Lavoro e HR

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Contributo di licenziamento più caro dal 1° gennaio 2015

In attesa della definitiva approvazione del decreto legislativo sul contratto a tutele crescenti, i datori si trovano di fronte all’aumento del contributo (cd. ticket) che la Riforma Fornero ha posto a loro carico per tutti i casi di recesso a partire dal 1° gennaio 2013.
Infatti, l’articolo 2 della legge 28 giungo 2012, n. 92, al comma 31, dispone che – non solo in caso di licenziamento – ma anche in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, darebbero diritto all’ASpI (e quindi incluse, per esempio, le dimissioni per giusta causa nonché la risoluzione consensuale nel corso della procedura per giustificato motivo oggettivo davanti alla DTL), è dovuta, a carico del datore di lavoro, una somma pari al 41% del massimale mensile di ASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni.
Fino al 31 dicembre 2014, il valore di riferimento era pari a 1.192,98 euro, rispetto al quale il 41% dava come valore annuo 489,12 euro. Ne conseguiva che, per ogni singolo mese di anzianità, negli ultimi 3 anni, il datore doveva versare all’Inps 40,76 euro, con un massimo, se l’anzianità di servizio del lavoratore era pari o superiore a 36 mesi, pari a 1.467,36 euro.
Poiché l’Inps, nella circolare n. 19 del 30 gennaio scorso, ha stabilito che il valore di riferimento per l’ASpI sale – per l’intero anno 2015 – a 1.195,37 euro, il datore di lavoro che recede da un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a partire dal 1° gennaio 2015 deve versare 40,84 euro per ogni mese, con un massimo, se l’anzianità di servizio del lavoratore è pari o superiore a 36 mesi, pari a 1.470,30 euro, ossia quasi 3 euro in più rispetto allo scorso anno.
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore

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