Vittime di violenza di genere: congedo per le dipendenti e le co.co.co.
La tutela per le donne vittime di violenza di genere riguarda anche il diritto del lavoro: prima di esaminare le disposizioni che sono state recentemente introdotte da parte del Jobs Act, dobbiamo però ricordare la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con risoluzione 48/104 del 20 dicembre 1993, il cui articolo 1 dispone che “l’espressione “violenza contro le donne” significa ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata”.
Va poi citata la Convenzione di Istanbul del 2011, nell’ambito della quale si prevede che la violenza sulle donne è riconosciuta come forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione.
Infine, come precisa il sito internet del Ministero dell’Interno, “con l’espressione violenza di genere si indicano tutte quelle forme di violenza, da quella psicologica e fisica a quella sessuale, dagli atti persecutori del cosiddetto stalking allo stupro, fino al femminicidio, che riguardano un vasto numero di persone discriminate in base al sesso”.
Nel nostro ordinamento tali principi sono stati trasfusi prima nella legge 15 ottobre 2003, n. 119 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 14 agosto 2013, n. 93), e da ultimo nell’articolo 24 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80, disposizione che riguarda assai da vicino i datori di lavoro e i committenti.
Va subito precisato che le disposizioni normative che stiamo per esporre – assai diversificate tra dipendenti e collaboratrici – valgono salvo che il contratto collettivo non ne preveda altre, che siano più favorevoli per la donna.
Per quanto concerne, in particolare, la prima situazione, viene previsto che la lavoratrice dipendente, la quale abbia in corso un rapporto di lavoro subordinato di natura tanto privata quanto pubblica, con la sola eccezione delle lavoratrici domestiche, e che sia inserita nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, debitamente certificati dai seguenti organismi:
a) servizi sociali del comune di residenza;
b) centri antiviolenza; o, infine
c) case rifugio ex art. 5-bis del decreto legge 14 agosto 2013, n. 93 (convertito dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119);
ha il diritto di astenersi dal lavoro per motivi connessi al percorso di protezione per un periodo massimo di 3 mesi, percependo un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione.
Sulla norma di legge è recentemente intervenuto l’Inps il quale – nella circolare 15 aprile 2016, n. 65 – ha precisato che il congedo spetta a condizione che la donna (oltre a essere inserita nei percorsi certificati di cui appena sopra), risulti anche titolare di un rapporto di lavoro che sia in corso di svolgimento: è quindi necessario che vi sia l’obbligo di prestare attività lavorativa, in quanto il congedo è fruibile solo in coincidenza di giornate di prevista attività lavorativa. Per maggior dettaglio si veda la tabella che segue.
Durata del congedo |
Massimo 3 mesi, equivalenti a 90 giornate di prevista attività lavorativa: ne discende che 1 mese di congedo equivale a 30 giornate di astensione effettiva dal lavoro. |
Modalità di fruizione |
Il congedo non è fruibile o indennizzabile nei giorni in cui non vi è l’obbligo di prestare attività lavorativa (es. festivi non lavorativi, periodi di aspettativa o di sospensione dell’attività, pause contrattuali nei rapporti a tempo parziale di tipo verticale o misto). Se la lavoratrice lavora 5 giorni alla settimana e indica un periodo di congedo per 2 settimane continuative, il sabato e la domenica compresi tra le 2 settimane non sono conteggiati né indennizzati. |
Scadenza | I 3 mesi di congedo (pari a 90 giornate) devono essere fruiti entro 3 anni: tale periodo decorre dalla data di inizio del percorso di protezione certificato. |
L’assenza per congedo è coperta da un’indennità giornaliera pari al 100% dell’ultima retribuzione, più la contribuzione figurativa in base agli elementi ricorrenti e continuativi della retribuzione persa nel periodo, nelle giornate oppure ore di congedo.
L’indennità è anticipata dal datore di lavoro con le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità (il pagamento è effettuato direttamente da parte dell’Inps nel caso di operaie agricole, stagionali, lavoratrici dello spettacolo a termine ovvero a prestazione); il datore di lavoro, nella denuncia contributiva, detrae l’importo dell’indennità anticipata alla dipendente dall’importo dei contributi previdenziali dovuti all’ente. Inoltre, come precisato dall’Inps, il periodo di assenza dal lavoro fruito a titolo di congedo viene computato nell’anzianità di servizio, nonché ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima e del TFR.
Il congedo del quale ci stiamo occupando può essere usufruito su base oraria o giornaliera nell’arco temporale di 3 anni, secondo quanto previsto in materia da parte degli accordi collettivi nazionali stipulati dalle associazioni sindacali che siano comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
In caso di mancata regolamentazione, da parte della contrattazione collettiva, la dipendente può scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria.
La fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo; da ciò discende che, se l’orario medio giornaliero del mese precedente è pari a 8 ore, l’assenza oraria in un giorno di lavoro deve essere pari a 4 ore, a prescindere dall’articolazione settimanale del medesimo orario di lavoro.
Quanto alle modalità pratiche, la lavoratrice, salvo casi di oggettiva impossibilità, è tenuta a preavvisare il datore di lavoro con almeno 7 giorni di preavviso – indicando la data di inizio e di cessazione del periodo di congedo – nonché a produrre la certificazione rilasciata dai servizi sociali del Comune di residenza, dai Centri antiviolenza o dalle Case rifugio.
Analogo obbligo deve essere osservato nei confronti dell’Inps: infatti, onde consentire all’Istituto di condurre le proprie verifiche, la lavoratrice deve far domanda alla Struttura territoriale, di regola prima dell’inizio del congedo o, al limite, anche lo stesso giorno di inizio dell’astensione.
La domanda, fino a che non sarà pronto un apposito modulo telematico, deve essere presentata in modalità cartacea utilizzando il modello avente il codice “SR165”, disponibile sul sito internet dell’Istituto previdenziale, e quindi all’indirizzo web www.inps.it.
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore.