Lavoro e HR

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Danno da demansionamento e risarcimento

Nel caso di demansionamento, il dipendente può agire in giudizio per far accertare il proprio diritto al risarcimento del danno subito. In relazione a tale tematica, occorre ben distinguere – ai fini del trattamento fiscale applicabile alle somme erogate da parte del datore di lavoro – tra il cd. “danno emergente” e il “lucro cessante”. La questione è stata ben chiarita con un recente intervento dell’Agenzia delle Entrate.

A seguito del proprio demansionamento, un lavoratore otteneva dal giudice il risarcimento del danno alla professionalità per una somma di oltre 28.500 euro ma la società ex datrice di lavoro ne tratteneva oltre 7.000 quale ritenuta ex art. 23 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, versandola come di norma. A questo punto, il lavoratore notificava alla Società un atto di precetto ex art. 480 cod. proc. civ., affinché gli venisse corrisposta tale ultima somma, pari alla differenza tra quanto liquidato con la sentenza e quanto effettivamente ricevuto, contestando l’applicazione delle ritenute alla fonte, perché le somme ricevute non sarebbero assoggettabili a tassazione.

L’azienda, dopo aver pagato la cifra richiesta, proponeva interpello all’Agenzia delle Entrate chiedendo se l’importo versato a titolo di risarcimento per demansionamento sia volto a reintegrare il cd. danno emergente (essendo quindi privo di rilevanza reddituale e impropriamente assoggettato a ritenuta) o, al contrario, se sia volto a reintegrare il cd. lucro cessante, con piena rilevanza reddituale e, pertanto, correttamente assoggettato a ritenuta.

Rispondendo a tale quesito, l’Agenzia ha precisato che:

  • vanno ricondotte a tassazione le indennità corrisposte a titolo risarcitorio, sempreché esse abbiano una funzione sostitutiva o integrativa del reddito del percipiente; sono in sostanza imponibili le somme corrisposte al fine di sostituire mancati guadagni (cd. lucro cessante) sia presenti che futuri del soggetto che le percepisce;
  • invece, non hanno rilevanza reddituale le indennità erogate per reintegrare il patrimonio del soggetto, ovvero per risarcire la perdita economica subita (cd. danno emergente);
  • in particolare, per quanto riguarda le somme erogate, fondate sulla necessità di ristorare la perdita delle cd. “chance professionali” ossia connesse alla privazione della possibilità di sviluppi o progressioni nell’attività lavorativa, esse non sono imponibili.

In sostanza, quindi, le somme liquidate in via equitativa dal giudice, a seguito della lesione della capacità professionale del lavoratore, non sono imponibili, perché configurabili come danno emergente, e quindi volte a risarcire la perdita economica subita dal patrimonio, e non vanno assoggettate a ritenuta alla fonte (Agenzia Entrate, Risposta a interpello 8 aprile 2022, n. 185).

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