Lavoro e HR

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Licenziamento collettivo: aumentano le indennità

Con l’emanazione del D.L. 12 luglio 2018, n. 87, anche il licenziamento collettivo dei lavoratori assunti “a tutele crescenti” ai sensi del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, ha subito qualche modifica.
 
I dipendenti in questione sono i seguenti:

a) operai, impiegati o quadri, assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015;

b) contratti a termine o in apprendistato “convertiti” a tempo indeterminato dalla stessa data;

c) dipendenti, anche se assunti in precedenza, di un datore che, con nuove assunzioni “stabili” dal 7 marzo 2015, passa da 15 a 16 (o da 60 a 61) unità.

 
Fermo che, in caso di licenziamento collettivo intimato non in forma scritta, si applica la reintegrazione nel posto più il pagamento di un’indennità minima di 5 mensilità dell’ultima retribuzione per il TFR, va però anche ricordato che (con riguardo alla legge n. 223/1991) ulteriori violazioni possono riguardare il licenziamento collettivo intimato non rispettando:

b) la procedura sindacale di cui all’art. 4, co. 12;

c) i criteri di scelta ex 5, co. 1, previsti da contratti collettivi ovvero i seguenti: carichi di famiglia; anzianità; esigenze tecnico produttive e organizzative.

Ebbene, nelle ultime due ipotesi citate si applica il regime di cui all’articolo 3, co. 1, del D.Lgs. n. 23/2015. Tuttavia, poiché il decreto dignità ha modificato tale norma, per i licenziamenti collettivi effettuati dal 14 luglio 2018, il datore sarà condannato a pagare un’indennità non soggetta a contributi pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il TFR per ogni anno di servizio, in misura non inferiore a 6 (prima solo 4) e non superiore a 36 (prima solo 24) mensilità. In pratica, la misura minima e quella massima aumentano del 50%.
 
 
 
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore

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