Contratti atipici: le novità del Jobs Act
Non ci sono solo i licenziamenti nel piano di interventi messo in atto dal Governo dopo la legge delega n. 183/2014. Infatti, il Consiglio dei Ministri, il 20 febbraio scorso, ha presentato anche uno schema di decreto legislativo che riforma totalmente la disciplina dei contratti di lavoro “atipici” nonché il mutamento di mansioni, sinora regolato dall’articolo 2103 del codice civile. Certo, si tratta della prima versione del provvedimento, una sorta di “bozza”, dalla quale tuttavia emerge con chiarezza la direzione nella quale ci si intende muovere e, come tale, meritevole di qualche prima considerazione, sempre ricordando che il contratto subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro.
Part time – Fermo l’obbligo di stipulare per iscritto il contratto, anche se solo ai fini della prova, il decreto interverrà sul lavoro supplementare, se non diversamente previsto dal contratto collettivo, effettuabile in misura non superiore al 15% delle ore di lavoro settimanali concordate, e da remunerarsi con una percentuale di maggiorazione sull’importo della retribuzione oraria globale di fatto pari al 15%, comprensiva dell’incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti.
Nel caso in cui il contratto collettivo non contenga una disciplina delle clausole flessibili ed elastiche, le parti le possono concordare (davanti alle commissioni di certificazione) nella misura massima di aumento che non può eccedere il 25% della normale prestazione annua a tempo parziale. Le modifiche dell’orario comportano il diritto del lavoratore a vedersi maggiorare la retribuzione oraria del 15%, comprensiva dell’incidenza della retribuzione sugli istituti retributivi indiretti e differiti.
Cambia, di molto, la disciplina relativa alla trasformazione del rapporto: oltre ai lavoratori affetti da patologie oncologiche, il diritto alla trasformazione a part time spetta anche per gravi patologie cronico-degenerative. Inoltre, il lavoratore può chiedere, una sola volta, al posto del congedo parentale, la trasformazione del rapporto a tempo parziale per un periodo corrispondente, con una riduzione d’orario non superiore al 50%.
Lavoro intermittente – Il lavoro intermittente sarà ammesso in base a quanto previsto dai contratti collettivi (in difetto le attività ammesse saranno individuate con apposito decreto ministeriale), e, in ogni caso, sarà sempre possibile per i soggetti con più di 55 e con meno di 24 anni di età, fermo restando in tal caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il 25° anno di età. In ogni caso, con l’eccezione dei settori turismo, pubblici esercizi e spettacolo, il contratto intermittente è ammesso, per ogni lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo non superiore a 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari: in caso di superamento il rapporto si trasforma a tempo pieno e indeterminato.
Contratto a tempo determinato
Viene confermata la durata massima non superiore a 36 mesi, salvo deroghe da parte del contratto collettivo, anche per effetto della successione di contratti, per lo svolgimento di mansioni equivalenti, inclusi i periodi di missione, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a termine. Si introduce però una deroga di legge: infatti un altro contratto a tempo determinato fra gli stessi soggetti, della durata massima di 12 mesi, può essere stipulato presso la Direzione territoriale del lavoro competente per territorio.
Quanto alle proroghe, il testo diffuso dal Consiglio dei Ministri precisa che il termine del contratto può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, solo quando la sua durata iniziale sia inferiore a 36 mesi, e, comunque, per un massimo di 5 volte nell’arco di 36 mesi a prescindere dal numero dei contratti. Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla data della sesta proroga. Vengono poi confermate la disciplina dei limiti numerici e quella del diritto di precedenza mentre il termine per impugnare è stabilito in 120 giorni dalla cessazione del singolo contratto.
Somministrazione di lavoro
Le modifiche riguardano i limiti di impiego: infatti, salvo diversa previsione del CCNL, il numero dei lavoratori somministrati con contratto a tempo indeterminato non può eccedere il 10% di quelli a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio di ogni anno, con un arrotondamento del decimale all’unità superiore se esso è eguale o superiore a 0,5. Invece, la somministrazione a tempo determinato è utilizzata nei limiti quantitativi individuati dai CCNL, esclusi i lavoratori in mobilità, i soggetti svantaggiati e altre particolari categorie. Resta invece fermo l’obbligo (tassativo di stipulare il contratto per iscritto).
Collaborazioni e associazione in partecipazione
In vista del loro superamento, la bozza di decreto dispone che, dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro (con alcune eccezioni: professioni intellettuali, componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società, ecc.). E’ prevista una sorta di sanatoria mediante la stabilizzazione dei collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, e di titolari di partita IVA, da effettuarsi entro il 31 dicembre 2015: l’assunzione a tempo indeterminato alle specifiche condizioni stabilite, comporta l’estinzione delle violazioni previste in materia di obblighi contributivi, assicurativi e fiscali connessi alla eventuale erronea qualificazione del rapporto pregresso, salve le violazioni già accertate prima dell’assunzione. Le disposizioni in materia di contratto a progetto oggi vigenti rimangono in vigore solo per la regolazione dei contratti già in atto alla data di entrata in vigore del nuovo decreto.
Viene poi abilita l’associazione in partecipazione con apporto di lavoro.
Lavoro accessorio – Cambia il limite massimo dei compensi che, con riferimento alla totalità dei committenti, il prestatore può percepire, che viene elevato a 7.000 euro nel corso di un anno civile, annualmente rivalutati sulla base dell’indice ISTAT. Fermo il limite complessivo di 7.000 euro, nei confronti dei committenti imprenditori o professionisti, le attività lavorative possono essere svolte a favore di ogni singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro, rivalutati annualmente. Prestazioni di lavoro accessorio possono essere poi rese, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, nel limite complessivo di 3.000 euro di corrispettivo per anno civile, da percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito.
Si prevede poi che il divieto di ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio nell’ambito della esecuzione di appalti fatti salve specifiche ipotesi individuate con decreto del Ministero del lavoro, sentite le parti sociali, da adottare entro 6 mesi dall’entrata in vigore del decreto. Infine, per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio, i committenti imprenditori o professionisti acquistano – solo con modalità telematiche – uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati, il cui valore nominale è fissato con decreto ministeriale, tenendo conto della media delle retribuzioni rilevate per le diverse attività lavorative e del confronto con le parti sociali. I committenti non imprenditori o professionisti potranno invece acquistare i buoni anche nelle rivendite autorizzate.
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore