Lavoro e HR

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Il punto sui contratti a termine per attività stagionali

In questo periodo di emergenza legata all’epidemia da COVID-19, l’arrivo dell’estate comporta la ripresa di molte attività legate in particolar modo al turismo, con conseguente incremento delle assunzioni legate alla “stagionalità”. È quindi opportuno un riepilogo delle disposizioni che disciplinano i contratti a termine per lo svolgimento di attività “stagionali”, che godono di un regime a sé rispetto alle regole ordinarie.

Nozione di attività stagionale

La norma che definisce le attività cd. stagionali è l’articolo 21, co. 2, del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 (cd. Codice dei contratti). Tale disposizione le individua come quelle:

a) identificate come tali da parte dei contratti collettivi (nazionali, territoriali e/o aziendali);

b) individuate con decreto del Ministero del lavoro, con la precisazione che, fino all’adozione di tale decreto (non ancora avvenuta), continuano a trovare applicazione le disposizioni del DPR 7 ottobre 1963, n. 1525.

In pratica, in aggiunta a quanto previsto dal DPR citato e dal contratto nazionale, è sempre possibile che, con un accordo aziendale, datore e controparte sindacale individuino ulteriori ipotesi di “attività stagionali”, con tutti i benefici che vengono di seguito illustrati.

Durata massima di tutti i rapporti a termine

Alle attività stagionali come sopra definite (ossia sia quelle di cui al DPR n. 1525/1963 che quelle individuate come tali dal contratto collettivo) non si applica il limite di durata massima per sommatoria di 2 o più contratti a termine previsto dall’art. 19, co. 2, del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81. Tale norma, infatti, dispone che, fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi – e con l’eccezione delle attività stagionali – la durata dei rapporti a termine (inclusi quelli di somministrazione a termine) intercorsi tra lo stesso datore e lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per svolgere mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, non può superare i 24 mesi. Se il limite dei 24 mesi è superato, per effetto di un unico o di una successione di contratti, il rapporto si trasforma a tempo indeterminato dalla data di tale superamento.

Caso pratico Se l’attività svolta è, per esempio, quella di cui al n. 50 della tabella (personale addetto alle arene cinematografiche estive), è possibile assumere a termine lo stesso lavoratore 2 mesi l’anno per 40 anni di seguito, senza alcun problema.

Proroghe e rinnovi

L’articolo 21, co. 01, del D.Lgs. n. 81/2015, dispone che il contratto può essere:

a) rinnovato solo a fronte delle condizioni di cui all’articolo 19, co. 1;

b) prorogato liberamente nei primi 12 mesi e, in seguito, ossia oltre il 12° mese e fino al 24°, solo in presenza delle condizioni di cui all’articolo 19, co. 1.

In caso di violazione, il contratto si trasforma a tempo indeterminato. Tuttavia, per espressa previsione normativa, i contratti per attività stagionali possono essere rinnovati o prorogati (in questo caso, però, sempre per non più di 4 volte) anche in assenza delle condizioni di cui all’articolo 19, co. 1: in pratica, per prorogare o rinnovare, non occorre dimostrare le cd. “esigenze” temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, sostitutive di altri lavoratori, ovvero connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.

Rinnovi anche senza pause intermedie

Regole ad hoc vigono anche nel caso di “rinnovo”, ossia della nuova (seconda, terza, quarta ecc.) assunzione a termine del medesimo lavoratore da parte dello stesso datore. Di norma infatti – ma tale regola non si applica affatto alle attività stagionali – salvo diversa previsione del contratto collettivo (che potrebbe ridurre o azzerare il cd. stop and go), è vietato, pena la trasformazione del contratto a tempo indeterminato, per lo stesso datore, riassumere a tempo determinato lo stesso dipendente prima che siano trascorsi:

a) 10 giorni se il contratto appena scaduto ha avuto durata fino a 6 mesi;

b) 20 giorni se il contratto appena scaduto ha avuto durata superiore a 6 mesi.

Limiti numerici

Di norma, e sempre fatta salva una diversa previsione del contratto collettivo, valgono i seguenti limiti numerici (calcolati con riferimento all’organico “stabile” al 1° gennaio dell’anno di assunzione):

a) 1 solo lavoratore a termine se il datore ha da zero a 5 dipendenti a tempo indeterminato;

b) il 20% dei lavoratori a tempo indeterminato, se il datore ha da 6 dipendenti “stabili” in su.

Tuttavia, l’articolo 23, co. 2, lettera c), dispone espressamente che tali limiti numerici non si applicano alle assunzioni a termine per lo svolgimento di attività stagionali.

Caso pratico Se l’attività svolta, per esempio, è quella prevista al n. 40 della tabella allegata al DPR n. 1525/1963 (cernita e insaccamento delle castagne), il datore che non abbia dipendenti a tempo indeterminato o che ne abbia 1 solo, può occupare contemporaneamente 15 e più  dipendenti a termine per tale attività.

Diritto di precedenza

Anche con riguardo a tale istituto valgono regole speciali, diverse da quelle previste per i contratti a termine “ordinari”. In pratica, la disciplina può così essere riassunta:

a) il dipendente, anche sommando più rapporti a termine con il medesimo datore, deve poter vantare un’anzianità lavorativa superiore a 6 mesi;

b) egli deve esercitare il diritto di precedenza, esplicitamente e rigorosamente per iscritto;

c) il diritto di precedenza va esercitato entro 3 mesi dalla data di cessazione del rapporto;

d) il diritto di precedenza opera unicamente rispetto a nuove assunzioni a tempo determinato da parte dello stesso datore “per le medesime attività stagionali”;

e) il diritto si estingue una volta trascorso 1 anno dalla data di cessazione del rapporto.

Contributo addizionale

L’articolo 2, co. 28, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Riforma Fornero), dispone che, con effetto sui periodi contributivi dal 1° gennaio 2013, ai rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato si applica un contributo addizionale, a carico del solo datore di lavoro, pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Il contributo addizionale è aumentato di 0,5 punti percentuali in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato (se effettuato a partire dal 14 luglio 2018), anche in regime di somministrazione. Il successivo comma 29 dispone però che tale contributo addizionale di cui al co. 28 non si applica ai lavoratori assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionali di cui al DPR 7 ottobre 1963, n. 1525, nonché, per i periodi contributivi maturati dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2015, di quelle definite dagli avvisi comuni e dai CCNL stipulati entro il 31 dicembre 2011 dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori comparativamente più rappresentative.

Fonte Contributo addizionale: si o no?
DPR n. 1525/1963 Il contributo addizionale e l’aumento di 0,5% non è mai dovuto
Contratto collettivo Sono dovuti il contributo addizionale e l’aumento di 0,5 punti %
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