Licenziamento per giustificato motivo oggettivo 2024: forma, comunicazione, procedura in ITL, offerta di conciliazione
Il rispetto degli obblighi formali previsti per la comunicazione del licenziamento ha un’importanza fondamentale, pena la sua nullità o inefficacia. Inoltre, il datore di lavoro, in taluni casi, è obbligato a esperire una particolare procedura presso l’Ispettorato del Lavoro ovvero ancora può formulare – per impedire l’impugnazione del licenziamento dopo che lo ha intimato – una particolare offerta di conciliazione.
- Nullità del licenziamento per GMO per difetto di forma
- Violazione dell’obbligo di indicare i motivi di licenziamento per GMO
- Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: procedura presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro
- Licenziamento per GMO: come e quando formulare l’offerta di conciliazione
- Altri approfondimenti sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo
- FAQ correlate
Nullità del licenziamento per GMO per difetto di forma
In base a quanto previsto dall’articolo 2 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro. La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato. Se il licenziamento non è stato comunicato in forma scritta, le conseguenze per il datore sono assai pesanti, a prescindere dal numero dei dipendenti occupati e dal regime applicabile, ossia senza che abbia alcuna rilevanza il fatto che si tratti di dipendenti soggetti al contratto a tutele crescenti o meno. Infatti, sia l’articolo 18, co. da 1 a 3, della legge 20 maggio 1970, n. 300, che l’articolo 2 del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, dispongono che:
a) il giudice, con la sentenza con la quale dichiara inefficace il licenziamento perché intimato in forma orale, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti da lui occupati;
b) a seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto se il lavoratore non riprende servizio entro 30 giorni dall’invito del datore, salvo che abbia richiesto l’indennità di cui alla lettera d);
c) il giudice condanna altresì il datore a risarcire il danno subìto dal lavoratore, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto (ultima retribuzione utile per il TFR, per i lavoratori a tutele crescenti) maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso, la misura del risarcimento non può essere inferiore a 5 mensilità della retribuzione. Il datore è inoltre condannato, per il medesimo periodo, a versare i contributi previdenziali e assistenziali.
d) fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto sopra, il lavoratore può chiedere al datore, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è soggetta a contributi previdenziali. La richiesta dell’indennità va effettuata entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito del datore a riprendere servizio, se anteriore a tale comunicazione.
Violazione dell’obbligo di indicare i motivi di licenziamento per GMO
Meno grave è la sanzione relativa al fatto che il datore ha sì comunicato il licenziamento in forma scritta ma non ne ha specificato i motivi. In tal caso, se il recesso è legittimo, si fa luogo solamente al pagamento di un’indennità economica per la cui quantificazione occorre distinguere tra datori “piccoli” e “grandi” e lavoratori soggetti o no al contratto a tutele crescenti: per la sintesi, si veda la tabella.
Datore | Tutele crescenti | Legge n. 604 o Statuto |
Di “minori dimensioni” * | Da 1 a 6 mensilità ultima retribuzione | Da 2,5 a 6 mensilità ultima retribuzione |
Di “maggiori dimensioni” | Da 2 a 12 mensilità ultima retribuzione | Da 6 a 12 mensilità ultima retribuzione |
* La Corte Costituzionale, con la sentenza 22 luglio 2022, n. 183, pur dichiarando infondata la questione di legittimità dell’art. 9, co. 1, del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, ha invitato il legislatore a provvedere alla rimodulazione delle indennità previste nel caso dei datori di lavoro cd. di “minori dimensioni”, adeguandole al mutato contesto economico, e adeguandole alla necessità di garantire un loro reale effetto deterrente (rispetto a eventuali abusi) nei confronti del datore di lavoro. |
Come precisa la norma, i motivi devono essere specificatamente (e non in maniera generica) indicati nella lettera con cui si comunica la risoluzione del rapporto al lavoratore.
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: procedura presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro
L’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dalla Riforma Fornero nel 2012, prevede una particolare procedura che riguarda però solamente i lavoratori non soggetti al contratto a tutele crescenti, se occupati da un datore di lavoro che ha più di 15 dipendenti nell’unità produttiva o nel comune ovvero che ne ha almeno 61 in tutta Italia. Tale norma dispone che, nel caso di cui appena sopra, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all’articolo 3, della medesima legge n. 604/1966, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro (oggi Ispettorato Territoriale del Lavoro) del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore.
In tale comunicazione, il datore deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, indicandone i motivi nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato. L’ispettorato Territoriale del Lavoro trasmette la convocazione al datore e al lavoratore nel termine perentorio di 7 giorni dalla ricezione della richiesta: l’incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile.
La comunicazione contenente l’invito si considera validamente effettuata quando:
- è recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro; ovvero
- è consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta.
Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro.
→ Nota Bene La procedura in esame non si applica in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto di cui all’articolo 2110 del codice civile, nonché per i licenziamenti e le interruzioni del rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui all’articolo 2, co. 34, della legge 28 giugno 2012, n. 92, ossia nelle seguenti ipotesi:
- licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori, in attuazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
- interruzione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere.
La procedura, durante la quale le parti, con la partecipazione attiva della commissione di conciliazione costituita presso l’ITL, procedono a esaminare anche soluzioni alternative al recesso, si conclude entro 20 giorni dal momento in cui l’Ispettorato ha trasmesso la convocazione per l’incontro, salva l’ipotesi in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo. Se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, decorso il termine di 7 giorni per la convocazione, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore. La comunicazione del licenziamento può considerarsi come contenuta – in base a una chiara manifestazione di volontà da parte del datore – dal verbale redatto dalla commissione, anche in un momento antecedente alla sua effettiva “chiusura” (Cass. ord. 22 aprile 2024, n. 10734). La mancata presentazione di una o entrambe le parti al tentativo di conciliazione è valutata dal giudice ai sensi dell’articolo 116 del codice di procedura civile (ossia ai fini della formazione della prova).
Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di NASpI e può essere previsto, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, l’affidamento del lavoratore a un’agenzia di cui all’articolo 4, co. 1, lettere a), c) ed e), del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione dell’indennità risarcitoria di cui all’articolo 18, co. 7, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e per l’applicazione degli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile (condanna alle spese). Infine, in caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare all’incontro in ITL la procedura può essere sospesa per un massimo di 15 giorni.
→ Nota Bene La violazione della procedura comporta, a carico del datore, il pagamento di una indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore, tra un minimo di 6 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Da ultimo, l’INL (si veda la Nota 16 luglio 2021, n. 5186) ha reso nota la riapertura delle procedure in ITL ex art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, prima bloccate dalle diverse norme emergenziali per il coronavirus. I datori interessati (ossia quelli di “grandi dimensioni” che intendono recedere nei confronti di un dipendente non soggetto al contratto a tutele crescenti) devono ora attivare la procedura mediante il nuovo modulo INL 20/bis.
Licenziamento per GMO: come e quando formulare l’offerta di conciliazione
La procedura in ITL non si applica ai dipendenti con contratto a tutele crescenti: per essi è stata invece prevista la cd. offerta “volontaria” di conciliazione, disciplinata dall’articolo 6 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23. Tale ultimo istituto si caratterizza per l’offerta “economica nella misura prestabilita dalla legge” che il datore di lavoro può liberamente formulare al dipendente perché questi non impugni il recesso ovvero, dopo averlo fatto, rinunci a far proseguire la vertenza (gli importi, graduati in base all’anzianità di servizio del dipendente ed esenti da contributi e imposte, vanno da 3 a 27 mensilità per i datori di maggiori dimensioni; e da 1,5 a 6 mensilità negli altri casi).
→ Nota Bene il regime delle cd. tutele crescenti si applica nei seguenti casi: operai, impiegati e quadri assunti dal 7 marzo 2015 in poi; apprendisti e contratti a termine convertiti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 in poi; tutti i dipendenti di un datore il quale, con le nuove assunzioni effettuate a partire dal 7 marzo 2015 in poi, ha raggiunto il numero di lavoratori subordinati per essere considerato di “maggiori dimensioni”.
In caso di licenziamento di un lavoratore cui si applica il contratto a tempo indeterminato “a tutele crescenti”, per evitare il giudizio e ferma la possibilità per le parti di addivenire a ogni altra modalità di conciliazione prevista dalla legge, il datore può offrire al lavoratore, nei termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento (60 giorni), in una delle sedi di cui:
- all’articolo 2113, co. 4, del codice civile (sede sindacale o Ispettorato del Lavoro); e
- all’articolo 76 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (presso una commissione di certificazione);
un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettato a contribuzione previdenziale, di ammontare pari a 1 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 3 e non superiore a 27 mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare (tali importi sono dimezzati, con un massimo di 6 mensilità, se si tratta di un datore di lavoro di minori dimensioni). L’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento anche se il lavoratore l’ha già proposta. Le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro sono soggette al regime fiscale ordinario.
Il datore che formula l’offerta di conciliazione, a prescindere dal fatto che essa sia stata accettata o rifiutata dal dipendente, deve inviare un’apposita comunicazione entro 65 giorni dalla data di cessazione del rapporto, nella quale va indicata l’avvenuta o la non avvenuta conciliazione (pena il pagamento di una sanzione amministrativa da 100 a 500 euro).
QUESTE LE MENSILITÀ DELL’OFFERTA DI CONCILIAZIONE
Anni di anzianità | Datore “grande” | Datore “piccolo” |
Da 1 a 3 | 3 | 1,5 |
4 | 4 | 2 |
5 | 5 | 2,5 |
6 | 6 | 3 |
7 | 7 | 3,5 |
8 | 8 | 4 |
9 | 9 | 4,5 |
10 | 10 | 5 |
11 | 11 | 5,5 |
12 | 12 | 6 |
Da 13 a 27 | Da 13 a 27 (1 mensilità per ogni anno di anzianità) | 6 |
Oltre i 27 | 27 | 6 |
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