Lavoro e HR

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Abolizione dei voucher: quali alternative?

Messo alle strette dal referendum abrogativo, la cui data di svolgimento è prevista per il 28 maggio prossimo (e che, a questo punto, non dovrebbe tenersi), il Governo – con il decreto legge 17 marzo 2017, n. 25, pubblicato sulla G.U. n. 64 del 17 marzo 2017, ed entrato in vigore lo stesso giorno – ha abrogato le norme sul lavoro accessorio, contenute negli articoli da 48 a 50 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, nonché parte dell’art. 29 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, con particolare riguardo al regime della solidarietà negli appalti (che qui tralasciamo).
 
E quindi, in base a quanto previsto dall’articolo 1 del decreto legge 17 marzo 2017, n. 25, considerata la “straordinaria necessità e urgenza di superare l’istituto del lavoro accessorio per contrastare pratiche elusive”, a partire dal 17 marzo, sono stati abrogati gli articoli:
– 48: Definizione e campo di applicazione;
– 49: Disciplina del lavoro accessorio;
– 50: Coordinamento informativo a fini previdenziali;
del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, come peraltro recentemente modificato con il D.Lgs. 24 settembre 2016, n. 185, che aveva introdotto e disciplinato i nuovi obblighi di comunicazione anticipata alla sede territoriale competente dell’Ispettorato nazionale del lavoro.
 
Il D.L. n. 25/2017, peraltro, all’articolo 1, lettera b), dispone che i buoni per prestazioni di lavoro accessorio richiesti alla data di entrata in vigore del decreto (e cioè il 17 marzo 2017) possono essere utilizzati fino al 31 dicembre 2017; per contro, a partire da sabato 18 marzo 2017, non è più possibile richiedere o acquistare i voucher in questione.
 
Prima di illustrare le possibili alternative, ossia le altre tipologie contrattuali, va evidenziato che esistevano alcune soluzioni alternative, pure ventilate in questi ultimi giorni, quali:

a) l’aumento del valore orario dei voucher (es. da 10 a 15 euro), già previsto dall’art. 49, co. 1, del D.Lgs. n. 81/2015, almeno per i committenti imprenditori e professionisti;

b) quella, sempre nei confronti di tali soggetti, di aumentare la percentuale dei contributi previdenziali (inizialmente fissata al 13% del valore facciale del voucher);

c) il possibile contingentamento delle ore di lavoro mensilmente richiedibili al lavoratore (in una proposta di legge si era ipotizzato un massimo di 50 ore mensili);

d) il contingentamento dei lavoratori accessori (es.: 1/3 del numero medio dei dipendenti).

Purtroppo nulla di tutto ciò è avvenuto e, quindi, se un committente ha già acquistato dei voucher può utilizzarli entro la fine dell’anno, altrimenti occorre considerare – a fronte di esigenze di lavoro “non stabile” – soluzioni alternative.
 

Nota Bene L’abrogazione dell’art. 49 include anche l’obbligo della comunicazione anticipata di chiamata almeno 60 minuti prima e comporta il venir meno della sanzione amministrativa da 400 a 2.400 euro per ogni lavoratore per cui essa sia stata omessa. Prudenza consiglia di inviare comunque tale comunicazione, almeno fino all’emanazione di nuove indicazioni.

 
E’ quindi opportuno che il datore consideri l’opportunità di stipulare un contratto di collaborazione (occasionale o continuativa) o di somministrazione, ovvero valuti se optare per un contratto di apprendistato, a termine, a part time, o di lavoro intermittente, fattispecie che, per molte ragioni, è la più affine a quella abrogata.
 
Lavoro intermittente – Tale tipologia contrattuale è ammessa in base alle previsioni del contratto collettivo, per le attività di cui al R.D. 6 dicembre 1923, n. 2657, nonché, in ogni caso, con soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni siano svolte entro il 25° anno, e con più di 55 anni. In ogni caso, con l’eccezione dei settori del turismo, pubblici esercizi e spettacolo, il lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore, per un periodo non superiore a 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari: in caso di superamento il rapporto si trasforma a tempo pieno e indeterminato. Va evidenziato che si tratta di lavoro subordinato e che, dopo aver inviato il modello Unilav, prima dell’inizio della prestazione o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni, il datore deve comunicarne la durata all’Ispettorato, con sms o posta elettronica: la violazione di tale obbligo è punita con sanzione amministrativa da 400 a 2.400 euro per ogni lavoratore.
Contratto a termine – Detto che la stipulazione del contratto in forma scritta è sempre consigliabile, per i rapporti non superiori a 12 giorni essa non è richiesta. In ogni caso, salva una diversa previsione del contratto collettivo (e le attività stagionali), la durata dei rapporti a termine tra le medesime parti, per effetto della successione di contratti per svolgere mansioni di pari livello e categoria legale (indipendentemente dai periodi di interruzione), non può superare i 36 mesi (nel computo di tale periodo si contano anche i periodi di missione per mansioni di pari livello e categoria legale, nell’ambito di somministrazioni a termine).
 

Nota Bene Se si supera il limite dei 36 mesi, per effetto di 1 solo contratto o della successione di contratti, il rapporto si trasforma a tempo indeterminato dalla data di tale superamento.

 
Nulla osta a che le parti stipulino tra loro numerosi contratti a termine, anche di breve durata, nel limite totale di 36 mesi. Attenzione però: oltre al fatto che sono possibili solo 5 proroghe, va evidenziato che (tranne le attività stagionali e le ipotesi individuate dai contratti collettivi), se il lavoratore è riassunto a termine entro 10 giorni dalla scadenza di un contratto di durata fino a 6 mesi (20 giorni dalla scadenza di un contratto di durata superiore a 6 mesi), il secondo contratto si trasforma a tempo indeterminato. Va poi anche tenuto conto dei limiti numerici, il cui superamento comporta il pagamento di una sanzione amministrativa.
 
Part time – Una soluzione alternativa ai voucher potrebbe consistere nell’assunzione a tempo parziale e determinato (con le cautele di cui appena sopra) ma, in questo caso, occorre poter programmare, e quindi conoscere preventivamente, le necessità produttive aziendali.
 
Co.co.co. – Dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto subordinato ai contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. Tale disposizione non si applica alle collaborazioni:

  1. a) per cui gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche per il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze del settore;
  2. b) prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per cui occorre l’iscrizione in appositi albi professionali;
  3. c) prestate dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
  4. d) rese a fini istituzionali ad associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate ed enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI;
  5. e) prestate nell’ambito della produzione e della realizzazione di spettacoli.

 

Nota Bene Le parti possono richiedere alle apposite commissioni, la certificazione dell’assenza dei requisiti ostativi, ossia che non sussiste l’etero-organizzazione: a tale proposito di vedano gli articoli 75 e seguenti del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276.

 
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore.

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