Motivi e procedura disciplinare: quanto costano le violazioni
Il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, individua le conseguenze (solamente economiche) cui va incontro il datore di lavoro che non rispetti alla lettera le prescrizioni in materia di forma e requisiti del licenziamento.
L’articolo 4 dispone che, nelle ipotesi in cui il licenziamento – ovviamente solo se giudicato legittimo, posto che negli altri casi si applicano sanzioni più pesanti – sia intimato con violazione:
a) del requisito di motivazione ai sensi dell’articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, il quale prevede che la comunicazione del licenziamento (da effettuarsi sempre in forma scritta) deve contenere per iscritto anche la specificazione dei motivi che lo hanno determinato;
b) o dell’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, che regolamenta la procedura di contestazione degli addebiti e il diritto di difesa del lavoratore (affissione del codice disciplinare, contestazione in forma scritta delle violazioni, rispetto del termine di difesa);
il giudice dichiara estinto il rapporto alla data del licenziamento e condanna il datore a pagare un’indennità (non soggetta a contribuzione) pari a 1 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 12 mensilità, a meno che, in base alla domanda del lavoratore, ritenga che il recesso sia discriminatorio; nullo; inefficace; o che difettino la giusta causa o il giustificato motivo oggettivo o soggettivo.
Nelle piccole imprese, tale somma parte da 1 mensilità per ciascuno dei primi 2 anni di rapporto, aumenta di mezzo mese per ogni ulteriore anno di servizio, e si ferma a un totale di 6 mensilità dopo 12 anni di lavoro alle dipendenze del medesimo datore di lavoro.
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore