Unioni civili: le novità per i datori di lavoro
Dopo un serrato confronto tra le varie “anime” del parlamento e della società è stata emanata la legge 20 maggio 2016, n. 76, che regolamenta (quale specifica formazione sociale) le unioni civili tra persone dello stesso sesso e le convivenze. In base a tale disposizione, due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni; il funzionario la registra quindi nell’archivio dello stato civile istituito presso il comune.
L’unione civile tra persone dello stesso sesso è certificata dal documento attestante la costituzione dell’unione, che specifica: i dati anagrafici delle parti; il regime patrimoniale e la loro residenza; i dati anagrafici e la residenza dei testimoni. Mediante dichiarazione all’ufficiale di stato civile, le parti possono stabilire di assumere, per la durata dell’unione civile, un cognome comune, con libera scelta tra i loro cognomi.
Costituendo l’unione civile, le parti acquistano gli stessi diritti e i medesimi doveri; dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione; inoltre entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni. Le parti concordano l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune (tale elemento deve essere conosciuto da parte del datore, per esempio per quanto riguarda l’effettuazione delle visite domiciliari di controllo in caso di assenza per malattia). In mancanza di diversa previsione, il regime patrimoniale dell’unione civile è costituito dalla comunione dei beni.
E’ espressamente previsto che, in caso di decesso del lavoratore, le indennità di cui agli artt.:
– 2118 cod. civ., ossia l’indennità sostitutiva del preavviso, che deve essere erogata da parte del datore di lavoro in misura equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso;
– 2120 cod. civ., il quale dispone che, in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto a un trattamento di fine rapporto;
devono corrispondersi anche alla parte dell’unione civile.
Ma non basta, l’art. 1, co. 25, della nuova legge stabilisce che si applicano anche altre disposizioni, alcune delle quali, per quanto riguarda il rapporto di lavoro, sono contenute nella legge 1° dicembre 1970, n. 898, con particolare riguardo agli articoli 12-bis e 12-ter.
LEGGE 1° DICEMBRE 1970, N. 898
Articolo 12-bis, legge 898/1970 – Percentuale dell’indennità di fine rapporto)
1. Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza.
2. Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.
Articolo 12-ter, legge n. 898/1970 – Attribuzione della pensione di reversibilità
1. In caso di genitori rispetto ai quali sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, la pensione di reversibilità spettante ad essi per la morte di un figlio deceduto per fatti di servizio è attribuita automaticamente dall’ente erogante in parti eguali a ciascun genitore.
2. Alla morte di uno dei genitori, la quota parte di pensione si consolida automaticamente in favore dell’altro.
3. Analogamente si provvede, in presenza della predetta sentenza, per la pensione di reversibilità spettante al genitore del dante causa secondo le disposizioni di cui agli art. 83 e 87 del DPR 29.12.1973, n. 1092.
Disposizioni sul matrimonio: l’art. 1, co. 20, stabilisce che le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e quelle contenenti le parole: “coniuge”; “coniugi”; o termini equivalenti; ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti, negli atti amministrativi e nei contratti collettivi (inclusi quelli aziendali), si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso (eccezion fatta che per le adozioni).
Risoluzione del rapporto: dato che le disposizioni sul matrimonio (e sul licenziamento discriminatorio per ragioni legate al sesso) si applicano anche alle parti dell’unione civile, va ricordato che il D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198, all’art. 35 dispone quanto segue:
1) le clausole di qualsiasi genere, contenute nei contratti individuali e collettivi, o in regolamenti, che prevedano la risoluzione del rapporto delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio sono nulle e si hanno per non apposte;
2) del pari nulli sono i licenziamenti attuati a causa di matrimonio;
3) salvo le ipotesi ammesse (es. giusta causa), si presume che il licenziamento della dipendente nel periodo tra il giorno della richiesta delle pubblicazioni, in quanto segua la celebrazione, a 1 anno dopo la celebrazione stessa, sia stato disposto per causa di matrimonio;
4) sono nulle le dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo di cui sopra, salvo che siano da lei confermate entro 1 mese alla DTL;
5) il datore può provare che il licenziamento, avvenuto nel periodo vietato, è stato effettuato non a causa di matrimonio, ma per giusta causa; cessazione attività aziendale; ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o scadenza del termine;
6) con il provvedimento che dichiara la nullità dei licenziamenti di cui sopra è disposta la corresponsione, a favore della lavoratrice, della retribuzione globale di fatto sino al giorno della riammissione in servizio;
7) la lavoratrice che, invitata a riassumere servizio, dichiari di recedere, ha diritto al trattamento per le dimissioni per giusta causa, fermo il diritto alla retribuzione fino alla data del recesso: il recesso deve essere esercitato entro 10 giorni dal ricevimento dell’invito;
8) le disposizioni precedenti si applicano sia alle lavoratrici dipendenti da imprese private di qualsiasi genere, escluse quelle addette ai servizi familiari e domestici, sia a quelle dipendenti da enti pubblici, salve le clausole di miglior favore previste per le lavoratrici nei contratti collettivi e individuali e nelle disposizioni legislative e regolamentari.
Per le dimissioni nei casi di cui sopra, la conferma davanti alla DTL deve essere preceduta dall’invio del nuovo modulo telematico.
Permessi e Part time: l’equiparazione dell’unione civile al matrimonio, oltre al fatto che la parte dell’unione civile ha diritto ai permessi per l’assistenza al partner disabile (legge n. 104/1992), comporta che ciascuna delle 2 parti dell’unione civile:
a) può revocare il consenso alla prestazione di lavoro secondo la clausola elastica, se il partner è affetto da patologie oncologiche o da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti;
b) gode della priorità nella trasformazione da tempo pieno a part time nel caso di patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti riguardanti il “coniuge”.
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore.