Lavoro e HR

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Dimissioni per giusta causa: quali problemi?

La nuova procedura di risoluzione del rapporto per iniziativa del lavoratore va seguita anche ove si tratti di dimissioni per giusta causa, ossia di quelle rassegnate a seguito di una gravissima violazione dei propri doveri posta in essere da parte del datore di lavoro nei confronti del dipendente (mandato e prolungato pagamento della retribuzione, molestie sessuali, e così via).
 
In questo caso, la procedura nasce “zoppa”, infatti – nella sezione 4 del nuovo modulo – le caselle che il lavoratore può barrare sono solamente tre: dimissioni, risoluzione (consensuale) e revoca; vi è poi lo spazio in cui indicare la “data di decorrenza dimissioni/risoluzione consensuale”. E qui c’è un problema, e non di poco conto.
 
Infatti, nel layout del modello si sarebbe dovuto prevedere un campo aggiuntivo per le “dimissioni per giusta causa”, e ancora non sarebbe stato sufficiente. Sarebbe stato infatti necessario anche introdurre un ulteriore spazio bianco in cui il lavoratore avrebbe dovuto inserire la motivazione, ossia le ragioni che lo hanno indotto (a suo giudizio) a dimettersi per giusta causa (senza prestare il preavviso, e avendo anzi diritto a percepire la relativa indennità sostitutiva). Questo perché la giurisprudenza prevalente (si veda per esempio Cassazione 2 luglio 2014, n. 15079) ritiene che la giusta causa di dimissioni debba “essere invocata dal lavoratore contestualmente alla comunicazione del recesso”.
 
In pratica, il lavoratore dovrà rassegnare le dimissioni con il modulo telematico, indicando quale data di dimissioni il giorno stesso (e quindi senza alcun preavviso) e subito dopo inviare al datore di lavoro una comunicazione separata – tipicamente una raccomandata – in cui spiega le proprie ragioni.
 
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore.

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