Processo civile telematico

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Processo Civile Telematico in Corte di Cassazione: problematiche interpretative

A decorrere dal 31 marzo 2021 è possibile depositare telematicamente – in via facoltativa – atti giudiziari presso la Suprema Corte di Cassazione. Come è noto tale facoltà, almeno stando alla normativa attuale, sarà permessa solo fino alla fine dello stato di emergenza da Covid-19. Ciò premesso, però, l’avvento del deposito telematico in Cassazione reca con sé alcune problematiche di tipo interpretativo con importanti ricadute di ordine pratico, vediamo quali.

Innanzitutto, come è noto, qualora si sia provveduto alla notificazione in via telematica del ricorso o del controricorso in Cassazione, si dovrà poi provvedere al deposito dell’atto notificato con le relative prove di notificazione. Prima dell’avvento del Processo Civile Telematico presso la Suprema Corte, l’atto e le ricevute PEC venivano stampate e attestate conformi ai sensi dell’art. 9 comma 1bis e 1ter della L. 53 del 1994, in particolare il comma 1bis del predetto articolo prescrive: “Qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell’atto notificato a norma dell’articolo 3-bis, l’avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell’articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.”

Il potere di autentica del difensore in relazione alla notifica, quindi, è direttamente legato all’impossibilità – anche meramente virtuale – di poter depositare telematicamente i file delle ricevute PEC. Posto che – come detto – dal 31 marzo 2021 sarà possibile effettuare il deposito in oggetto, automaticamente verrà meno la facoltà di autenticare le ricevute PEC e il difensore sarà quindi obbligato a trasmettere telematicamente alla Corte i file (.eml oppure .msg) delle ricevute digitali della notificazione.

Altro punto controverso, poi, riguarda invece la possibilità di estrarre copia e di attestare la conformità degli atti e dei provvedimenti contenuti all’interno del fascicolo digitale del procedimento pendente presso la Suprema Corte.Come è noto, il potere generale di autentica degli atti e provvedimenti contenuti nei fascicoli telematici, è oggi espressamente previsto dall’art. 16bis comma 9bis del D.L. 179/2012.

Parte della dottrina (Vitrani, Arcella) ritiene applicabile tale disposizione normativa – in via analogica – anche ai procedimenti presso la Corte di Cassazione, altri autori (Gargano e anche questo commentatore) propendono invece per un’applicazione più rigorista del dettato normativo che, proprio al comma appena citato, prescrive espressamente “Le copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice nonché dei provvedimenti di quest’ultimo, presenti nei fascicoli informatici o trasmessi in allegato alle comunicazioni telematiche dei procedimenti indicati nel presente articolo” possono essere oggetto di attestazione di conformità da parte del difensore.

Come appare lessicalmente chiaro, il comma 9bis si riferisce esclusivamente ai procedimenti di cui all’art. 16bis che, ai primi 4 commi, elenca le procedure a cui è applicata la normativa generale sul Processo Civile Telematico. A oggi tale articolo non prevede il procedimento presso la Suprema Corte di Cassazione e, di conseguenza, l’attestazione di conformità dei documenti estratti dai fascicoli telematici rimane un punto estremamente controverso in dottrina.

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