Lavoro e HR

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Contributo addizionale “più salato” per i rinnovi dei contratti a termine

Più si protrae, più costa: per il contratto a termine vale il principio del “tassametro”. Prima di analizzare la novità, però, dobbiamo ricordare che – ai sensi dell’articolo 2, co. 28, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Riforma Fornero) – con effetto sui periodi contributivi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2013, ai rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato si applica un contributo addizionale, a carico del datore di lavoro, pari all’1,40% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.
 
Tale contributo non è dovuto, tra le altre ipotesi, nei seguenti casi:

a) lavoratori assunti a termine in sostituzione di lavoratori assenti;

b) lavoratori assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525;

c) apprendisti (che, infatti, sono assunti a tempo indeterminato);

d) lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

 
Ora, il decreto legge n. 87/2018, dispone che  contributo di cui all’articolo 2, comma 28, della legge 28 giugno 2012, n. 91, è aumentato dello 0,5 punti percentuali in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione.
 
Ne deriva che (fermi il limite dei 24 mesi di durata e tranne i casi in cui l’1,40 non è dovuto) il primo rinnovo (ossia il 2° contratto a termine tra le medesime parti dopo 10 o 20 giorni) sarà “tassato” con l’aliquota dell’1,90%, il secondo rinnovo (salve diverse precisazioni Inps) si vedrà applicare il 2,40% e così via, rendendo più costosi tanti contratti di breve durata.
 
Infine, il contributo addizionale è restituito al datore in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato. La restituzione avviene anche se il datore assume il lavoratore a tempo indeterminato entro 6 mesi dalla fine del precedente contratto a termine: in tal caso, la restituzione avviene detraendo dalle mensilità spettanti un numero di mensilità ragguagliato al periodo trascorso dalla cessazione del precedente rapporto a termine.
 
 
 
 
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore

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