Lavoro e HR

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La Cassazione dice “no” alle troppe condizioni per il lavoro intermittente

Un’importante sentenza della Suprema Corte fa chiarezza (al netto dei divieti espressamente previsti) sulle condizioni per far ricorso al contratto “a chiamata”, a dispetto di chi, con una certa periodicità, si ostina a voler trovare ostacoli che, nel testo della norma, non sono affatto previsti.

I divieti
Prima di capire se il lavoro “a chiamata” è praticabile, il datore deve fare i conti con l’art. 14 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81. Tale norma dispone che il lavoro intermittente è vietato:

  • per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
  • presso unità produttive nelle quali si è proceduto, nei 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni, e presso unità produttive in cui sono operanti una sospensione del lavoro o riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;
  • ai datori che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione delle norme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori (si veda il D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81).

I casi consentiti
Superato lo “scoglio” dei divieti di cui sopra, l’art. 13 del D.Lgs. n. 81/2015, individua 3 requisiti alternativi tra loro, due “oggettivi” e uno “soggettivo” (rispettivamente i primi due e il terzo indicati appena sotto). In particolare, con tale contratto, anche a termine, un lavoratore si pone a disposizione di un datore che ne può utilizzare la prestazione:

  • in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi;
  • in mancanza di contratto collettivo, i casi di utilizzo sono individuati con decreto del Ministro del lavoro (tale decreto non è ancora stato emanato, per cui oggi si fa riferimento alle attività elencate nella tabella allegata al regio decreto 6 dicembre 1923, n. 2657);
  • il contratto può in ogni caso essere concluso con soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il 25° anno, e con più di 55 anni.

Il caso
Nella fattispecie in esame, la Corte d’Appello di Milano aveva dichiarato illegittimo un contratto intermittente – che era stato stipulato in base al requisito soggettivo ex n. 3, ossia l’età del lavoratore – per mancanza del requisito oggettivo della “discontinuità dell’attività”. Nel decidere in tal senso, i giudici milanesi hanno invece ravvisato gli elementi costitutivi del contratto a tempo determinato, sussistendo il motivo giustificativo dell’apposizione del termine.

Il dictum della Cassazione
Decidendo sul ricorso presentato dalla società, la Corte di Cassazione – con sentenza 24 luglio 2023, n. 22086 – ha ribaltato l’esito del giudizio, dichiarando quindi legittimo il contratto di lavoro intermittente stipulato. Ciò perché:

  • la norma dispone che tale contratto può “in ogni caso” essere concluso in base al solo requisito anagrafico in capo al dipendente;
  • i presupposti che legittimano la stipula del contratto ex art. 13 del D.Lgs. n. 81/2015 – età del lavoratore e discontinuità dell’attività – non devono necessariamente concorrere, perché il legislatore ha previsto due distinte ipotesi di lavoro intermittente: l’una giustificata dal requisito, oggettivo (l’attività discontinua), e l’altra da quello soggettivo (età del lavoratore).
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