto di qualità standard, ma che sono attenti alla disponibilità, ai tempi di consegna e a tutto ciò che rende l’acquisto funzionale ed efficiente. Il binomio prezzo-logistica diventa per questi clienti il vero valore. Altri possono invece non essere così attenti al prezzo e sono disposti a pagare qualcosa in più, ma vogliono avere ampia scelta di prodotti, diversificati tra loro nella tipologia e nel packaging. Altri invece cercano la qualità del prodotto, il vino premiato, quello che non può mancare sui loro scaffali o nelle loro tavole. Per questi clienti il valore trascende le sole caratteristiche propri del prodotto e si estende alle altre categorie di valore, i cosiddetti “valori immateriali”: brand ed esperienza di acquisto.
La seconda categoria dell’equazione del valore per il cliente è il “valore del brand”. Qui entriamo in un mondo spesso “impalpabile”, di difficile comprensione. Si tratta della dimensione della reputazione e dell’immagine di una azienda e dei suoi prodotti. È il riflesso dei fattori cosiddetti “immateriali”. Un’azienda ha un forte brand quando è capace di proiettare un’immagine di sé (e una conseguente “promessa” di valore per il cliente) che si impone ancor prima che nasca con lui un rapporto diretto. Il mondo del vino, al pari della moda, è molto attratto da queste componenti di valore perché spesso riescono ad imprimere al prezzo una crescita in nessun altro modo raggiungibile. Il brand favorisce l’identificazione del cliente con il prodotto e in questo è il segreto del suo “ap-prezzamento”, promessa che diventa prezzo. Il paragone con la moda aiuta a definire l’enologo come un vero e proprio “stilista” capace di fare sintesi dell’identità aziendale e produrre vini ad essa congruenti: è questo il cuore del brand!
La terza categoria è la cosiddetta “esperienza di acquisto”. Lo stesso vino può essere acquistato su uno scaffale, ricercato nelle mille piattaforme e-commerce, servito ad un tavolo da un sommelier o direttamente acquistato nella cantina del produttore. Diverse esperienze di acquisto che, collegate alle precedenti categorie, possono migliorare il prodotto vino rendendolo unico e particolare o, se gestite male, ridurne il valore.
L’enologo non può estraniarsi da questi processi perché eccellere in un’esperienza di acquisto è spesso il risultato di scelte enologiche ed organizzative. Il solo fatto che alcune produzioni ricercate e molto particolari (non adatte ai grandi numeri sullo scaffale) siano invece proposte alla sola vendita in cantina genera un plus-valore che ripaga ampiamente dei maggiori costi che tali piccole produzioni hanno generato! Esperienze che valorizzano il prodotto sono anche quelle che si possono fare nei sempre più diffusi “wine club”. Conoscere in anticipo le annate in uscita, sentirsi “parte” del mondo della cantina, disporre di prodotti esclusivi preparati e presentati direttamente dall’enologo sono tutte esperienze che consolidano e sviluppano la percezione del valore di un vino.
Il “vino” nelle sue diverse dimensioni di valore è, e resta, il cuore del lavoro di un enologo ma, come abbiamo avuto modo di illustrare, è tutt’altro che un lavoro “isolato” nella penombra di una cantina. È invece un’opera continua, quotidiana, trasversale ed incidente, materialmente ed immaterialmente, in tutta l’azienda del vino.
L’enologo come stilista: la ricerca del corretto rapporto tra il mercato, l’identità dell’azienda e i suoi vini
La figura dell’enologo “stilista” merita un approfondimento.
Il vocabolario Treccani sul significato della parola stilista recita:
STILISTA:
- Chi crea, progetta e disegna nuovi tipi e modelli di prodotti…
- Chi cura in modo particolare, e
talvolta eccessivo, lo stile, gli elementi e i fattori stilistici… - Chi crea, progetta e spesso impone la moda e lo stile di collezioni…
Focalizziamoci sulla prima definizione in quanto la seconda ne è semplicemente una declinazione (quanto non diventa una “degenerazione” per eccesso di stilismo…) mentre la terza è una fattispecie che ritengo estranea al mondo della produzione del vino: un mondo così originale, vasto, vario e diversificato in cui nessun enologo ha davvero il potere di imporre una “moda” o uno “stile” come invece accade in altri settori di consumo come ad esempio nell’abbigliamento.
Un vino nasce in un contesto.
Un vino non è mai una pura creazione perché nasce sempre in un contesto che ne determina le caratteristiche principali, potremo dire il suo “DNA”. L’enologo “stilista” è colui che interpreta con il suo lavoro/stile il contesto in cui si trova ad operare e crea/produce un vino con una propria identità (DOC DOCG o IGT che sia).
Quali sono le caratteristiche del contesto in cui opera un enologo?
Le potremo dividere in due grandi categorie:
- il mercato
- le caratteristiche proprie dell’azienda-cantina.
IL MERCATO
Il mercato è una realtà dinamica. Il presente e il futuro convivono nel quotidiano confondendo i due piani in un’unica dimensione fatta di realtà e di visione.
L’enologo ha la responsabilità di progettare dei vini per il futuro il cui divenire è così veloce e così rapido da generare grande incertezza. Riuscire a pensare oggi dei vini che andranno sul mercato tra tre anni e non sapere esattamente come sarà il mercato tra tre anni è una grande scommessa. E quindi la classicità, il terroir e gli aspetti identitari del vino, tutti aspetti di cui l’enologo è parte importante (pur all’interno di un concetto più ampio di produzione del vino), generano su di lui una grande responsabilità: quella di riuscire ad immaginare quale scenario di mercato e quali gusti del pubblico ci saranno dopodomani a partire da tutto quello che sta accadendo oggi e considerando la velocità con cui cambiano le mode e gli aspetti del vino inteso anche come status symbol.
Il mercato del vino è poi così vario e segmentato che nessuno ha la forza e il potere di imporre in modo repentino nuove mode. Si tratta in genere di continui aggiustamenti senza soluzione di continuità che in presenza di fattori esterni eccezionali tendono ad accelerare e/o a modificare la loro direzione. In questi ultimi anni non ci siamo fatti mancare nulla: grande crescita, pandemia, ripresa, guerra, tempesta inflazionistica e, sullo sfondo in azione, il cambiamento climatico e la “guerra” all’alcool. Prevedere il mercato è stato impossibile. Solo una grande attenzione ai trend di fondo e ai particolari del quotidiano ha permesso, non tanto una capacità di previsione ma, piuttosto, una possibilità di anticipare ad oggi possibili scelte future. Non si poteva prevedere l’esplosione dell’e-commerce avvenuto a causa della pandemia, ma un’adeguata osservazione della realtà e un minimo di visione avrebbero fatto anticipare scelte di investimento in questo canale ai più avveduti. Oppure era difficile prevedere che uno stato europeo avrebbe iniziato a mettere in etichetta “il consumo dell’alcool provoca malattie…”, ma un’attenzione ad un consumo responsabile del vino avrebbe dovuto essere nei valori (e quindi nei processi di lavoro e nella comunicazione) di ogni impresa del vino che guardasse al suo futuro.
In sintesi, potremo dire che un enologo (e non solo) non può prevedere il mercato, ma può creare/produrre un vino che è in grado di anticiparne, con più o meno successo, alcuni effetti.
LE CARATTERISTICHE PROPRIE DELL’AZIENDA-CANTINA
Il fattore che forse condiziona più di tutti il lavoro dell’enologo è il contesto aziendale in cui si trova ad operare con i suoi diversi caratteri distintivi:
- territorio;
- identità della compagine sociale
della cantina; - scelte strategiche di fondo.
- Territorio
Essere una cantina in un determinato territorio introduce una serie importante di vincoli/opportunità. Le nostre analisi sui bilanci delle imprese del vino italiano individuano aree territoriali che ospitano imprese con caratteristiche tra loro assolutamente differenti. Se prendiamo in esame il solo valore dei vigneti possiamo capire dove l’intera filiera produce valore: un prezzo medio per ettaro di euro 1,25 milioni (con punte di 2M) nel territorio del barolo significa che su quella uva si sviluppa a valle una filiera di trasformazione e valorizzazione del vino di grandissimo pregio capace di alimentare non solo grandi imprese/cantina, ma anche di trasformare l’intera economia di un territorio basandola sul vino. In Italia esistono diversi territori che inevitabilmente generano un sistema di opportunità/vincoli che tracciano il perimetro in cui la creatività dell’enologo è chiamata ad esprimersi interpretando con la sua professionalità e visione il “suo” prodotto. In altre e diverse aree del belpaese con minore “vocazione storica” per la produzione di vini il compito dell’enologo “stilista” è più difficile nell’assicurare risultati, ma sicuramente più sfidante. Serve in questi casi un enologo che ami raccogliere la sfida!
- Identità della compagine sociale della cantina
Se lavorare tra colline della Valdobbiadene, patrimonio Unesco, offre opportunità diverse rispetto a quelle riscontrabili nella pianura padana altrettanto diversi tra loro sono i vincoli e le possibilità che nascono dai contesti propri della compagine sociale della cantina. Tra le innumerevoli tipologie di compagine sociali proprie del mondo vitivinicolo possiamo identificarne tre che hanno una particolare influenza sull’agire dell’enologo stilista.
Famiglia storica del vino
Esistono cantine che da generazioni si identificano (a sua volta caratterizzandolo) in un determinato territorio. Un legame indissolubile tra una famiglia e un vino che diventa un brand. Sono tipicamente aziende di filiera con significativa presenza diretta nei vigneti e spesso con importanti e significativi immobili di cantina oggi diventati luoghi iconici per l’enoturismo. L’enologo che entrasse in un contesto come questo si troverebbe la strada spianata per la presenza di un brand in grado di valorizzare anche nuovi prodotti, ma dovrà faticare per trovare spazio di azione in quanto non sempre l’impresa/famiglia è aperta a contributi esterni.
Cantina cooperativa
Le cantine cooperative sono realtà in cui si sviluppano due “anime” che spesso non trovano una sintesi adeguata: per i conferitori agricoli il modello è virtuoso perché valorizza la loro uva facendoli compartecipi del maggior valore sviluppato a valle con la trasformazione in vino e successiva commercializzazione; per la cantina sociale intesa come soggetto economico autonomo il modello cooperativo espone l’azienda ai rischi derivanti da visioni di breve periodo (pagare bene l’uva) e da una conseguente scarsa capitalizzazione che provoca un pesante indebitamento e una minore capacità di investimento. L’enologo deve interpretare il contesto specifico in cui opera e di conseguenza creare prodotti in grado di meglio interpretare questo “dilemma”.
Cantina all’interno di un grande gruppo industriale-finanziario
Sono sempre più frequenti le operazioni di acquisizione di cantine da parte di nuove e vecchie realtà industriali e/o finanziarie. La loro influenza sull’organizzazione di cantina è inevitabile anche se le più avvedute cercano di mantenere intatte le caratteristiche originali della cantina acquistata il cui valore è spesso unicamente il brand e la presenza sul mercato. Un enologo che si trovasse ad operare in questi contesti agisce in un perimetro spesso ristretto: un’identità preesistente da conservare innovandola e una proprietà che capisce più di numeri che di tannini (cosa che spesso garantisce maggiore libertà stilistica!).
- Scelte strategiche di fondo
Ogni realtà di cantina deve fare delle scelte strategiche di fondo che la portano ad eccellere per produttività ed efficienza:
- dimensionare impianti produttivi per ottenere economie di scala
- creare una logistica efficiente sia sui mercati nazionali che internazionali
- scegliere prodotti a veloce rotazione che migliorino il capitale circolante
- digitalizzare i processi aziendali per ridurre la struttura dei costi
- diventare una “cantina 4.0” esasperando l’automazione.
Oppure deve fare altre scelte che la spingono allo sviluppo del valore:
- ricercare prodotti enologici importanti nel segmento premium
- frequentare il mondo dei concorsi per posizionare i prodotti
- creare strutture di accoglienza nella cantina per far vivere ai clienti l’esperienza del prodotto a 360 gradi
- ricercare e sostenere la sostenibilità dei prodotti e la valorizzazione del territorio
- creare progetti con clienti e importatori
- investire sul brand.
Sono strade diverse che partono da sistemi di opportunità/desideri diversi. L’importante è scegliere quella che meglio li rispecchia e tracciare un campo di lavoro per l’enologo stilista che dovrà farle proprie e creare/produrre dei vini che ne siano la perfetta espressione.
Le capacità proprie dell’enologo nella sua veste di “stilista” si sviluppano quindi da un punto di partenza preciso e determinante: il contesto specifico della cantina in cui si trova ad operare.
L’area del manager: la figura dell’enologo nei diversi processi aziendali
Lo stilista definisce la forma, identità e caratteristiche del prodotto. In molti settori finisce qui il suo compito. Non nel mondo del vino dove l’enologo si trova a poter gestire in modo diretto o indiretto molti processi aziendali in modo particolare nelle PMI. L’azienda vitivinicola ha la peculiarità di sviluppare complessità anche nelle realtà più piccole, infatti:
- non basta coltivare i vigneti: lo si deve fare riducendo al minimo l’utilizzo dei trattamenti e in condizioni climatiche spesso oggi avverse più che in passato;
- non basta fare un buon vino: la qualità media del prodotto è superiore a quella riscontrabile qualche anno fa e i servizi logistici devono essere in grado di servire il cliente, con efficienza e tempestività, ovunque;
- non basta vendere: bisogna farlo ovunque nel mondo e su più canali (GDO, HORECA, diretta, web, piattaforme, rivenditori, importatori, etc);
- non basta remunerare il giusto: è necessario portare valore sul territorio e nella propria comunità di appartenenza.
Si comprende quindi come sia riduttivo confinare il lavoro dell’enologo nei laboratori e nelle cantine, ma sia invece molto interessante stimolarne l’attività in molti processi trasversali di tutta l’azienda-cantina.
Esistono diverse tipologie di processi e per ciascuna di esse diversi sono i coinvolgimenti degli enologi.
I processi gestionali e operativi
In una cantina i processi gestionali e operativi tipici sono principalmente la gestione dei vigneti, il conferimento delle uve, la vinificazione e l’imbottigliamento, la logistica e la distribuzione. Molto spesso troviamo un enologo a sovrintendere questa intera categoria di processi tra loro fortemente integrati. Una azienda di successo sa mettere in diretto rapporto la propria “proposta di valore per il cliente” con una ricerca di eccellenza in alcuni processi. Facciamo due esempi.
La cantina si propone sul mercato esaltando il proprio assortimento di vini? L’enologo non finirà il suo lavoro con l’imbottigliamento ma dovrà garantire l’eccellenza nei processi di “raccolta dell’ordine” che dovranno essere immediati e facili, una logistica veloce che segnali eventuali rotture di stock così da mettere subito in produzione i prodotti mancanti oppure offrire valide alternative. Allo stesso modo una proposta di valore al cliente che miri a offrire un “prodotto unico”, fortemente caratterizzato per il suo terroir, dovrà avere straordinari processi di gestione del vigneto e di selezione delle uve e, in cantina, particolari attenzioni nelle fasi di vinificazione e affinamento. Tutto questo potrebbe non bastare se non fosse accompagnato da una tracciabilità infallibile che possa raccontargli del luogo esatto da cui una straordinaria uva, diventata vino, è arrivata fino a lui! In questo caso il cliente potrebbe accettare anche il disagio di aspettare più a lungo l’arrivo del suo ordine a causa di una logistica non al top, ma non sarebbe disposto a pagare un extra costo senza la possibilità di immedesimarsi, di “vivere” il luogo da cui il vino che ha acquistato proviene.
I processi di gestione dei clienti
Oggi l’enologo deve essere un comunicatore del suo prodotto in quanto deve trasformare in valore tutto quel sistema di opportunità/vincoli dati dal territorio, dai disciplinari, dal patrimonio viticolo dell’azienda, dalla tradizione produttiva che è arrivata fino a lui. Allo stesso modo deve immaginare e creare i vini che i consumatori apprezzeranno tra 3-5 anni. Un lavoro molto difficile che solo un enologo con il cuore in cantina e gli occhi alle tavole dei ristoranti, bar e case dei clienti può pensare di riuscire a fare. E una volta fatto, raccontare.
Il cliente non compra il solo prodotto. Tutta l’offerta nella sua complessità è determinante per la sua scelta di acquisto. Quindi se un territorio tradizionalmente esprime un vino rosso all’interno di una DOCG con importanti terroir e tipicità, non vuol dire che laddove il mercato evolva si debba necessariamente snaturare il prodotto o innovare con vitigni alloctoni (cosa, peraltro da non demonizzare). Sarebbe opportuno lavorare sulle componenti di valore complessive e quindi, a livello di prodotto, sulla disponibilità e facilità di accesso, ma anche e soprattutto facendo leva sulle strategie di branding e sull’esperienza di acquisto che sono oggi “bisogni” emergenti nei consumatori wine-lovers.
L’enologo è quindi dentro il processo di gestione del cliente in tutte le su fasi:
- selezione
- acquisizione
- fidelizzazione
- crescita.
Questa evidenza suggerisce una forte collaborazione tra il settore enologico e il settore commerciale di tutte le cantine: dalle più piccole dove le due anime sono più coincidenti nell’organizzazione e nelle persone alle più grandi dove spesso i due mondi viaggiano non tanto distinti ma forse distanti.
I processi di innovazione
Il vino, più di altri prodotti, è “tradizione”: è stato scelto duemila anni fa da Gesù Cristo, assieme al pane, come modalità di rendersi presente nella storia degli uomini dopo la sua ascensione; è presente nei momenti importanti di una famiglia o di un gruppo di persone o di una comunità che brinda in onore o in memoria di qualcuno o qualcosa.
Il vino è vera tradizione per la passione che anima chi lo fa, per il legame indissolubile con un territorio e la sua gente e per la capacità che ha di rappresentarla. L’azione dell’uomo con la coltivazione è in grado di modificare il paesaggio creando qualcosa di nuovo che prima non c’era. Come è accaduto con le colline del Valdobbiadene diventate patrimonio Unesco. Un territorio che, grazie a una tradizione antica legata alla coltivazione dell’uva, ha preso una forma che ora viene protetta e tutelata per durare, per diventare ancora più “tradizione”. È “tradizione” anche la continua e interessante ricerca e valorizzazione di vitigni autoctoni antichi che vengono riproposti come reperti di un passato che si riaffaccia al presente in un mercato assetato di novità.
Se però dal prodotto vino si passa all’azienda del vino la parola “tradizione” evoca valori meno stimolanti del tipo “si è sempre fatto così!”. Oggi le imprese sono oggetto di continui e intensi processi di innovazione che ne modificano il contesto competitivo e chi non si adegua mette a rischio il futuro dell’azienda. Accade nei vigneti con l’agricoltura di precisione e con le varietà resistenti destinate a modificare in modo importante i nostri vigneti. Chi non si impegna seriamente in queste innovazioni potrebbe perdere a breve competitività. Accade nelle cantine con l’automazione dei processi, con l’industria 4.0, con tecniche enologiche innovative che mirano a creare prodotti sempre più salubri riducendo o modificando i prodotti enologici. Per non parlare della costruzione di nuove cantine dove la chiave del successo è la capacità di coniugare processi di produzione innovativi, confort per chi ci lavora e design.
Piuttosto di subire o rincorrere l’innovazione all’enologo conviene esserne il protagonista sconfiggendo il “si è sempre fatto così!” e aprendo le cantine non solo alle innovazioni, ma anche alle nuove generazioni!
I processi sociali
Per un enologo i “processi socialmente sensibili” sono un fattore di sviluppo e un’opportunità mentre possono essere un limite insuperabile se non adeguatamente considerati. Sostenibilità, riduzione dei trattamenti, salubrità… sono oggi valori che possono cambiare in meglio la proposta di valore fatta al cliente della Cantina. In particolare, la parola “sostenibilità” rende il tema molto chiaro. Le tre dimensioni della sostenibilità: economica-ambientale e sociale sono i tre ambiti dove trovare un terreno comune di lavoro tra gli operatori economici, gli enti locali e la popolazione.
Ogni posizione che non tenesse conto di tutte le tre dimensioni sarebbe irrealistica e pertanto frutto di una posizione ideologica destinata ad alimentare scontro sociale e declino economico. Il tema della sostenibilità impone un metodo di lavoro in cui l’unità di misura non è più il solo interesse di parte, qualsiasi esso sia, ma l’idea che abbiamo un patrimonio che ci è stato donato e tramandato e che dobbiamo valorizzare e tramandare. Tutto questo genera valore.
Non ascoltiamo quindi coloro che pensando di essere più “informati” degli altri considerano la sostenibilità solo come una moda del momento. È invece un processo di lavoro parte integrante di ogni strategia di sviluppo. Tanto più nel vino!
Gli “strumenti” e gli ambiti organizzativi a disposizione dell’enologo “stilista” e “manager”
Le 4 tipologie di processi incidono in modo diversificato sulla generazione del Valore del prodotto Vino. Ci sono processi nei quali è richiesta una performance ordinaria e altri in cui si deve raggiungere l’eccellenza. Evidentemente sono questi ultimi i processi su cui focalizzare al massimo le risorse disponibili e sono questi i processi che possono fare la differenza su un mercato oggi sempre più difficile e competitivo.
Viene spontanea una domanda: da cosa dipende una buona performance in un processo di lavoro?
La quotidianità di un enologo stilista-manager è fatta di azioni e di visioni che si integrano nelle attività aziendali anche mediante strumenti e attraverso il lavoro delle persone.
Potremo suddividere questi importanti aspetti in tre aree di lavoro:
- le persone
- le infrastrutture digitali
- il management e l’organizzazione
Preferiamo utilizzare il sostantivo “Persone” piuttosto che il più comune “Capitale umano” per identificare le competenze specifiche agronomiche, enologiche e quelle aziendali presenti in azienda, i talenti e in generale la conoscenza e il saper fare tipico di ogni organizzazione. Oggi questo aspetto è particolarmente critico perché non esiste impresa che non lamenti la difficoltà nel reperire collaboratori all’altezza dei compiti affidati. Il fenomeno della denatalità sta aggravando ulteriormente la situazione provocando una progressiva riduzione delle persone disponibili che si avviano al lavoro. Siamo all’inizio di un problema che potrà solo peggiorare nei prossimi anni coinvolgendo tutte le figure professionali: dai tecnici ai commerciali, dagli operai agli amministrativi. Diventa pertanto strategico aver cura delle persone e rendere attrattiva la cantina nei confronti di tutti coloro che si vogliono coinvolgere in azienda. Come fare?
La strategia migliore inizia già dai primi contatti con un candidato. È necessario comunicare con chiarezza il profilo ricercato e il possibile successivo percorso di carriera perché il principale problema per il settore è la confusione tra la figura del cantiniere e la figura dell’enologo. Spesso di assume un ragazzo enologo laureato e con master a seguito come cantiniere. Solo successivamente si possono prospettare per lui percorsi di crescita. Questa strategia ha l’indubbio vantaggio di offrire elasticità nella gestione del personale nelle fasi più impegnative in cantina (tipicamente nel periodo della vendemmia) e di poter verificare “on the job” le caratteristiche del candidato. Non possiamo però affermare che sia la strada per intercettare i migliori “talenti” disponibili nel mercato del lavoro e neppure che sia il modo più idoneo per intraprendere una carriera di enologo in una cantina. La cura delle persone e il coltivare i talenti presenti in cantina è un “habitus”, non una azione da programmare, saltuariamente o sistematicamente che sia. È una componente “culturale” più che una disciplina manageriale e pertanto si migliora solo giudicando l’esperienza che quotidianamente facciamo con le persone al lavoro in relazione allo scopo che vogliamo insieme contribuire a raggiungere e come cantina.
Le infrastrutture digitali rappresentano l’ambiente di lavoro per eccellenza: sono strumento che aziona un processo, che lo monitorizza e controlla e che lo rendiconta in un report per essere analizzato e quindi migliorato. Solo alcune attività tipicamente artigianali sfuggono a questo paradigma. La cantina è quindi sempre più “smart”. Difficile tradurre in italiano la parola “smart” che letteralmente significa “intelligente” perché da sola non rende la complessità di significato che invece è insito ad esempio nel dire “devi essere più smart!” Si capisce che essere smart significa applicare intelligenza, velocità, innovazione, sorpresa, stupore, … potremo continuare. Se ci troviamo a guidare una cantina significa sapersi destreggiare nella complessità delle situazioni che la strategia aziendale ci fa incontrare in ogni momento. Una delle situazioni più ricorrenti è la quantità di informazioni e numeri che dovremmo essere in grado di leggere, elaborare e comprendere. Si tratta di informazioni sia interne che esterne alla nostra azienda che non possiamo non conoscere e gestire. Potremmo dire che l’impresa deve essere data-driven.
Di cosa abbiamo bisogno per fare della cantina una cantina data-driven?
- di macchinari e impianti dotati di tecnologie 4.0;
- di un software gestionale in grado di rispondere alle più diverse esigenze, capace di registrare le informazioni aziendali cruciali (i processi di cantina, i costi di produzione, gli acquisti, le vendite, i flussi di cassa …);
- di sistemi di collegamento alla rete veloci e potenti;
- di sistemi di archiviazione dati (sempre più in cloud per godere di servizi efficienti e sempre più performanti);
- di software di business intelligence per estrarre e rielaborare le informazioni necessarie a compiere scelte gestionali importanti.
Non sono argomenti “facili” nel mondo vitivinicolo che, a fatica, negli anni scorsi ha “digerito” la dematerializzazione dei registri di cantina, ma sono argomenti che non possiamo lasciare nello scatolone delle cose inutili fatte solo per “gli adempimenti” della burocrazia. Digitalizzare un processo significa conoscere all’istante cosa accade in azienda. Questa conoscenza è tutt’altro che scontata. Molti imprenditori pensano di conoscere le loro aziende come le loro tasche. Spesso è così. Però sempre più frequentemente le cose stanno diversamente e, in un mercato disperatamente sempre più competitivo, il successo parte dai dettagli!
I problemi legati alle infrastrutture digitali possono essere superati solo all’interno di una struttura organizzativa di qualità. Il Management e l’Organizzazione all’interno di una cantina rappresentano il punto nevralgico per garantire che la visione strategica si traduca in azioni concrete ed efficaci. Questa componente, spesso sottovalutata nel settore vitivinicolo, risulta determinante per affrontare le complessità operative e per ottimizzare le risorse umane e tecnologiche.
Una cantina ben organizzata si distingue per una chiara suddivisione dei ruoli e delle responsabilità. Ogni collaboratore, dall’enologo al cantiniere, fino ai responsabili della logistica e del marketing, deve sapere esattamente cosa ci si aspetta da lui e come le sue attività si inseriscono nella visione complessiva dell’azienda. Per esempio, un piano ben strutturato prevede che il responsabile della produzione si interfacci regolarmente con l’enologo per stabilire il timing delle operazioni, dalla vendemmia alla vinificazione, in base alle caratteristiche climatiche e alle specifiche tecniche.
Un esempio positivo di gestione efficace è l’adozione di routine settimanali o mensili che prevedono incontri tra i vari reparti per allinearsi sugli obiettivi e discutere eventuali problematiche. In un’azienda vinicola, questi incontri possono riguardare sia il controllo dei livelli di acidità o il monitoraggio delle temperature di fermentazione che problematiche organizzative e di produzione, aspetti che richiedono collaborazione tra l’enologo e il team di produzione. Questi meeting, supportati da report digitali, aiutano a mantenere alta la qualità del prodotto e a identificare tempestivamente eventuali criticità.
Un’altra pratica positiva nel management aziendale è la flessibilità organizzativa durante la vendemmia. In questo periodo, il carico di lavoro aumenta esponenzialmente, e una buona organizzazione richiede l’adattamento delle risorse: l’aggiunta di turni, la gestione delle pause e un monitoraggio costante delle attività di raccolta e pigiatura. Pianificare turni extra e adattare le operazioni alle necessità climatiche e al ritmo della vendemmia consente di ottimizzare i tempi e ridurre gli sprechi.
Tuttavia, ci sono anche pratiche organizzative che possono impattare negativamente sulle performance aziendali. Un esempio classico è la scarsa comunicazione tra i vari reparti. Se l’enologo non è informato in tempo reale sullo stato dei macchinari o sulle quantità di uve disponibili, possono verificarsi ritardi nella produzione, con conseguente perdita di qualità. Ad esempio, un problema tecnico non comunicato tempestivamente può influire sul rispetto dei tempi di fermentazione o sul mantenimento delle temperature ideali, compromettendo il risultato finale.
Un altro esempio negativo si riscontra nella gestione inadeguata dei turni e delle risorse umane durante la vendemmia. Quando la pianificazione non tiene conto del carico di lavoro elevato e delle condizioni fisiche dei dipendenti, si rischia di sovraccaricare il personale, causando affaticamento e possibili errori. Un lavoratore esausto può, ad esempio, commettere errori nel controllo dei livelli di zucchero o nella misurazione della temperatura, compromettendo il processo produttivo.
Infine, una carenza frequente nelle cantine meno strutturate è la mancanza di formazione continua per il personale. Ignorare l’importanza dell’aggiornamento delle competenze non solo rallenta l’adozione di nuove tecnologie, ma può limitare l’efficacia delle operazioni. Per esempio, una cantina che non investe in formazione digitale potrebbe avere difficoltà nell’utilizzo di software gestionali avanzati, limitando il vantaggio competitivo.
In conclusione,
nel quotidiano lavoro di migliorare:
- le persone
- le infrastrutture digitali
- il management e l’organizzazione
possiamo eccellere in alcuni processi aziendali da individuare nelle 4 categorie:
- processi gestionali operativi
- processi di gestione del cliente
- processi di innovazione
- processi sociali
e questa eccellenza nei processi è direttamente collegata ad una o più delle tre componenti del Valore del Vino:
- caratteristiche qualitative
- valore del brand
- esperienza di acquisto;
e questo collegamento positivo aumenta il valore del prodotto. Questo incremento di valore genera nel tempo il successo non solo della cantina, ma dell’enologo che è stato chiamato a presidiarne molti dei processi decisivi.