La continuità aziendale e il Codice della crisi e dell’insolvenza
Un adeguato sistema informativo favorisce l’acquisizione di informazioni utili a intercettare i segnali di una crisi d’impresa. Gli strumenti di allerta e prevenzione dello stato di insolvenza permettono di veicolare al meglio il flusso delle informazioni a vantaggio di decisioni e azioni tempestive da parte del management aziendale. Con l’entrata in vigore del Codice della crisi e dell’insolvenza, le imprese avranno a disposizione una serie di strumenti che, rispondendo alle sollecitazioni del sistema di allerta, permetteranno la lettura dei fenomeni in corso, al fine di scongiurare e/o risolvere uno stato di crisi che possa rendere probabile l’insolvenza del debitore.
- Codice della crisi e dell’insolvenza: obiettivi e procedure
- Le cause scatenanti la crisi d’impresa
- La crisi d’impresa e il principio della continuità aziendale
- Il principio della continuità e il documento interpretativo n. 8 dell’Organismo Italiano di Contabilità
- Altri approfondimenti sulla crisi d’impresa
- FAQ correlate
Codice della crisi e dell’insolvenza: obiettivi e procedure
Tra i principali obiettivi del Codice della crisi e dell’insolvenza vi è indubbiamente quello di offrire all’impresa una serie di strumenti utili a intercettare i prodromi di uno stato di difficoltà, sia da un punto di vista reddituale, che patrimoniale e/o finanziario. L’entrata in vigore, inizialmente prevista per il 15 agosto 2020, causa pandemia, è stata spostata in un primo momento al 1° settembre 2021 (art. 5 del D.L. 23/2020, c.d. “decreto liquidità”, convertito in L. 40/2020) e, definitivamente, al 15 luglio 2022.
Il Codice della Crisi, introdotto con il D.Lgs. n. 14/2019, muove in un’ottica di continuità aziendale, privilegiando la ristrutturazione delle imprese, che ha origine da un sistema di prevenzione di una condizione di insolvenza, attraverso la lettura di eventi passati e di scenari futuri, al fine di favorire interventi tempestivi, capaci di rilevare, prima, e sanare, in seconda istanza, uno stato di crisi.
In quest’ottica, con la presente rubrica, da una rilettura non convenzionale del Codice della crisi, quasi a voler disegnare una mappa concettuale, ci si vuole soffermare sulle procedure rinvenibili nel Codice sotto un duplice aspetto: giuridico ed economico-aziendale.
Parlando di profilo giuridico, la “rinnovata” responsabilità dell’imprenditore, richiamata dall’art. 2086 del codice civile e riproposta nell’art. 3 del CCII, rappresenta il primo passaggio alla base delle procedure di attivazione della risoluzione della crisi d’impresa, attraverso l’istituto della composizione negoziata (Titolo II, Capo I) e gli strumenti di regolazione della crisi (Titolo IV).
Da un punto di vista economico-aziendale, partendo dalle ultime indicazioni richiamate nel Codice della crisi, ci si soffermerà sulle procedure di analisi dello stato di insolvenza, portando all’attenzione del lettore le potenzialità di strumenti utili ad approfondire le indagini di natura reddituale, patrimoniale e finanziaria dell’impresa.
Prima di passare in rassegna quanto sopra esposto si è ritenuto doveroso fare un breve richiamo alle possibili cause scatenanti la crisi d’impresa nonché al principio della continuità aziendale in un’ottica di breve, medio e lungo periodo.
Le cause scatenanti la crisi d’impresa
Il rinnovato art. 2 lettera a) del Codice della crisi fornisce una definizione di crisi rubricando “crisi: lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi.
Alla base dell’individuazione delle cause scatenanti una condizione di crisi, vi è sicuramente un adeguato sistema informativo, poiché in esso sono ricomprese le informazioni grazie alle quali è possibile analizzare, da un punto di vista quali-quantitativo, un determinato “fenomeno o evento” aziendale. Qualunque evento è frutto di decisioni e azioni, correlate in un rapporto di causa-effetto. In tal senso, ogni decisione genera una o più azioni, a cui si correla la “causa”, il perché, di un determinato fenomeno; la causa, a sua volta, dà origine alla conseguenza o meglio all’”effetto”, che rappresenta la componente rilevabile del fenomeno indagato. La causa può chiarire l’effetto prodotto, purché causa ed effetto non vengano confuse o sovrapposte.
La difficoltà maggiore, parlando di crisi aziendale, è che spesso l’effetto, ovvero il momento esteriore della crisi (problema), viene confuso con la causa che lo ha determinato. Per risalire alla causa della crisi, è necessario innanzitutto circoscrivere l’informazione, in quanto è solo l’informazione che esprime il dato utile a un approfondimento sulle condizioni e sullo stadio della crisi aziendale. A titolo esemplificativo, l’”effetto” del mancato incasso, non rappresenta la “causa”, che è invece data dalla scelta (decisione) sbagliata di vendere (azione) a un cliente non affidabile.
Crisi d’impresa: cause di tipo primario
Tre le cause di tipo primario ricordiamo:
- cause esterne, riferibili a fenomeni esterni all’azienda e non facilmente controllabili, quali, ad esempio la crisi del settore in cui si opera, piuttosto che il fallimento di un cliente che garantiva cospicui fatturati, l’ingresso di un nuovo concorrente di cui si era sottovalutata la potenzialità;
- cause interne, riconducibili, invece, al sub-sistema organizzativo, gestionale e informativo dell’impresa. Si tratta, in buona sostanza, di variabili su cui è più facile intervenire, poiché maggiormente controllabili rispetto alle variabili esterne. A titolo esemplificativo, si pensi alla sostituzione di un macchinario che garantisce una tecnologia più performante, piuttosto che alla struttura informatica resa più efficiente per agevolare il trasferimento di informazioni utili alle decisioni del management;
- cause soggettive, richiamando le conoscenze e le competenze inadeguate del management, o gli errori di valutazione nel processo decisionale e operativo;
- cause oggettive, che esulano dalla persona titolare (o manager), ma che, in ogni caso, ricadono sull’impresa in crisi. Esse possono essere riferite a variabili esterne o interne all’impresa.
Crisi d’impresa: cause di tipo secondario
Alle cause di tipo primario, appena descritte, fanno seguito le cause di tipo secondario, quali:
- cause per disequilibri reddituali, che interessano la redditività dell’impresa, l’aspetto della produttività, l’autosufficienza economica e, più in generale, l’equilibrio tra ricavi e costi;
- cause per squilibri patrimoniali, che concernono la non adeguata correlazione tra investimenti in essere, fabbisogno finanziario e fonti di finanziamento;
- cause per squilibri finanziari, che riguardano la giusta sincronizzazione tra entrate e uscite monetarie in un’ottica di pianificazione finanziaria.
Crisi d’impresa: altre cause
Oltre alle cause di tipo primario e secondario, alcuni studiosi classificano le cause della crisi d’impresa in:
- cause da inefficienza, con riferimento all’impiego dei fattori produttivi e la loro scarsa ottimizzazione;
- cause da sovracapacità/rigidità, correlata alla dinamica dell’attività strategica dell’impresa e alla sua capacità produttiva non sempre adeguata. Una domanda di prodotti o servizi inferiore rispetto all’effettiva offerta può produrre un sovradimensionamento e una certa rigidità anche in relazione all’incidenza maggiore dei costi fissi sui costi variabili;
- cause da decadimento dei prodotti o da carenza di innovazione, che trae origine dalla gestione del portafoglio prodotto, dalla necessità fisiologica di apportare innovazione di prodotto e di processo all’interno dell’impresa;
- cause da carenza di programmazione, che si ricollega alla scarsa attenzione alla programmazione e, più specificatamente, alla budgettizzazione e alla reportistica riferita alle differenti attività dell’azienda;
- cause da passaggio generazionale, che si verificano nel momento in cui, per anzianità dell’imprenditore o altro motivo, vi è il passaggio dell’azienda alle nuove generazioni. Un fenomeno, quest’ultimo, che è molto avvertito nel nostro Paese considerando la presenza di molte PMI.
La crisi d’impresa e il principio della continuità aziendale
Individuare le possibili cause, permette di comprendere in modo più efficace lo stato di crisi in cui versa l’impresa, nel rispetto del principio della continuità economica aziendale. A tal proposito, la continuità aziendale è valutata sulla scorta di informazioni di contenuto gestionale e va letta come l’attitudine dell’impresa a operare in un contesto di normale funzionamento per un arco temporale di almeno dodici mesi. Di contro, la perdita di continuità aziendale rappresenta il preludio di una condizione di crisi, da cui l’insolvenza dell’impresa, che è da intendersi come l’incapacità permanente e irreversibile dell’azienda di far fronte alle proprie obbligazioni.
Il concetto di continuità è richiamato, in modo “indiretto”, dall’art. 2423-bis, in cui indicando i principi di redazione di bilancio, si dice che “la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato”. Il concetto di “prospettiva della continuazione dell’attività” fa riferimento proprio all’attitudine dell’azienda di generare flussi reddituali, che trasformandosi in flussi finanziari garantiscono la remunerazione dei fattori produttivi impiegati sia in un’ottica di breve che di medio e lungo periodo. Da canto suo, la “funzione economica dell’elemento dell’attivo e del passivo” è rappresentativa dell’armonizzazione dei fattori produttivi a breve e medio lungo ciclo di utilizzo, atti a supportare la gestione dell’impresa al fine ultimo di generare reddito e quindi ricchezza.
Oltre al Codice civile, di continuità si parla, in misura rilevante, anche nel principio contabile OIC 11, nei paragrafi 21-24, così come nel principio di revisione (ISA) n. 570.
Nello specifico, l’OIC 11 al paragrafo 21 recita “L’articolo 2423-bis, comma 1, n. 1, del codice civile, prevede che la valutazione delle voci di bilancio sia fatta nella prospettiva della continuazione dell’attività e quindi tenendo conto del fatto che l’azienda costituisce un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito. Nella fase di preparazione del bilancio, la direzione aziendale deve effettuare una valutazione prospettica della capacità dell’azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito per un prevedibile arco temporale futuro, relativo a un periodo di almeno dodici mesi dalla data di riferimento del bilancio”. Dalla lettura dell’inciso, è chiara l’enfasi che viene data al principio di continuità aziendale con una prospettiva di “almeno dodici mesi”, non escludendo, pertanto, l’ipotesi che la medesima venga inquadrata in un arco temporale ben più ampio. Seguendo quest’accezione, il medesimo principio, lo si può leggere nel potenziale reddituale, patrimoniale e finanziario che l’impresa sarà in grado di esprimere nell’arco temporale che segnerà la sua intera vita.
Il Documento 570 riproduce più di altri il concetto di continuità aziendale con particolare riferimento all’analisi finanziaria, fondamento del Codice della Crisi. Nel documento n. 570, infatti, è chiaro il richiamo alle dinamiche monetarie attraverso una “proposta” di una serie di indici e indicatori di natura finanziaria, gestionale, oltreché di indicatori di natura qualitativa.
Elenchiamoli brevemente:
Indicatori finanziari
- situazione di deficit patrimoniale o di capitale circolante netto negativo;
- prestiti a scadenza fissa e prossimi alla scadenza senza che vi siano prospettive verosimili di rinnovo o di rimborso; oppure eccessiva dipendenza da prestiti a breve termine per finanziare attività a lungo termine;
- indicazioni di cessazione del sostegno finanziario da parte dei finanziatori e altri creditori;
- bilanci storici o prospettici che mostrano cash flow negativi;
- principali indici economico-finanziari negativi;
- mancanza o discontinuità nella distribuzione dei dividendi;
- incapacità di saldare i debiti alla scadenza;
- incapacità nel rispettare le clausole contrattuali dei prestiti;
- cambiamento delle forme di pagamento concesse dai fornitori dalla condizione “a credito”alla condizione “pagamento alla consegna”;
- incapacità di ottenere finanziamenti per lo sviluppo di nuovi prodotti ovvero per altri investimenti necessari.
Indicatori gestionali
- perdita di amministratori o di dirigenti chiave senza riuscire a sostituirli;
- perdita di mercati fondamentali, di contratti di distribuzione, di concessioni o di fornitori importanti;
- difficoltà nell’organico del personale o difficoltà nel mantenere il normale flusso di approvvigionamento da importanti fornitori.
Altri indicatori
- capitale ridotto al di sotto dei limiti legali o non conformità ad altre norme di legge;
- contenziosi legali e fiscali che, in caso di soccombenza, potrebbero comportare obblighi di risarcimento che l’impresa non è in grado di rispettare;
- modifiche legislative o politiche governative dalle quali si attendono effetti sfavorevoli all’impresa.
Il principio della continuità e il documento interpretativo n. 8 dell’Organismo Italiano di Contabilità
La portata informativa del bilancio rappresenta, in questo periodo di pandemia, una variabile di grande importanza per tutelare gli interessi degli shareholder e degli stakeholder. In tal senso il legislatore, con l’art. 38 quater del D.L. “Rilancio”, si è posto come principale obiettivo quello di neutralizzare gli effetti della crisi economica sui dati contabili, dando la possibilità alle imprese OIC adopter di derogare all’art. 2423 bis con riferimento al principio della continuità per la valutazione delle poste di bilancio.
Il quadro normativo di riferimento
Tra le misure urgenti adottate dal Governo nell’anno 2020 per fronteggiare l’emergenza epidemiologica a sostegno dell’economia e delle imprese, richiamiamo la disposizione normativa, ex art. 38-quater della legge n. 77/2020 di conversione con modificazioni al D.L. n. 34/2020 (c.d. “decreto Rilancio”), rubricata “Disposizioni transitorie in materia di principi di redazione del bilancio”. L’articolo 38-quater va a sostituire le indicazioni riportate nell’art. 7 del D.L. n. 23/2020 (c.d. “decreto Liquidità”), chiarendone e ampliandone i contenuti. L’intervento del legislatore, così come già sottolineato nella relazione illustrativa del D.L. n. 23/2020 (decreto “Liquidità”), ampliato nei contenuti in sede di conversione (L. n. 77/2020) del D.L n. 34/2020 (decreto “Rilancio”), ha come principale obiettivo quello di neutralizzare gli effetti della crisi economica, in termini di valutazione delle poste di bilancio non più rispondenti ai principi di continuità preservando, nel contempo, la valenza informativa del bilancio a vantaggio sia degli shareholder che degli stakeholder.
In tal senso, è infatti bene sottolineare come la valenza informativa del documento contabile, quale il bilancio di esercizio, costituisce una variabile da salvaguardare per permettere ai portatori di interessi, interni ed esterni all’impresa, di avere dei dati su cui fondare le proprie decisioni. A titolo esemplificativo e non esaustivo, si pensi all’utilità che ne potrebbe trarre un istituto di credito, piuttosto che un fornitore, ovvero i soci di minoranza o i dipendenti.
Nella tabella a seguire riportiamo i due testi di legge, dal cui confronto è evidente l’ampliamento della portata normativa del secondo rispetto al primo:
Art. 7 del D.L. n. 23/2020 (decreto Liquidità) in vigore fino al 18 luglio 2020 | Art. 38 – quater della L. n. 77/2020 del convertito D.L. n. 34/2020 (decreto Rilancio) |
Disposizioni temporanee sui principi di redazione del bilancio 1. Nella redazione del bilancio di esercizio in corso al 31 dicembre 2020, la valutazione delle voci nella prospettiva della continuazione dell’attività di cui all’articolo 2423-bis, comma primo, n. 1), del codice civile può comunque essere operata se risulta sussistente nell’ultimo bilancio di esercizio chiuso in data anteriore al 23 febbraio 2020, fatta salva la previsione di cui all’articolo 106 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18. Il criterio di valutazione è specificamente illustrato nella nota informativa anche mediante il richiamo delle risultanze del bilancio precedente. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai bilanci chiusi entro il 23 febbraio 2020 e non ancora approvati. | Disposizioni transitorie in materia di principi di redazione del bilancio 1. Nella predisposizione dei bilanci il cui esercizio è stato chiuso entro il 23 febbraio 2020 e non ancora approvati, la valutazione delle voci e della prospettiva della continuazione dell’attività di cui all’articolo 2423 -bis, primo comma, numero 1), del codice civile è effettuata non tenendo conto delle incertezze e degli effetti derivanti dai fatti successivi alla data di chiusura del bilancio. Le informazioni relative al presupposto della continuità aziendale sono fornite nelle politiche contabili di cui all’articolo 2427, primo comma, numero 1), del codice civile. Restano ferme tutte le altre disposizioni relative alle informazioni da fornire nella nota integrativa e alla relazione sulla gestione, comprese quelle relative ai rischi e alle incertezze concernenti gli eventi successivi, nonché alla capacità dell’azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito. 2. Nella predisposizione del bilancio di esercizio in corso al 3 dicembre 2020, la valutazione delle voci e della prospettiva della continuazione dell’attività di cui all’articolo 2423 -bis, primo comma, numero 1), del codice civile può comunque essere effettuata sulla base delle risultanze dell’ultimo bilancio di esercizio chiuso entro il 23 febbraio 2020. Le informazioni relative al presupposto della continuità aziendale sono fornite nelle politiche contabili di cui all’articolo 2427, primo comma, numero 1), del codice civile anche mediante il richiamo delle risultanze del bilancio precedente. Restano ferme tutte le altre disposizioni relative alle informazioni da fornire nella nota integrativa e alla relazione sulla gestione, comprese quelle relative ai rischi e alle incertezze derivanti dagli eventi successivi, nonché alla capacità dell’azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito. 3. L’efficacia delle disposizioni del presente articolo è limitata ai soli fini civilistici. |
A partire da queste prime considerazioni si inseriscono le ulteriori indicazioni fornite dell’Organismo Italiano di Contabilità con il documento interpretativo n. 8 rubricato “Disposizioni transitorie in materia di principi di redazione del bilancio (continuità aziendale)”, al fine di agevolare il percorso di lettura e interpretazione dei contenuti dell’art. 38 quater, della L. n. 77/2020. Si tratta di un documento già in pubblica consultazione dal novembre 2020 e definitivamente approvato a marzo 2021.
Gli ambiti di applicazione per la chiusura dei bilanci in deroga all’art. 2423 – bis
Dalla lettura combinata dell’art. 38 e del documento interpretativo n. 8, un primo elemento su cui necessita soffermarsi concerne il presupposto soggettivo, ovvero quali siano le imprese che possono derogare all’art. 2423 – bis. In tal senso, più specificatamente chiarito dall’OIC, è possibile asserire che possono derogare al principio di continuità le società che redigono i bilanci secondo le indicazioni del codice civile, quindi le società OIC adopter, oltreché le società che redigono il bilancio consolidato nel rispetto della normativa contemplata nel D. Lgs. n. 127/1991. Pertanto, si allarga la platea dei soggetti economici interessati, comprendendovi anche le capogruppo che, nel consolidato, applicano la deroga di cui sopra. Si tratta di un’interpretazione della normativa che origina dal contenuto dell’art. 38 quater, in cui il riferimento al solo 2423 bis, fuga ogni dubbio che deve trattarsi di società che, nella valorizzazione delle voci di bilancio, adottano i principi di redazione nazionali.
Passando al presupposto oggettivo, i bilanci per i quali è possibile derogare all’art. 2423 – bis, così come trattato dall’art. 38 quarter del D.L. n. 34/2020 e chiarito nel documento interpretativo n. 8 dell’OIC, sono:
- I bilanci chiusi in data successiva rispetto al 23 febbraio e prima del 31 dicembre 2020. È questo il caso dei bilanci che, ad esempio, chiudono l’esercizio amministrativo al 30 giungo 2020 (periodo esercizio amministrativo 30.06.2019-30.06.2020);
- i bilanci in corso di definizione al 31 dicembre 2020. In questa ipotesi rientrano, i bilanci chiusi al 31.12.2020 ovvero al 30.06.2021 (periodo esercizio amministrativo 30.06.2020-30.06.2021).
Fermo restando le esemplificazioni degli intervalli temporali appena evidenziati, è bene chiarire che i bilanci che ricoprono il periodo amministrativo a cavallo di due esercizi, sono considerati “bilanci in corso al 31 dicembre 2020” qualora la data di apertura o quella di chiusura dell’esercizio si colloca nell’anno della pandemia. È quanto scaturisce dal documento interpretativo dell’OIC che trae origine dalla locuzione letterale “in corso” dell’art. 38 quater.
Una differente indicazione viene invece fornita per quanto attiene i bilanci chiusi e non approvati alla data del 23 febbraio 2020. Per quest’ultimi, infatti, il primo comma dell’articolo 38 quater precisa che, la valutazione delle voci nonché la “prospettiva della continuazione dell’attività di cui all’articolo 2423-bis, primo comma, n. 1), c.c.” non deve tener conto delle incertezze e degli effetti derivanti da fatti successivi alla data di chiusura del bilancio. Pertanto, le informazioni relative alla continuità verranno riportate, secondo quanto stabilito dall’art. 2427, primo comma, n. 1), c.c., in nota integrativa nella descrizione delle politiche contabili adottate dall’impresa.
Affinché, nelle ipotesi sub a) e sub b) sopra trattate, si possa derogare all’art. 2423 bis, è indispensabile che le valutazioni delle voci dell’ultimo bilancio approvato, siano eseguite in applicazione del contenuto dei paragrafi 21 e 22 dell’OIC 11. In altri termini, qualora ci si volesse avvalere della deroga, occorre che il bilancio dell’esercizio precedente a quello chiuso al 31.12.2020 o a quello in corso al 2020, non presenti elementi richiamati dai paragrafi 23 e 24 dell’OIC 11 (in tema di scioglimento della società ai sensi degli artt. 2484 e 2485 del codice civile) e dal paragrafo 59, lettera c) dell’OIC 29, in materia di “atti successivi che possono incidere sulla continuità aziendale”. In definitiva, è fondamentale che già nel bilancio precedente a quello dell’anno della pandemia, la società non si trovasse in una condizione di non continuità. Ciò a voler rimarcare la volontà, anche da parte dell’Organismo italiano di Contabilità, di circoscrivere l’ambito della deroga ai soli effetti prodotti dagli eventi pandemici per l’esercizio 2020, escludendo la circostanza in cui l’impresa versava, nei periodi amministrativi precedenti, in condizioni di disequilibrio reddituale, patrimoniale e finanziario. Non sarebbe corretto, infatti, celare una condizione di crisi irreversibile, approfittando di un disposto normativo in risposta a una situazione di difficoltà macroeconomica.
L’informativa in bilancio della deroga adottata
La scelta dell’impresa di derogare all’art 2423 bis, primo comma, deve essere sicuramente riportata, con adeguata evidenza, nella nota integrativa all’art. 2427, comma primo punto 1), quando si parla di “criteri applicati nella valutazione delle voci del bilancio”. Necessiterà descrivere le motivazioni alla base delle difficoltà registrate, gli effetti degli avvenimenti relativi alla pandemia, le informazioni sui fattori di rischio. Sarebbe auspicabile, inoltre, descrivere in un’ottica prospettica gli eventuali piani aziendali con un orizzonte temporale di almeno dodici mesi, per valutare, ad esempio, le minacce e le opportunità relativamente al mercato di riferimento o all’ingresso in nuovi mercati, per indicare i propri punti di forza indispensabili per il fronteggiamento e superamento della crisi in corso e per il ripristino delle normali condizioni di continuità d’impresa.
È inoltre importante che nella nota integrativa vengano evidenziati i fattori di rischio intrinseco ed estrinseco, in relazione anche ad un’ipotetica cessazione di attività quale unica alternativa alla situazione economica che si sta vivendo. Così come precisato nell’art. 38 quater D.L. n. 34/2020 (c.d. “Decreto Rilancio”), in ogni caso, “Restano ferme tutte le altre disposizioni relative alle informazioni da fornire nella nota integrativa e alla relazione sulla gestione”. In tal senso, si è obbligati a non trascurare alcuna informazione richiamata negli artt. 2427 (nota integrativa) e 2428 (relazione sulla gestione), per quanto ricalibrata in relazione agli avvenimenti relativi alla crisi che deriva dall’evento Covid-19.
Altri approfondimenti sulla crisi d’impresa
FAQ correlate
- Sono previsti interventi del Governo per evitare l’adozione fedele del Codice della crisi a seguito della pandemia?
- Quali sono le modifiche apportate dal decreto Sostegni bis (D.L. 73/2021) sul recupero dell’IVA sui crediti non riscossi nelle procedure concorsuali?
- L’erogazione di finanziamenti a un’azienda in crisi potrebbe comportare una corresponsabilità degli istituti di credito?