Trasferimento del lavoratore: nessuna novità nel Jobs Act
Il nuovo testo dell’articolo 2103 del codice civile, sostanzialmente rivisitato per quanto concerne la disciplina delle mansioni, non ha subito invece interventi di modifica per quanto riguarda il trasferimento del dipendente.
Come già avveniva in precedenza, infatti, si prevede che il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive (ogni patto contrario è nullo).
Prescindendo da casi particolari, in cui operano tutele specifiche (rappresentanti sindacali; lavoratori, e loro familiari, affetti da handicap; eletti a funzioni pubbliche negli enti locali), il trasferimento del lavoratore opera – nell’ambito dei poteri generali attribuiti al datore di lavoro – senza che sia richiesto il consenso del dipendente.
Secondo la costante giurisprudenza, salvo che così preveda il contratto collettivo, non è necessario che il trasferimento sia disposto per iscritto, né che il datore fornisca contestualmente le motivazioni. Egli sarà però tenuto a motivare il provvedimento nel caso in cui il lavoratore chieda di conoscere i motivi.
Infine va ricordato che, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 32, comma 3, della legge 4 novembre 2010, n. 183, il trasferimento deve essere impugnato, con qualsiasi atto scritto, entro 60 giorni dalla data di ricezione della sua comunicazione. L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 180 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Se la conciliazione o l’arbitrato richiesti sono rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice va depositato a pena di decadenza entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore