Lavoro e HR

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Tutele crescenti anche per i dipendenti assunti prima del Jobs Act di un datore che supera la soglia dei 15 dipendenti

Ancora una volta la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla nuova disciplina introdotta dal decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23; si tratta del cd. regime delle tutele crescenti, rispetto al quale qualche dubbio sussisteva con riguardo al campo di applicazione, apparentemente esteso oltre i limiti previsti dalla legge n. 183/2014 (Jobs Act).

L’art. 1, co. 7, lettera c), dalla legge 10 dicembre 2014, n. 183, ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi, di cui uno relativo al licenziamento, prevedendo, per le nuove assunzioni, il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la reintegrazione, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di recesso disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento. Tale previsione si è concretizzata nel decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 – entrato in vigore il 7 marzo 2015 – che contiene le nuove “Disposizioni in materia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti”.

A chi si applicano le tutele crescenti (art. 1 del D.Lgs. n. 23/2015)

Operai, impiegati o quadri, assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 co. 1
Contratti a termine o apprendistato convertiti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 co. 2
Tutti i dipendenti (assunti entro il 6 o dal 7 marzo 2015 in poi) di un datore che, con la/le nuova/e assunzioni effettuate a partire dal 7 marzo 2015, raggiunge i limiti numerici di cui all’art. 18, co. 8 e 9, della legge 20 maggio 1970, n. 300 co. 3

Proprio con riguardo all’ultima ipotesi, ossia quella di cui al co. 3, il Tribunale di Lecce ha sollevato eccezione di legittimità costituzionale perché la legge delega avrebbe assoggettato alle tutele crescenti solo i “nuovi assunti”, e non anche i “vecchi dipendenti” di un datore che, con le nuove assunzioni effettuate dal 7 marzo 2015 in poi, supera quota 15, diventando così un datore cd. di maggiori dimensioni.

Tuttavia, la Corte Costituzionale (con la recentissima sentenza 19 marzo 2024, n. 44) ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’articolo 1, co. 3, del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, che attrae nel regime delle tutele crescenti anche i lavoratori di piccole imprese, già in servizio al 7 marzo 2015, in conseguenza di assunzioni aggiuntive a tempo indeterminato, successive all’entrata in vigore dello stesso decreto, che abbiano comportato il superamento dei limiti dimensionali previsti dall’art. 18, co. 8 e 9, dello Statuto dei lavoratori.

Nel decidere in tal senso, la Consulta ha rilevato che i vecchi dipendenti di un datore “piccolo” che diventa “grande” godono comunque di tutele (specialmente economiche) più ampie di quelle prima loro attribuite e che, con tale norma è stato comunque soddisfatto lo “scopo” della delega nel senso che, se invece fosse stata consentita l’acquisizione ex novo del regime di tutela ex art. 18, ciò avrebbe disincentivato il datore a fare nuove assunzioni, proprio quelle assunzioni che invece il legislatore delegante voleva incentivare.

In sostanza, non è stata violata la legge di delega, sotto questo profilo, e quindi ai lavoratori di datori piccoli, assunti prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015 (cioè entro il 6 marzo 2015), non si applica l’art. 18 legge n. 300/1970, ma il regime di tutela del licenziamento illegittimo, previsto per i contratti a tutele crescenti, nel caso in cui il datore abbia superato la soglia dimensionale di 15 dipendenti nell’unità produttiva a seguito di nuove assunzioni a tempo indeterminato avvenute dopo l’entrata in vigore del decreto stesso.

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