Novità del Decreto 16 giugno 2020: subito altre 4 settimane di cassa integrazione
Il decreto legge 16 giugno 2012, n. 52, non solo ha introdotto misure urgenti in materia di trattamento ordinario di integrazione salariale e assegno ordinario ma ha anche modificato i termini per la presentazione della domanda di Reddito di Emergenza, di quelli per la presentazione delle domande di emersione di rapporti di lavoro irregolare e di rilascio di permesso di soggiorno temporaneo. Di seguito il punto sulle ultime novità.
Premessa
L’articolo 46 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 (cd. decreto Cura Italia), modificato prima dalla legge di conversione 24 aprile 2020, n. 27, e poi dall’articolo 80 del successivo decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 (cd. decreto Rilancio), ha “bloccato” i licenziamenti collettivi e quello individuale per giustificato motivo oggettivo (di cui all’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604) – inclusa la relativa procedura davanti all’Ispettorato Territoriale del Lavoro – per un periodo di 5 mesi, rispetto ai soli 60 giorni inizialmente previsti.
Ne deriva quindi che, dal 17 marzo e fino al 17 agosto prossimo, il datore non può recedere dal contratto subordinato con un licenziamento collettivo o per giustificato motivo oggettivo.
Il D.L. rilancio ha anche inserito il co. 1-bis, il quale dispone che il datore che, a prescindere dal numero dei dipendenti, nel periodo dal 23 febbraio al 17 marzo 2020 abbia proceduto al recesso dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, in deroga alle previsioni di cui all’art. 18, co. 10, della legge 20 maggio 1970, n. 300, può revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli articoli da 19 a 22, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore. E’ del tutto evidente che, il datore la cui attività sia ridotta a causa della diffusione del virus COVID-19 (anche per i precedenti provvedimenti della pubblica autorità che l’avevano sospesa), visto il divieto di licenziamento, non resta altra soluzione che ricorrere a un largo uso di ammortizzatori sociali.
CIGO e Assegno ordinario: le settimane nel D.L. 34/2020
In un primo momento, l’articolo 19 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, aveva previsto – per la sospensione o riduzione dell’attività per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, e quindi per i periodi dal 23 febbraio al 31 agosto 2020 – la possibilità del datore di richiedere fino a 9 settimane di CIGO o di assegno ordinario. Il decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, ha poi introdotto alcune modifiche, e precisamente:
- al periodo prima previsto di 9 settimane, se interamente fruito, ne sono aggiunte altre 5;
- si aggiungono altre 4 settimane per i periodi dal 1° settembre al 31 ottobre 2020;
- infine, i soli datori dei settori turismo, fiere e congressi, parchi divertimento, spettacolo dal vivo e sale cinematografiche, possono chiedere le 4 settimane di cui appena sopra anche per periodi antecedenti al 1° settembre 2020.
In pratica, per il datore che avesse immediatamente fatto ricorso alla CIGO, le prime 9 settimane si sarebbero già concluse e, utilizzando anche le altre 5, in ogni caso, a fine giugno (salvo il settore turismo, fiere e congressi, parchi divertimento, spettacolo dal vivo e sale cinematografiche), non sarebbero state possibili altre proroghe. Considerando che, fino al 17 agosto prossimo (come esposto appena sopra), non è possibile recedere con licenziamento collettivo o per giustificato motivo oggettivo, ai datori la cui attività è ancora sospesa o ridotta, non sarebbe restata altra soluzione che richiedere la cassa integrazione ordinaria, la cassa integrazione straordinaria o l’assegno ordinario con le consuete modalità previste – per la generalità dei casi (e quindi fuori dall’attuale situazione di emergenza) – dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148 (rispettando però tutti i limiti ivi previsti).
Le novità del decreto legge 16 giugno 2020, n. 52
Sulla G.U. n. 151/2020, come richiesto da tutto il mondo produttivo, è stato quindi pubblicato il decreto legge 16 giugno 2020, n. 52, tra l’altro recante “ulteriori misure urgenti in materia di trattamento di integrazione salariale”, ed entrato in vigore mercoledì 17 giugno 2020.
Ebbene, vista la straordinaria necessità e urgenza di sostenere ancora datori e lavoratori in una fase eccezionale conseguente al perdurare dell’emergenza da COVID-19 e per consentire alle imprese un graduale riavvio dell’attività produttiva concedendo loro la possibilità di fruire in maniera continuativa degli ammortizzatori sociali, l’art. 1 stabilisce quanto segue:
a) in deroga a quanto previsto dagli artt. 19, 20, 21 e 22 (CIGO e assegno ordinario; CIGO per aziende che già in CIGS; assegno ordinario per datori che hanno in corso trattamenti di assegni di solidarietà; CIGD) del D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (legge n. 27/2020, e successive modifiche e integrazioni), solo per i datori che abbiano interamente fruito del periodo prima concesso fino alla durata massima di 14 settimane, è possibile usufruire di altre 4 settimane anche per periodi decorrenti prima del 1° settembre 2020 (ossia anche da subito);
b) resta ferma la durata massima di 18 settimane considerati i trattamenti riconosciuti in tutto sia ai sensi degli artt. 19, 20, 21 e 22, che del comma in esame, con il riconoscimento delle medesime ulteriori massime 4 settimane, nel limite di 1.162,2 milioni di euro per il 2020, da parte dell’Inps ex artt. 22-quater (CIGD) e 22-quinquies del D.L. 17 marzo 2020, n. 18;
Nota Bene L’Inps monitora il rispetto del limite di spesa, fornendo i risultati di tale attività al Ministero del lavoro e al MEF. Se emerge che è stato raggiunto, anche in via prospettica il limite di spesa, l’Inps non può emettere altri provvedimenti concessori. |
c) in deroga a quanto previsto dalle norme vigenti, le domande per i trattamenti di cui agli artt. 19-22 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, vanno presentate, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o riduzione dell’attività. In sede di prima applicazione, i termini di cui al presente comma sono spostati al 30° giorno successivo al 17 giugno 2020 se tale data è posteriore a quella di cui sopra. Per le domande riferite a periodi di sospensione o riduzione dell’attività che iniziati tra il 23 febbraio e il 30 aprile 2020, il termine è fissato, a pena di decadenza, al 15 luglio 2020;
d) indipendentemente dal periodo di riferimento, i datori che hanno erroneamente richiesto trattamenti diversi da quelli a cui avrebbero avuto diritto o comunque con errori o omissioni che ne hanno impedito l’accettazione, possono presentare la domanda nelle modalità corrette entro 30 giorni dalla comunicazione dell’errore da parte dell’amministrazione, a pena di decadenza, anche nelle more della revoca dell’eventuale provvedimento di concessione emanato dall’amministrazione competente; la presentazione della domanda, nella modalità corretta, è considerata tempestiva se presentata entro 30 giorni dal 17 giugno 2020; per le domande presentate secondo la disciplina dell’art. 1, co. 2, D.L. n. 52/2020, non opera l’art. 19, co. 2-bis del D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (esso dispone che, se la domanda è presentata entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività, l’eventuale trattamento di integrazione salariale non può avvenire per periodi anteriori di una settimana rispetto alla data di presentazione). Bisognerà, dunque, capire come allineare i nuovi termini con quelli disposti in precedenza dal Decreto Rilancio.
e)
infine, in caso
di pagamento diretto della prestazione di cui agli artt. da 19 a 22-quinquies del D.L. 17 marzo 2020, n. 18,
da parte dell’Inps, il datore è obbligato ad inviare all’Istituto tutti i dati
necessari per il pagamento o per il saldo dell’integrazione salariale entro la
fine del mese successivo a quello in cui è collocato il periodo di integrazione
salariale, ovvero, se posteriore, entro 30 giorni dall’adozione del
provvedimento di concessione. In sede di prima applicazione, tali termini sono
spostati al 30° giorno successivo al 17 giugno 2020 se tale ultima data è
posteriore a quella di cui al primo periodo. Trascorsi inutilmente tali
termini, il pagamento della prestazione e gli oneri connessi rimangono a carico
del datore inadempiente.