Processo civile telematico

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Processo Civile Telematico – Cassazione 13532/2019 – Responsabilità dell’Avvocato per la casella di PEC saturata

Con la recente pronuncia 13532 del 20 maggio 2019, la Corte di Cassazione sezione lavoro torna ad occuparsi della gestione della casella PEC da parte dell’Avvocato titolare della casella medesima.

Come noto, infatti, la gestione della Posta Elettronica Certificata deve essere oggetto di particolare cura e attenzione da parte del professionista, soprattutto in virtù delle conseguenze dettate – in ordine a notificazioni e comunicazioni di cancelleria – da parte dell’art. 16 sexies D.L. 179/2012.

L’articolo de quo, in relazione alle notificazioni in cancelleria, prevede che “Salvo quanto previsto dall’ articolo 366 del codice di procedura civile , quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all’ articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 , nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia.“, stabilendo – quindi – che le classiche notifiche in cancelleria (qualora ne ricorrano i presupposti) possano essere effettuate solo qualora la notifica nella casella PEC del destinatario sia impossibile per causa allo stesso ascrivibile.

Orbene, proprio in relazione alla necessità – da parte del titolare dell’account di Posta Elettronica Certificata – di verificarne costantemente la piena funzionalità, la Suprema Corte si occupa oggi di una fattispecie in realtà abbastanza complessa. Nel caso di specie, infatti, veniva dichiarata tardiva l’opposizione avverso l’Ordinanza dichiarativa della legittimità di un licenziamento. L’Ordinanza de qua era stata comunicata ad uno dei due difensori della parte che – però – risultava avere casella PEC piena; pertanto la comunicazione non andava a buon fine e, ai sensi dell’art. 16 D.L. 179/2012 e del sopra citato art. 16 sexies medesimo decreto, si provvedeva ad effettuare la notificazione presso la cancelleria del Tribunale.

L’opponente ricorreva poi in Cassazione lamentando problematiche di carattere meramente tecnico per giustificare la non operatività della casella PEC, nonché eccependo la mancata comunicazione ad entrambi i difensori ritualmente costituiti, soprattutto alla luce dell’impossibilità di notificare l’Ordinanza alla  casella PEC di uno dei due; circostanza – quest’ultima – che avrebbe dovuto spingere la cancelleria a effettuare la comunicazione all’altro difensore e non presso la cancelleria medesima.

La Suprema Corte, sul primo punto, ha ritenuto il ricorso infondato in quanto “Secondo l’art. 16 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, nella I. 17 dicembre 2012, n. 221, co. 4: «Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici». Il comma 6 dispone poi: «Le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario». ….”,e prosegue – sul punto ritenendo che “…. in seguito all’entrata in vigore di detta legge, le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Laddove non sia possibile ricorrere alla posta elettronica certificata «per cause imputabili al destinatario» le comunicazioni e le notificazioni vanno effettuate «mediante deposito in cancelleria». Solo ove vi sia una «causa non imputabile al destinatario» si rende applicabile la disciplina dell’art. 136, cod. proc., civ.”

Per tali ragioni, la Suprema Corte ha più volte sostenuto e ribadito anche con l’odierna pronuncia, che la gestione della casella PEC debba essere posta sotto la piena responsabilità del difensore in quanto la notificazione a mezzo Posta Elettronica Certificata implica “l’onere per il suo destinatario di dotarsi degli strumenti per decodificarla o leggerla, non potendo la funzionalità dell’attività del notificante essere rimessa alla mera discrezionalità del destinatario, salva l’allegazione e la prova del caso fortuito, come in ipotesi di malfunzionamenti del tutto incolpevoli, imprevedibili e comunque non imputabili al professionista coinvolto; peraltro, costituendo la normativa sulle notifiche telematiche la mera evoluzione della disciplina delle notificazioni tradizionali ed il suo adeguamento al mutato contesto tecnologico, l’onere in questione non può dirsi eccezionale od eccessivamente gravoso, in quanto la dotazione degli strumenti informatici integra un necessario complemento dello strumentario corrente per l’esercizio della professione (Cass. 25/9/2017 n. 22320). In particolare, con specifico riferimento alla ipotesi di saturazione della casella PEC, è stato escluso che tale saturazione configuri un impedimento non imputabile al difensore al fine di legittimare la richiesta di rimessione in termini per la notifica di un atto (Cass. 12/11/ 2018 n. 28864, in motivazione). Tale affermazione si pone in continuità con precedenti pronunzie di questa Corte che hanno sottolineato come, una volta ottenuta dall’ufficio giudiziario l’abilitazione all’utilizzo del sistema di posta elettronica certificata, l’avvocato, che abbia effettuato la comunicazione del proprio indirizzo di PEC al Ministero della Giustizia per il tramite del Consiglio dell’Ordine di appartenenza, diventa responsabile della gestione della propria utenza, nel senso che ha l’onere di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli dalla cancelleria a tale indirizzo, indicato negli atti processuali, non potendo far valere la circostanza della mancata apertura della posta per ottenere la concessione di nuovi termini per compiere attività processuali (Cass. 2/7/2014 n. 15070).”

In merito, invece, alla mancata notificazione al codifensore, gli Ermellini si sono invece limitati a rilevare che “Priva di fondamento normativo si rivela la tesi del ricorrente relativa alla necessità di invio della comunicazione all’altro difensore munito di indirizzo PEC, alla stregua della richiamata disciplina la quale non onera la cancelleria di alcuna ulteriore attività di invio del provvedimento una volta non andata a buon fine il primo tentativo di comunicazione. La tesi del ricorrente non potrebbe, peraltro, trovare fondamento neppure, su un piano più generale, nelle previsioni del codice di rito il quale non sanziona con la nullità la mancata comunicazione a tutti i procuratori della parte.”

La pronuncia in parola, quindi, evidenzia ancora una volta come il professionista legale non possa oggi disinteressarsi degli strumenti digitali che utilizza giornalmente né, molto più banalmente, possa ottenere una rimessione in termini qualora non abbia correttamente adempiuto al proprio onere di mantenere attivi e funzionanti tali strumenti.

A cura di Luca Sileni – Avv.to iscritto all’ordine di Grosseto referente informatico dell’ODA di Grosseto e Segretario del Centro Studi Processo Telematico

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