Costi più alti anche per i licenziamenti collettivi
La sentenza 8 novembre 2018, n. 194, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, limitatamente alle parole “di importo pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”, interessa anche alcune tipologie di vizi del licenziamento collettivo intimato nei confronti dei lavoratori soggetti al cd. contratto a tutele crescenti.
Infatti, l’articolo 10 del D.Lgs. n. 23/2015, per quanto qui di interesse, prevede che, in caso di violazione delle procedure sindacali o dei criteri di scelta di cui all’articolo 5, co 1, della legge n. 223/1991, si applica il regime di cui all’articolo 3, co. 1.
Anche in tali situazioni, quindi, non sarà più applicabile – per individuare l’importo del risarcimento spettante, tra il minimo e il massimo – il solo criterio dell’anzianità di servizio ma il giudice dovrà fare riferimento anche al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’attività economica nonché al comportamento e alle condizioni delle parti.
Infine, alla luce delle modifiche introdotte dal decreto dignità, l’importo del risarcimento sale da un minimo di 6 (prima solo 4) a un massimo di 36 (prima solo 24) mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, da calcolarsi in base ai criteri sopra ricordati alla luce di quanto stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionale.
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore