Lavoro e HR

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I casi di esenzione dall’obbligo di reperibilità in caso di malattia

Il punto sull'esenzione dalla reperibilità in caso di malattia per i lavoratori subordinati dipendenti come stabilito il decreto ministeriale 11 gennaio 2016.

L’articolo 25 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, ha demandato a un apposito decreto ministeriale il compito di definire i casi di esenzione dalla reperibilità per i lavoratori subordinati dipendenti dai datori di lavoro privati. Ricordiamo che la regola generale è che il lavoratore assente per malattia deve essere reperibile all’indirizzo indicato sul certificato medico ogni giorno, dalle ore 10,00 alle 12,00, e dalle 17,00 alle 19,00.
In adempimento di quanto sopra è stato emanato il decreto ministeriale 11 gennaio 2016 (entrato in vigore il 22 gennaio 2016), il quale dispone che sono esclusi dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i lavoratori subordinati, dipendenti dai datori di lavoro privati, per i quali l’assenza è riconducibile a una delle seguenti circostanze:

  • patologie gravi che richiedono terapie salvavita, a condizione che tali patologie risultino da idonea documentazione, rilasciata dalle competenti strutture sanitarie, che attesti la natura della patologia e la specifica terapia salvavita da effettuare;
  • stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta, se l’invalidità ha determinato la riduzione della capacità lavorativa in misura pari o superiore al 67%.

Ne deriva dunque che, in presenza di una delle due situazioni citate appena sopra – purché regolarmente documentate – il lavoratore non ha più l’obbligo di presenza al domicilio. Sull’argomento si è recentemente espresso l’Inps (si veda la circolare n. 95 del 7 giugno 2016) che, in accordo con i ministeri del Lavoro e della Salute, ha fornito i propri indirizzi operativi nonché le assai dettagliate “linee” guida per l’individuazione delle patologie che danno diritto agli esoneri.
Premesso che l’esonero dalla reperibilità riguarda solamente i lavoratori subordinati dipendenti dai datori di lavoro privati, esclusi, invece, quelli iscritti alla gestione separata Inps di cui all’articolo 2, comma 26, della legge n. 335/95, è dunque compito del medico che redige il certificato di malattia valorizzare gli appositi campi del certificato telematico riferiti a “terapie salvavita” oppure a “invalidità”. Invece, nel caso di certificati di malattia redatti in modalità cartacea (solamente in via residuale, dato che il certificato telematico è ormai la regola), il sanitario deve attestare esplicitamente l’eventuale sussistenza delle fattispecie di cui sopra ai fini della esclusione del lavoratore dall’obbligo della reperibilità.

Nota Bene – I medici del Servizio Sanitario Nazionale, o con esso convenzionati, che redigono i certificati attestanti lo stato di malattia dei lavoratori agiscono in qualità di pubblici ufficiali e sono quindi tenuti ad attestare la veridicità dei fatti da loro compiuti, o avvenuti alla loro presenza, nonché delle dichiarazioni ricevute senza ometterle né alterarle, pena le conseguenti responsabilità amministrative e penali.

Va peraltro ricordato, come puntualizzato nella circolare n. 95/2016, che l’Inps ha comunque il potere-dovere di accertare fatti e situazioni che comportano il verificarsi o meno del rischio assicurativo, presupposto della prestazione: ne deriva che, pur venendo meno, nelle fattispecie oggetto della norma, l’onere della reperibilità alla visita medica di controllo, è comunque confermata la possibilità per l’Istituto di effettuare controlli sulla correttezza formale e sostanziale della certificazione e sulla congruità prognostica ivi espressa.

Quanto ai datori di lavoro, fermo restando che non è possibile richiedere le visite di controllo domiciliare nel caso in cui negli attestati telematici siano stati valorizzati i campi riferiti a “terapie salvavita” e “invalidità”, essi possono comunque segnalare alla sede Inps, mediante PEC, possibili eventi riferiti a fattispecie in relazione alle quali i lavoratori risultino esentati dalla reperibilità, ma per i quali essi ravvisino comunque la necessità di effettuare una verifica: in questo caso sarà la competente struttura Inps a valutare (mediante il proprio centro medico legale) l’opportunità o meno di esercitare l’azione di controllo, dandone poi notizia al datore di lavoro richiedente.
Venendo alle linee guida allegate alla circolare alle quali, ove di specifico interesse, si rimanda per una lettura integrale data la complessità e la numerosità delle casistiche, merita di essere qui sinteticamente evidenziato quanto segue:

  • fermo restando che non esiste né una normativa specifica né un’elencazione “ufficiale” delle gravi patologie, ovvero delle terapie qualificabili come “salvavita”, si può parlare di terapia salvavita quando vi sia un “pericolo di vita” immediato e concreto ovvero procrastinato, ma altrettanto certo o fortemente probabile: sono terapie salvavita quelle praticate in rianimazione, ma anche quelle che – se non assunte – espongono certamente alla morte;
  • la qualificazione di “grave” (patologia) non attiene né le strategie di diagnosi o la particolare indaginosità degli accertamenti/trattamenti eseguiti (per esempio: l’aver eseguito trattamento chirurgico in anestesia generale), né la tipologia/importanza della Struttura in sé e per sé considerata cui ci si rapporta (per esempio: essere stati ricoverati in ospedali di eccellenza), o altro di segno socio-ambientale (per esempio: aver avuto bisogno di assistenza personale, come in caso di fratture agli arti inferiori);
  • in pratica, la terapia salvavita pone rimedio agli effetti più nefasti e/o letali di un evento maggiore che già si è verificato: a titolo di esempio le linee guida menzionano, tra le situazioni patologiche che danno diritto all’esonero dalle fasce di reperibilità: emorragie severe/infarti d’organo; insufficienza renale acuta; gravi infezioni sistemiche (es. Aids conclamato); malattie psichiatriche in fase di scompenso acuto e/o in TSO; trapianti di organi vitali, eccetera.

Quanto agli stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta, premesso che le tipologie di invalidità che il medico può ritrovare nella documentazione da esaminare e conservare a supporto della prescrizione di esonero sono le seguenti:

  1. invalidità civile, cecità civile e sordità civile;
  2. invalidità del lavoro (tecnopatica e infortunistica), accertata dall’Inail;
  3. invalidità ordinaria previdenziale, accertata dall’Inps;
  4. invalidità di guerra, civili di guerra e per servizio con minorazioni ascritte a categoria di cui alle tabelle annesse al T.U. delle norme in materia di pensioni di guerra, approvato con DPR 23 dicembre 1978, n. 915, e successive modificazioni;

la circolare precisa che lo stato morboso il quale può consentire l’esonero dalla reperibilità deve essere connesso a una patologia in grado di determinare, di per sé, una menomazione di cospicuo rilievo funzionale perché, in caso contrario, si introdurrebbe un discrimine elevato fra l’entità della grave patologia che contestualmente richiede la terapia salvavita e l’entità di ben più lievi patologie che, pur determinando un’invalidità percentualisticamente moderata, consentono la prosecuzione del lavoro e una buona sostenibilità socio-relazionale.
Soprattutto a tale proposito si fa rinvio al lungo e dettagliato elenco che chiude il documento, riportando le percentuali di invalidità fisse ovvero, a seconda dei diversi casi, in una percentuale variabile tra un minimo e un massimo.

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