Lavoro e HR

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Cosa fare se il lavoratore “sparisce”

La legge delega n. 183/2014 aveva incaricato il Governo di individuare nuove modalità “semplificate” per garantire la data certa nonché l’autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale, stabilendo però che di dovesse anche tenere conto “della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore”.
 
In pratica il Governo avrebbe dovuto inserire anche una norma in base alla quale – dopo un certo numero di giorni di assenza ingiustificata ovvero, per esempio, dopo aver ricevuto un formale invito da parte del datore di lavoro a riprendere servizio – il lavoratore inadempiente sarebbe stato considerato come dimissionario “per fatti concludenti”, ossia a prescindere da una formale dichiarazione di intenti verbale o scritta. Purtroppo così non è stato.
 
Tanto è vero che nella circolare ministeriale n. 12/2016 si evidenzia che “le dimissioni rassegnate con modalità diverse da quelle previste dalla (nuova) disciplina sono inefficaci; in tal caso il datore di lavoro dovrebbe invitare il lavoratore a compilare il modulo nella forma e con le modalità telematiche previste dalla nuova disciplina”.
 
Ne discende che, se il dipendente non si dimette formalmente ma si limita appunto a “sparire”, non presentandosi quindi sul posto di lavoro, al datore non resta da fare altro che procedere alla contestazione dell’assenza ingiustificata e poi intimare il licenziamento, il quale sarà sempre impugnabile (entro 60 giorni) e comporterà comunque il pagamento del cd. ticket di licenziamento.
 
Come è del tutto evidente, non si tratta della migliore soluzione possibile né della più equa.
 
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore.

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