Corte di Cassazione – Obbligo dell’utilizzo degli strumenti informatici per il professionista
La Suprema Corte di Cassazione – con la recente pronuncia n. 22320 del 25 settembre 2017 – ha avuto modo di occuparsi del rapporto fra il professionista che opera nell’ambito delle procedure giudiziarie ed il mondo dell’informatica.
In passato, infatti, più di una volta gli Avvocati e gli altri professionisti che prendono parte – ad esempio in qualità di Consulenti Tecnici d’Ufficio – al Processo Civile Telematico, si sono lamentati dell’illegittimità del ricorso obbligatorio a strumenti informatici per il corretto adempimento dei doveri connessi alla loro attività professionale.
Nel caso oggetto della pronuncia in esame, infatti, un Avvocato ricorreva alla Suprema Corte per chiedere la cassazione di una pronuncia del Tribunale di Lecco con la quale – il Giudice di Merito – aveva respinto un’opposizione agli esecutivi fondata su un asserito vizio della notifica di due precetti.
Tali precetti, difatti, erano stati notificati via PEC ex Legge 53/1994 e sottoscritti digitalmente in formato CADES-BES e pertanto riportanti estensione .P7M. Il ricorrente, quindi, lamentava l’impossibilità di prendere piena visione dei precetti de quibus poiché non dotato di sistemi idonei ad aprire e leggere documenti recanti tale estensione, ed eccepiva altresì la violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione stante l’asserita differenza sostanziale con le notifiche cartacee che, in quanto tali, non necessitano di strumenti per la decodifica e la lettura del documento.
La Suprema Corte, chiamata a decidere della questione sopra riassunta, ha ritenuto il ricorso infondato, giustificando tale rigetto con una puntuale riflessione non solo di carattere normativo ma soprattutto di tipo sociale.
Gli Ermellini hanno ritenuto che “il corpus di norme, anche tecniche e di rango secondario, su cui si basa il c.d. processo telematico ha reso possibile e pertanto legittimo, ma anzi via via talvolta perfino indispensabile in quanto necessario perché unico strumento valido per la formazione dell’atto o lo sviluppo della fase processuale, l’impiego di particolari strumenti informatici – di hardware e di software (vale a dire, secondo una definizione non tecnica, ma linguistica, di quei componenti rispettivamente strutturali o fissi e modificabili di un sistema o di un apparecchio e, più specificamente in informatica, l’insieme delle macchine che sostengono e dei programmi che possono essere impiegati su un sistema di elaborazione dei dati) tanto per la formazione che per la notificazione dell’atto…” aggiungendo poi che “…ad oggi (ma con disposizioni di contenuto sostanzialmente analogo a quelle previgenti ed applicabili ai precetti resi oggetto delle opposizioni per cui è causa), il formato dell’atto del processo in forma di documento informatico è regolato, in via di sostanziale delegificazione, dall’art. 12 del Provvedimento 28/12/2015 del Direttore Generale per i sistemi informativi automatizzati (DGSIA) del Ministero della Giustizia in forza dell’art. 11 del decreto del Ministro della Giustizia del 21/02/2011, n. 44”
Da un lato, quindi, la Suprema Corte stabilisce come oggi l’impiego di strumenti informatici sia indispensabile al fine di un corretto svolgimento dell’attività professionale e dall’altro richiama direttamente la normativa tecnica prevista in materia di formato degli atti al fine di legittimare l’utilizzo dei file con estensione P7M nell’attività di notificazione in proprio via PEC.
Si ricorda, infatti, che in virtù delle norme sopra citate la struttura del documento firmato digitalmente, e nel caso di specie oggetto di notificazione, deve essere obbligatoriamente PAdES-BES (o PAdES Part 3) o CAdES-BES e, in quest’ultimo caso, recherà estensione P7M.
In virtù di tale contesto normativo, prosegue la Cassazione, posto che oggi è permesso l’utilizzo della PEC e degli strumenti digitali in generale per procedere ad una corretta notificazione degli atti giudiziari, appare chiaro come divenga onere del destinatario dotarsi “degli strumenti minimali per leggere una notifica che quei requisiti rispetti: altrimenti pervenendosi alla bizantina o assurda conclusione che sarebbe lecito per il notificante eseguire un’attività completamente inutile o la cui funzionalità od utilità sarebbero rimesse alla mera condiscendenza o buona volontà o discrezionalità del destinatario, ciò che contraddice ogni principio processuale, prima che lo stesso buon senso; né può dirsi che, nell’attuale contesto di diffusione degli strumenti informatici ed in ogni caso delle telecomunicazioni con tali mezzi, quello che consenta di leggere correntemente il formato di un atto notificato nel rispetto di quelle regole, corrispondenti a standard tecnici minimi ed adeguatamente diffusi e pubblicizzati, comporti, per un professionista legale quale ordinario ovvero normale destinatario di quelle regole, un onere eccezionale od eccessivamente gravoso: integrando piuttosto la dotazione di quegli strumenti un necessario complemento dello strumentario corrente della sua attività quotidiana e, quindi, un adminiculum ormai insostituibile per l’esercizio corrente della sua professione, attesa l’immanente e permanente quotidiana possibilità dell’impiego, da parte sua o nei suoi confronti, degli strumenti tecnici consistenti nella notifica col mezzo telematico di atti, soprattutto processuali; e salva beninteso l’allegazione e la prova, da valutarsi con il necessario rigore, del caso fortuito, come in ipotesi di malfunzionamenti del tutto incolpevoli ed imprevedibili, comunque non imputabili, nemmeno con la diligenza professionale legittimamente esigibile, al professionista coinvolto.”
Nessuna contrarietà agli articoli 3 e 24 della Costituzione viene, quindi, ravvisata dalla Suprema Corte posto che, l’”onere per il destinatario di dotarsi degli strumenti necessari per leggere o decodificare i messaggi di posta elettronica coi quali la notifica è eseguita in conformità con le specifiche tecniche poste dalla stessa normativa, costituisce la mera evoluzione della disciplina delle notificazioni tradizionali ed il suo adeguamento al mutato contesto tecnologico ed alle relative esigenze legate al contesto di operatività del professionista legale”.
Concludendo – quindi – gli Ermellini hanno stabilito con chiarezza, tramite la pronuncia in esame, come l’evoluzione della società in cui viviamo non possa essere ignorata da parte del professionista legale che, muovendosi ed operando all’interno di tale società, ne dovrà immancabilmente seguire l’evoluzione.
Non sono quindi le procedure giudiziarie ad essere in primis state digitalizzate, è – semmai – il mondo in cui viviamo ad essersi evoluto e modificato nel corso degli ultimi anni e, necessariamente, il professionista non potrà che accompagnare il cambiamento iniziando ad adoperare gli strumenti necessari per adeguarsi a questa nuova frontiera lavorativa.
A cura di Luca Sileni – Avv.to iscritto all’ordine di Grosseto referente informatico dell’ODA di Grosseto e Segretario del Centro Studi Processo Telematico