Lavoro e HR

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Contratti a termine: il punto sui limiti numerici

Mentre la legge di stabilità per il 2015 si appresta a introdurre uno sgravio contribuivo fino a 8.060 euro annui per i primi 3 anni di assunzione a tempo indeterminato, e il Jobs Act – per le nuove assunzioni a tempo indeterminato – esclude (salvo rarissimi casi) il diritto alla reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo, ampio interesse continua a rivestire il contratto di lavoro a tempo determinato, la cui stipulazione è però legata al rispetto dei limiti numerici massimi: esaminiamo questo delicato argomento, evidenziando le soluzioni praticabili e le cautele che devono essere osservate da parte dei datori di lavoro.
 
La disciplina del contratto a tempo determinato, che rappresenta circa il 70 per cento delle nuove assunzioni, come noto, è stata recentemente rivista dal decreto Poletti, ossia dal D.L. 20 marzo 2014, n. 34, che ha profondamente modificato il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368. A fronte dell’abolizione dell’obbligo di indicare le causali, sono stati introdotti precisi limiti quantitativi rispetto al numero di lavoratori a termine che è possibile assumere da parte di ogni singolo datore di lavoro.
La regola generale è contenuta nell’art. 1, co. 1, del D.Lgs. n. 368/2001, il quale prevede che, salvo quanto previsto dall’articolo 10, co. 7, con riferimento al numero di lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno, la situazione è quella indicata in tabella.
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A tale regola generale fanno eccezione due ipotesi, la prima delle quali viene in evidenza nel caso in cui il contratto collettivo applicato in azienda già preveda dei limiti diversi: in tal caso si applicano solo le regole previste dal contratto collettivo, a prescindere dal fatto che tali limiti siano più (per esempio il 30%) o meno favorevoli (per esempio il 15%) per il datore.
La seconda eccezione riguarda invece tutta una serie di categorie di lavoratori o di situazioni nelle quali i limiti numerici non si applicano proprio. L’elenco è piuttosto lungo e comprende:
a) le fasi di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;
b) i contratti a termine stipulati per ragioni di carattere sostitutivo;
c) i contratti a termine stipulati per esigenze di stagionalità, comprese tanto le attività previste nell’elenco allegato al D.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525, quanto quelle individuate come “stagionali” da parte dei contratti collettivi, anche aziendali che possono includere nella stagionalità anche gli incrementi di produttività;
c) per specifici spettacoli o specifici programmi radiofonici o televisivi;
d) con lavoratori di età superiore a 55 anni;
e) i contratti a termine stipulati ai sensi dell’art. 28 del D.L. n. 179/2012 da parte di una start up innovativa;
f) i contratti a termine con lavoratori collocati in mobilità;
g) le assunzioni a tempo da parte degli istituti pubblici ed enti privati di ricerca;
h) le assunzioni di disabili;
i) le acquisizioni di personale a termine nei trasferimenti d’azienda o di rami d’azienda;
l) i contratti a termine con il personale dirigente.
Ricordiamo che, poiché il riferimento è al 1° gennaio dell’anno di assunzione, salvo che il contratto collettivo non preveda diversamente, nessuna rilevanza assumono tutti gli eventi successivi a tale data: per fare un esempio, se il datore di lavoro, al 1° gennaio 2015 ha 100 dipendenti a tempo indeterminato, nel corso dell’anno potrà impiegare contemporaneamente (salvo che non si tratti delle eccezioni appena sopra esposte) al massimo 20 lavoratori “a tempo”, a prescindere dal fatto che, nel corso dell’anno assuma altri 80 dipendenti o, invece, che ne licenzi 50.
Il superamento del limite massimo è possibile ma più costoso. Infatti la norma prevede che, in caso di violazione del limite percentuale di cui sopra (legale o contrattuale), per ciascun lavoratore si applica la sanzione amministrativa pari al:
a) 20% della retribuzione, per ogni mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, se vi è 1 solo lavoratore “a tempo” in più;
b) 50% della retribuzione, per ogni mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, se vi è più di 1 lavoratore a termine (quindi da 2 in su) in eccedenza.
A tale proposito ricordiamo che la sanzione va calcolata in base a una percentuale della retribuzione lorda mensile (o tabellare) spettante ai lavoratori assunti in violazione del limite, e cioè gli ultimi assunti in ordine di tempo; e che ogni periodo di 30 giorni di occupazione va considerato come mese intero e, solo se i giorni residui sono più di 15, andrà conteggiato un ulteriore mese. Infine, l’importo sanzionatorio viene notificato nella misura di 1/3 e il suo pagamento entro 60 giorni dalla notifica estingue la violazione.
Per comodità, riportiamo l’esempio fatto dal Ministero nella circolare 30 luglio 2014, n. 18.
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Invece, ove i lavoratori a termine “in eccesso” siano 2 o più, occorre aver riguardo alle singole retribuzioni e ai diversi periodi di impiego e calcolare, per ciascuno di essi, la sanzione dovuta.
Un aspetto particolare riguarda tutti quei datori di lavoro che, all’atto dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni avevano già in corso contratti a termine “in eccedenza”: per loro è stata prevista la possibilità di “rientrare nei limiti” stipulando un accordo, anche aziendale, con il quale individuare una percentuale (ovviamente più favorevole rispetto al 20%) e/o un diverso termine, successivo al 31 dicembre 2014, utile a rientrare nei limiti. Ebbene, per chi non abbia usufruito di tale possibilità, una precisazione importante viene dal Ministero il quale ha reso noto che la sanzione non è applicabile, operando solo il divieto di assunzione a partire dal 2015, nel caso in cui tali datori di lavoro si limitino a prorogare i contratti già in essere, senza procedere a vere e proprie “nuove assunzioni”.
Va peraltro ricordato che il regime della proroga è differenziato a seconda che l’assunzione a termine sia stata effettuata fino al 20 marzo ovvero dal 21 marzo 2014 in poi. Ebbene, sempre ferma la durata massima:
a) di tutti i rapporti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti pari a 36 mesi;
b) e del singolo contratto a termine (incluse le proroghe) pari a 36 mesi;
nel primo caso, dato che si applica il precedente regime, è ammessa una sola proroga; invece se il contratto a termine è stato stipulato a partire dal 21 marzo 2014 in poi, è possibile procedere a un massimo di 5 proroghe, anche di diversa durata l’una rispetto alle altre.
 
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore

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